L'altro e l'altrove
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L'altro e l'altrove

Antropologia, geografia e turismo

  1. 240 pagine
  2. Italian
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L'altro e l'altrove

Antropologia, geografia e turismo

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Mai come negli ultimi decenni il turismo è diventata un'attività che si nutre di immagini e di immaginari. Viviamo in una società fortemente mediatizzata, che produce un'enorme quantità di immagini finalizzate alla conoscenza e al consumo di luoghi e persone, che diventano patrimonio condiviso delle varie «comunità» turistiche e si trasformano via via in una sorta di icone.
Partendo da approcci disciplinari diversi ma convergenti, come quello dell'antropologia culturale e della geografia, Marco Aime e Davide Papotti, basandosi su un percorso teorico supportato dall'analisi di casi esemplari, mettono in luce alcuni dei meccanismi che portano alla costruzione degli immaginari relativi a luoghi, spazi, eventi e dimensioni di vita esotiche.
Immagini e immaginari che condizionano fin da prima della partenza ogni forma di incontro con la diversità, sia essa di carattere naturalistico- ambientale, sia invece di tipo etnico-culturale, e che determinano il nostro rapporto con l'altro e con l'altrove, perpetuandosi e riproducendosi in una sorta di circolo autoreferenziale.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2012
ISBN
9788858406618
Categoria
Anthropology

Capitolo primo

Le immagini del turismo

Lo spazio turistico come immagine immediatamente accessibile.
Possiamo affermare con una certa sicurezza che l’attrattività turistica è fondata su un repertorio di immagini. Come efficacemente ricorda la celebre formula del geografo francese Jean-Marie Miossec, «lo spazio turistico è innanzitutto un’immagine» [1977, p. 55]. Miossec, scrivendo oltre trent’anni fa, aveva davanti agli occhi un concetto di immagine ancora saldamente ancorato al repertorio iconografico classico: fotografie, riproduzioni pittoriche, cartoline postali, diapositive, depliant turistici ecc. Il «viaggio dell’icononauta» (per riprendere una bella espressione coniata da Gian Piero Brunetta nel 1997) è nel frattempo ulteriormente evoluto, non solo in virtú di un esponenziale ampliamento dei repertori iconografici, ma anche grazie all’introduzione di nuove tecniche di produzione, comunicazione e archiviazione delle immagini: «Vi è un fenomeno […] che richiede un commento: la rivoluzione conseguita al collegamento della fotografia digitale a internet, allo sviluppo mondiale della rete, e alla libera disponibilità delle immagini nel cyberspazio. Praticamente sconosciute negli anni Ottanta, e appena esistenti negli anni Novanta, le dimensioni di questa rivoluzione sono risultate evidenti soltanto negli ultimi anni. Le conseguenze di un accesso praticamente istantaneo a immagini di ogni tipo e la facilità senza precedenti con la quale le immagini possono essere manipolate devono essere ancora valutate adeguatamente» [Freedberg, 2009, p. XXXIV]. David Freedberg parla di utilizzo politico delle immagini, ma, depurata dalle dimensioni di urgenza, e talvolta di tragicità, che possono essere correlate all’iconografia degli eventi politici, la sostanza delle dinamiche colte dall’autore sembra essere altrettanto valida anche nell’ambito del turismo.
Anche per quanto attiene il mondo dell’iconografia turistica, la rivoluzione digitale sembra aver avuto notevoli e diversificate conseguenze, fra le quali si possono menzionare:
– la moltiplicazione delle immagini prodotte in virtú dei minori costi derivati dall’abbandono dell’utilizzo delle pellicole. Se prima esisteva una «economia» dello sguardo fotografico, legata ai costi di ogni singola immagine fermata su una pellicola, ora si possono scattare infinite fotografie, e procedere a un’eventuale scelta solamente in un secondo tempo, a posteriori. Il problema di un costo di riproduzione si propone solamente in fase di stampa su carta delle immagini. L’immagine virtuale conservata come file all’interno del computer e osservata solamente su supporti digitali (lo schermo stesso, oppure tramite un proiettore) è fondamentalmente priva di costi. Il numero degli scatti fotografici effettuati dai turisti si è esponenzialmente moltiplicato. Il tempo che ciascun turista passa a scattare fotografie e a organizzarle in archivi digitali, è presumibilmente, di conseguenza, aumentato in relazione alla facilità ed economicità con cui oggi si possono scattare immagini.
– l’accessibilità pubblica di queste immagini è aumentata a dismisura grazie a internet. Le collezioni di fotografie in formato digitale possono essere rese accessibili e consultabili in rete con grande facilità, sia attraverso siti dedicati (come, per esempio Flickr o Panoramio), sia attraverso le pagine di blog e di siti personali. Parallelamente, esse possono anche essere spedite agevolmente in formato digitale in un numero di copie potenzialmente infinito, al contrario di quanto avveniva in precedenza, in cui ogni riproduzione di una fotografia possedeva uno specifico costo. L’immagine, che prima aveva una circolazione limitata legata ai contatti sociali dell’autore e della sua cerchia familiare e/o amicale di conoscenze, ora è potenzialmente accessibile per chiunque, in qualunque parte del mondo ci si trovi.
– la velocità di circolazione delle immagini è aumentata vertiginosamente. Il tempo che intercorre fra il momento in cui un’immagine viene scattata e il momento in cui essa è virtualmente comunicabile, spedibile, accessibile per via telematica si è praticamente ridotto a zero. Se prima, nell’era della pellicola e delle diapositive, occorreva ritornare a casa, portare il rullino dal fotografo, attendere i tempi tecnici di sviluppo e dunque attraversare una sia pur minima fase di decantazione temporale dell’esperienza di registrazione visiva effettuata durante il viaggio, ora la possibilità di inviare fotografie in tempo reale è una concreta prassi accessibile a chiunque abbia un collegamento internet con un telefono, un tablet o un computer portatile. L’immagine entra dunque nel ciclo di fruibilità nel giro di pochi secondi. Il rapporto fra l’esperienza vissuta e la sua re-interpretazione e rivisitazione attraverso i documenti fotografici è ormai estremamente ravvicinato, se non addirittura pienamente «sovrapposto»: la realtà viene verificata attraverso il visore della camera digitale, che restituisce con immediatezza gli scatti che si sono effettuati: «Grazie al computer e agli enormi poteri di riproduzione che esso possiede, non esiste via di fuga da queste immagini e non vi è alcuna possibilità di negare la loro forza [Freedberg, 2009, p. XXXVI].
Il predominio dell’«immagine», termine oggi a maggior ragione dotato di vastissima apertura semantica, tende a imporre una progressiva smaterializzazione delle rappresentazioni territoriali.
Partendo dalle tecniche riproduttive en plein air, il concetto di «immagine territoriale», si è avvicinato progressivamente a una dimensione virtuale, aprendosi a un patrimonio conoscitivo che attinge indifferentemente a esperienze reali, a messaggi mediatici, a iconografie consolidatesi nella storia e nelle tradizioni, a repertori informatici. Fino quasi a identificarsi tout court, nella prassi d’uso della saggistica prodotta dagli studiosi del turismo, con un’impalpabile dimensione psicologica: «Nel campo turistico, è quanto mai rilevante, quando non determinante, considerare anche l’immagine del territorio, vale a dire l’insieme delle opinioni, delle idee e delle impressioni relative a una località geografica» [Giordana, 2004, p. 56].
L’immagine pre-esiste all’esperienza reale del luogo.
Il nome di una città è in grado di evocare un mondo di rappresentazioni anche presso un pubblico che non può contare su alcuna esperienza diretta dei luoghi in questione. L’immagine turistica, infatti, pre-esiste al viaggio. La stessa esperienza di mobilità reale, in questa prospettiva, finisce per essere programmata proprio grazie alla spinta motivazionale e attrattiva del repertorio iconografico fatto circolare attraverso i mass media. Il ruolo del repertorio iconografico, tuttavia, non si esaurisce nella messa a fuoco dei pull factors che finiscono per attrarre un turista in una specifica destinazione anziché in un’altra, seguendo una immagine che risulta essere, in quel momento, maggiormente appetibile. Le immagini, che sono state alla base del desiderio di partire, infatti, tendono anche a guidare, come criterio percettivo di giudizio, l’esperienza reale [Crompton, 1979]. Non solo si sceglie di andare in un luogo perché la sua immagine è risultata attraente; una volta giunti in loco, si andranno a vedere i monumenti, i punti di riferimento, le vedute, i panorami che erano rappresentati nelle immagini viste prima di partire. Le modalità conoscitive di attraversamento dello spazio turistico saranno informate dalle frequentazioni iconografiche effettuate prima ancora di muovere i primi passi: mentre si guardano le carte geografiche o si leggono le guide turistiche ancora comodamente seduti sul divano di casa. L’immagine turistica goduta in anticipo entra da protagonista nella preparazione del «copione» che verrà poi messo in pratica nel corso della esperienza concreta del viaggio: «la performance orchestrata del turismo o la creazione performativa della località turistica, tuttavia, cominciano prima della vacanza stessa. Nel periodo di anticipazione che precede la vacanza, i turisti sono esposti a una varietà di messaggi relativi non solamente alla meta che essi intendono visitare, ma anche alle modalità di comportamento che essi dovrebbero seguire una volta giunti a destinazione» [Hannam e Knox, 2010, p. 85].
Il turismo rappresenta oggi una delle principali industrie del pianeta. Nell’economia mondiale si colloca come seconda voce dello scambio economico globale, dopo il settore energetico e alla pari con l’industria automobilistica. I turisti costituiscono quindi una componente non irrilevante di quella vasta rete di flussi globali, come li chiama Arjun Appadurai, che mettono in movimento e in contatto tra di loro persone e idee [2001]. Flussi tali danno vita a nuovi panorami culturali che gli individui e le comunità si costruiscono di volta in volta, fondandoli non piú sul legame con il territorio d’origine, ma sulla base di nuove realtà piú o meno immaginate. Tra i molti panorami, globalizzati e globalizzanti, c’è anche quello turistico. Nella accresciuta complessità di questi contatti, nuove forme culturali di stereotipizzazione, di pregiudizio e di assegnazione di connotazioni di inferiorità prendono forma: «Nel mondo contemporaneo, in ragione dei processi di globalizzazione, nuove forme di Orientalismo e di stereotipizzazione dei luoghi sono presenti nei discorsi turistici in relazione al fatto che sia le persone sia i luoghi diventano maggiormente mobili» [Hannam e Knox, 2010, p. 113].
Tutti noi, in quanto turisti, viviamo la nostra esperienza, fin dal momento in cui la ipotizziamo, all’interno di un immaginario globalizzato che ci fornisce in grande abbondanza dati, informazioni e immagini sulla futura meta. Si sceglie di andare in un posto perché in un certo senso si ha un’idea di come esso appare e si presenta al visitatore; lo si è già visto in televisione, se ne sono già ammirate le immagini nelle riviste specializzate, nei cataloghi turistici, nelle proiezioni di immagini a casa di amici, si sono già ascoltati su di esso racconti di viaggio di parenti e conoscenti, si sono già lette le guide che ne descrivono dettagliatamente l’«atmosfera», cosí come i singoli monumenti principali. Il viaggio da scoperta diventa sempre piú una verifica di ciò che già si «conosce».
Il bagaglio del turista contiene spesso una buona dose di informazioni piú o meno sincere e realistiche accumulate prima di partire. Il turista sa cosa vuole vedere e fa di tutto per trovarlo, talvolta anche a dispetto dell’evidenza. Questo è particolarmente chiaro nel caso del turismo «esotico», che concede piú spazio all’immaginazione perché percorre spazi solitamente lasciati vuoti dai nostri pensieri quotidiani. Ecco allora che l’altro, il nativo, finisce per apparire, ai nostri occhi, sempre piú simile a quello descritto e fotografato sulla guida, sulla rivista, sul catalogo, anche quando questo è diverso.
L’immagine turistica all’interno delle pratiche di marketing territoriale.
Il ruolo dell’immaginario geografico e antropologico correlato al turismo non può essere adeguatamente compreso senza prendere in considerazione il fatto che il repertorio iconografico e lessicale sul quale esso si appoggia viene utilizzato e fatto circolare all’interno di un ambito promozionale che ubbidisce alle leggi del marketing. La definizione di immagine territoriale offerta nel mondo del marketing tende ovviamente a enfatizzare la dimensione impalpabile delle convinzioni e delle idee che circolano all’interno della coscienza individuale o delle consapevolezza socialmente condivisa: con immagine, si intende infatti l’«insieme di credenze, idee, informazioni piú o meno mediate che il pubblico ha su un luogo» [Kotler, Haider e Rein, 1993].
Images
Figura 1.
Un esempio di campagna promozionale che integra l’aspetto produttivo del territorio con un’iniziativa di attrattività turistica: il punto vendita dei prodotti agricoli e gastronomici del territorio di Vercelli allestito in occasione delle periodiche mostre d’arte realizzate in collaborazione con la Fondazione Guggenheim. Il marchio «La città del riso» si appoggia sia su immagini storiche-tradizionali (le mondine) sia su immagini paesaggistiche (le risaie allagate e la cascina raffigurate nel poster a lato dell’ingresso).
L’immagine del luogo (place image) si accompagna, in quest’ottica, da una parte alla personalità del luogo (place personality) – che ne incarna, oltre le caratteristiche di base, le vocazioni territoriali – e dall’altra all’identità del luogo (place identity), che indica le modalità attraverso le quali il territorio viene rappresentato. La distinzione è interessante per lo studio dell’immaginario turistico: l’immagine di un luogo risulta infatti essere la combinazione del suo profilo di base (le caratteristiche morfologiche, le dotazioni climatiche, le caratteristiche pedologiche ecc.) e delle identità che ad esso vengono riconosciute e attribuite nel mondo della comunicazione, nelle rappresentazioni culturali, nelle pratiche di promozione.
L’«essenza» di un territorio – e a maggior ragione di un territorio caratterizzato da alta densità semantica quale quello urbano – viene sempre di piú incarnata in elementi riassuntivi, attraverso simboli identitari, sospesi fra la riproduzione iconografica del reale e l’astrazione del logo. La stessa denominazione di un luogo o di una città, il toponimo di riferimento, si avvicina sempre di piú, nella sua evidente semplicità e riconoscibilità, alla natura di un vero e proprio brand, un «marchio di fabbrica» facilmente memorizzabile e identificabile: «Il nome della meta del viaggio è appunto come la marca di un profumo: accresce il valore del prodotto, se non è essa sola a generarlo» [Enzensberger, 1998, p. 46].
Proprio in virtú di questo ruolo prioritario assunto nei meccanismi motivazionali ed esperienziali del turista – che «prepara» e «anticipa» la propria esperienza attraverso un vasto repertorio iconografico – l’analisi delle modalità di formazione (e di manipolazione) dell’immagine turistica diventa uno snodo prioritario per l’elaborazione e la messa in pratica delle politiche di promozione, cosí come per la stessa pianificazione territoriale [Echtner e Ritchie, 1993]. Simile processo, che comporta una progressiva crescita di importanza della produzione iconografica, investe le attività di marketing territoriale: «affrontando tali sfide, i promotori pubblici nel mondo hanno comprensibilmente creato strategie che possono assicurare alle loro città una posizione favorevole sul mercato internazionale. Ciò che è da sottolineare, tuttavia, è che molte di queste strategie di sviluppo urbano sono di natura prevalentemente simbolica. La logica procede infatti in questo modo: se i leader di una città riescono a trovare un modo per proiettare sul mercato internazionale immagini di rango mondiale legate alla vitalità urbana, allora essi possono migliorare le loro chance di convincere i turisti e le multinazionali a investire nella loro città e non nella città che si trova a fianco o in quella che sta sulla sponda opposta dell’oceano» [Gibson, 2005, p. 260]1. La competizione, anche in questo caso, si gioca in gran parte sulla capacità di elaborazione di immagini vincenti, che si rivolgono, in un auspicabile circuito virtuoso, sia ai turisti sia agli investitori [Hannigan, 2003].
Si tratta dunque, per riprendere le riflessioni proposte da Edward Soja [1996] sulla scia delle concettualizzazioni di Henri Lefebvre [1991], di una sorta di «terzo spazio» turistico, dimensione intermedia tra il già conosciuto e la novità, tra il reale e l’immaginario, tra il fatto e la finzione [Lagerkvist, 2008]. Nell’analisi del rapporto fra produzione iconografica legata al marketing turistico-territoriale e modalità di incarnazione delle prassi turistiche, il nodo centrale risiede nella capacità delle prime di orientare e influenzare le seconde. Come efficacemente suggerito da Hannam e Knox, la domanda da porsi è la seguente: «Quando il dire qualcosa di un luogo fa sí che il luogo diventi effettivamente cosí?» [2010, p. 78].
Il rapporto reciproco fra il mondo della promozione e le modalità di percezione può infatti innescare profezie che finiscono per autoavverarsi. Si dice che un luogo possiede determinate caratteristiche, e questo luogo verrà percepito come dotato di tali caratteri, siano essi effettivamente presenti o semplicemente suggeriti dalla potenza della retorica promozionale. La risposta che i due studiosi danno alla domanda riporta in posizione centrale il criterio della verosimiglianza: «Ciò dipenderà dalla misura in cui il messaggio, scelto da coloro che lavorano nella creazione di marchi di attrazione corrisponde a ciò che essi stanno tentando di promuovere» [Hannam e Knox, 2010, p. 78]. Uno dei pre-requisiti fondamentali per il successo di una profezia autoavverante consiste certamente nella iterazione del messaggio, auspicabilmente in una molteplicità di contesti. Al di là della ovvia cons...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. L'altro e l'altrove
  3. Elenco delle illustrazioni
  4. Introduzione
  5. L’altro e l’altrove
  6. I. Le immagini del turismo
  7. II. Modalità di produzione e circolazione dell’immagine turistica
  8. III. I luoghi dell’altro e dell’altrove
  9. IV. Declinazioni dell’altro
  10. Conclusioni
  11. Riferimenti bibliografici
  12. Copyright