Bretton Oaks è poco piú d’un villaggio, in una qualsiasi terra di lingua inglese; prende nome dalle molte querce che da tempo immemorabile frondeggiano nel mezzo e ai margini dell’abitato. Bretton Oaks giace in una campagna distesa tra un fiume e un’altura. Il fiume è il Beam: acqua discreta, non ha una gran voce, neanche nelle piú chiare e ferme notti d’estate. L’altura è Somers Hill, da cui il paese appare intero e netto come una gran mappa spiegata sul verde. Da lassú l’occhio coglie in basso anzitutto le case piú floride, abitate dai maggiorenti di Bretton Oaks cui gran parte della circostante campagna appartiene. Nel cuore del paese, dirimpetto alla Chiesa Protestante, ecco la bella vecchia casa di Syd Beverley, possidente e consigliere al Comune. Là, verso gli aperti campi, in una raggiera di querce, la casa rustica di Joshua Colburn, anch’egli possidente e consigliere al Comune. Dall’altra parte, dove Somers Hill digrada verso i coltivi, la grande casa di Don Hallam. L’unico orfano e erede del buonanima Algep Hallam è il capo riconosciuto della gioventú di Bretton Oaks e tende a fare il signorotto: come fu nella consuetudine di tutti gli Hallam, da tre generazioni a questa parte, commentano in paese. Ci sono altre case di possidenti a Bretton Oaks: quella di Nolly Humberstone e, contigua, quella di Clem Foster; ma non mette conto di parlarne, anche se Humberstone e Foster hanno terra al sole e il loro bravo seggio nella consulta comunale. Piuttosto, verso gli argini del Beam, dietro un bellissimo filare di pioppi, c’è la scuola di Bretton Oaks: lunga, bassa e bianca come un piccolo convento d’altri paesi. Là, ogni mattino e pomeriggio che non sia d’estate, i minori di Bretton Oaks siedono pensando disperatamente altrove e guardando negli occhi Joel Davies, il nuovo giovane maestro venuto da lontano. Durante tutte le ore prescritte, Joel Davies intona con voce fine canti della patria e di chiesa; insegna a leggere e a scrivere sempre meglio e a far di conto per gli affari di domani; parla poi a lungo delle cose create e, sommariamente, di certi uomini, tutti morti e grandi, cosí grandi che bisogna parlarne persino ai bambini. La sera, certi giorni della settimana, il maestro Davies va in chiesa, suona l’organo e aiuta il vecchio pastore a insegnare canto corale a quei giovani di Bretton Oaks che hanno voci promettenti e amano restare un poco nell’ombra della cantoria. Pure di sera, ogni sabato contato, nella bella vecchia casa dei Beverley, ci si raduna a vegliare: una cosa liscia, pacata, ma non proprio noiosa. Ogni vigilia di domenica, il consigliere Syd Beverley, la moglie Amy e la figlia Cathy ricevono pochissime persone le quali, per una consuetudine di anni e poi anni, vengono a parlare quietamente di come hanno passato la settimana e di cosa faranno nel pomeriggio della festa. Qualche rara volta viene un ospite saltuario, e questo non manca mai di rovinare la serata agli occhi degli assidui. Non si fa mai troppo tardi nelle veglie in casa Beverley, perché si sente il peso di tutta una settimana e al mattino la messa è a un’ora non proprio comoda. Fuorché d’estate, ci si raccoglie sempre nel tinello a pianterreno, che ha una porta senza battenti, una finestra che dà sulla via larga del paese, una scaletta interna in legno nero lucido che sale a un usciolo in legno grigioverde; e poi un caminetto con griglia e alari, tavola dispensa e cassapanca, un divano, vecchie poltrone a bracciuoli e sedie a spalliera alta; ancora qualche ninnolo sul piano della dispensa e sulla mensola del caminetto, e ornamenti alle pareti.
Questa sera, vigilia della seconda domenica di Marzo, i Beverley attendono tranquillamente i soliti ospiti. Il piccolo Mickey, issato su una sedia con i gomiti strenuamente puntati sulla tavola lunga e lustra del tinello, si accanisce sulla minuta del componimento che il maestro Davies vuole in bella per il lunedí. Intanto la sua mamma, non piú giovane ma...