Pensare altrimenti
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Pensare altrimenti

Filosofia del dissenso

  1. 176 pagine
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Pensare altrimenti

Filosofia del dissenso

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Da sempre, sia pure in forme diverse, gli uomini si ribellano. Difficilmente le rivolte si lasciano ricondurre a un paradigma unitario, ma presentano come orizzonte comune la rivendicata antitesi rispetto a un ordine costituito o a un «comune sentire» che si pretende giusto. La cellula genetica del dissenso corrisponde a un sentire altrimenti che è, già virtualmente, un sentire contro: e che, per ciò stesso, può trapassare nelle figure concrete in cui il dissentire si cristallizza facendosi operativo. Il pensiero ribelle deve costituire oggi il gesto primario contro l'uniformazione globale delle coscienze che si sta registrando nell'orizzonte del nuovo pensiero unico e del falso pluralismo della civiltà occidentale. Diego Fusaro si propone qui di analizzare le figure del pensare altrimenti, le declinazioni storiche del dissenso e la sua fenomenologia.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2017
ISBN
9788858424728
1.

Sentire altrimenti

Un tempo non era permesso a nessuno di pensare liberamente. Ora sarebbe permesso, ma nessuno ne è piú capace. Ora la gente vuole pensare ciò che si suppone debba pensare. E questo lo considera libertà.
O. SPENGLER, Il tramonto dell’Occidente.
La storia dell’umanità è storia di dissensi. Da sempre, sia pure in forme, con esiti e presupposti reciprocamente irriducibili, gli uomini si rivoltano.
Lo fanno in modi molteplici e stratificati, che difficilmente si lasciano ricondurre a un paradigma unitario: e che, non di meno, presentano come orizzonte comune l’opposizione, la protesta, la rivendicata antitesi rispetto a un ordine costituito o, piú semplicemente, a un «comune sentire» (consensus) che si pretende giusto o, comunque, il solo legittimo1.
La rivoluzione e la ribellione, la defezione e la protesta, la rivolta e l’ammutinamento, l’antagonismo e il disaccordo, l’insubordinazione e la sedizione, lo sciopero e la disobbedienza, la resistenza e il sabotaggio, la contestazione e la sollevazione, la guerriglia e l’insurrezione, l’agitazione e il boicottaggio: sono tutte figure proteiformi del dissenso, espressioni plurali che trovano il loro fondamento nell’unica matrice del «sentire altrimenti» rispetto all’ordine, al potere, al discorso dominante.
Dissentí Prometeo dinanzi all’ordine divino che imponeva la subalternità dei mortali, e poi Socrate dinanzi alle leggi ingiuste della polis ateniese. Fu, in seguito, la volta di Spartaco al cospetto dell’iniquo ordinamento che sanciva la schiavitú sua e dei suoi compagni. Dissentirono Tiberio Gracco e Catilina, con l’effrenata audacia della sua congiura, e anche i ribelli che tolsero la vita a Cesare; successivamente i Ciompi e gli anabattisti, sia pure con esiti infausti.
Dissentirono Lutero e gli eretici medievali, poi Giordano Bruno e Giulio Cesare Vanini, dando prova imperitura del coraggio dell’essere contro. Dissenziente fu lo stesso Cristo, che, nel seguire il «regno dei Cieli», si oppose alle ingiustizie di quello terreno.
Dissentirono Cromwell in Inghilterra, i movimenti americani contro le guerre del Vietnam e della Corea, e Marx e Lenin contro le leggi del capitale. Dissentirono gli antifascisti in Italia e Pasolini contro il nuovo fascismo della civiltà dei consumi, i rivoluzionari nella Francia del 1789 e i russi nel 1917; ma, poi, ancora i dissidenti sovietici verso il comunismo mal realizzato e Nelson Mandela verso la segregazione, Martin Luther King, Che Guevara e, semplicemente disobbedendo, Gandhi.
Furono dissenzienti Sankara verso l’imperialismo occidentale in Africa, le generazioni del Sessantotto in lotta contro i padri, la «Rosa Bianca» rispetto al nazionalsocialismo, Peppino Impastato e Paolo Borsellino contro la mafia e i cecoslovacchi verso l’Unione Sovietica.
Ancora, in tempi piú recenti e in luoghi a noi piú vicini, dissentirono nel 2001 a Genova i «no Global» e dissentono, oggi, i siciliani contro il sistema di comunicazioni satellitari americano (Muos) e i piemontesi contro la linea ferroviaria ad alta velocità (Tav).
Già da questi esempi, scelti senza alcuna pretesa di esaustività e in forma necessariamente impressionistica dalla multiforme galleria dell’avventura umana, affiora limpidamente come il dissenso corrisponda, a tutti gli effetti, a una costante della storia. Esso costituisce, per impiegare liberamente una categoria di Essere e tempo di Heidegger, un «esistenziale»2. L’essere-nel-dissenso, se volessimo ancora esprimerci variando le grammatiche heideggeriane, rientra tra le specificità piú proprie di quell’animale non stabilizzato e strutturalmente non stabilizzabile che è l’uomo.
In quanto «animale dissenziente», egli da sempre prende posizione rispetto al potere costituito e all’ordine simbolico dominante. Come già sapeva Spinoza3, non vi sarà mai un dominio a tal punto pervasivo e capillare da estirpare in forma definitiva la capacità dell’uomo di resistere e di opporsi, di protestare e di ribellarsi.
A un’analisi non superficiale, pare che solo l’uomo, fra tutti gli esseri del creato, registri tra le proprie prerogative fondamentali il dissenso. Con le parole di Camus, «l’uomo è la sola creatura che rifiuti di essere ciò che è»4, senza accontentarsi delle forme sociali, politiche e simboliche già esistenti.
Gli altri animali, dal canto loro, non dissentono, se non in forme basiche e strettamente legate al mondo della vita. L’uomo soltanto dissente quand’anche i suoi istinti primari siano stati soddisfatti, protestando, ribellandosi e percorrendo la via della rivoluzione o della sovversione al cospetto di ordini politici ritenuti difformi rispetto a come potrebbero e dovrebbero essere.
A tutta prima, il dissenso sembra presentarsi come un concetto a tal punto vago e comprensivo da alludere a tutto e al suo contrario; da ospitare, entro il proprio orizzonte di senso, esperienze e figure sideralmente distanti tra loro: dalla vergogna individuale alla rivoluzione mondiale, dal giusto crocifisso in quanto «eretico» al brigante che dissente rispetto all’ordine legale, dall’azione organizzata all’inazione della semplice disobbedienza, dalla cultura alla politica, dall’arte fino alla «rivolta metafisica», come la qualificava Camus5.
Eppure, oltre queste figure plurali e reciprocamente irriducibili al di là di ogni isomorfismo, si dà un orizzonte comune, un dispositivo del dissenso che, non risolvibile integralmente nelle figure in cui si incarna, è ciò che le rende possibili, dai Ciompi a Charta 77, dagli eretici dell’aetas cristiana alle Pantere Nere.
L’algoritmo segreto del dissentire pare potersi individuare in quel «dire-di-no» al potere, alla situazione data o all’ordine simbolico che, sorgendo anzitutto nella coscienza dell’individuo, si traduce in volontà di autonomia e di indipendenza, vuoi anche in anelito di liberazione e di avviamento di una storia alternativa.
In effetti, fin dal mito archetipico della filosofia occidentale, la caverna della Repubblica di Platone6, la libertà è stata concepita come dinamica di liberazione da una situazione ingiusta e da un quadro ideologico ritenuto falso; dinamica che si attiva in nome di un dissenso originario, che induce il soggetto a mobilitarsi in vista di un altrove intenzionato dalla sua coscienza anticipante, verso un’ulteriorità nobilitante condivisa con i suoi simili che fa apparire difettosa e contraddittoria la situazione presente7.
Nel nesso simbiotico di verità e liberazione sembra, con diritto, potersi identificare la cifra della filosofia occidentale e, forse, l’esperienza storica dell’Occidente tout court, secondo una linea che dalla caverna di Platone porta all’Illuminismo kantianamente inteso come «uscita»8 (Ausgang) dallo stato di minorità, transitando per il passo evangelico «la verità vi farà liberi» (Gv 8,32) e per le alterne vicende dei marxismi.
Occorre, da subito, precisare che il dissenso, che pure si declina politicamente nelle specifiche figure concettuali che da esso originano (la ribellione e la rivoluzione, la contestazione e la disobbedienza, la protesta e la dissidenza), è, per sua essenza, un gesto antecedente rispetto a tutte le sue configurazioni politiche.
E a chi, nel tentativo di definire il dissenso, menzionasse le sue forme concrete e plurali potrebbero verosimilmente rivolgersi le accuse che Socrate, nel Menone (77 a-b), muove al suo interlocutore, allorché questi, interrogato sull’essenza della virtú, risponde con esempi di condotta virtuosa e, per ciò stesso, «fa a pezzi» il concetto e «fa di una cosa molte» (πολλὰ ποιῶν ἐκ τοῦ ἑνός).
Il dissenso prende forma nel poliedrico arcipelago delle passioni e del sentire, come rivela la sua stessa radice semantica, che rimanda, appunto, a un sentire diversamente (dissentio) rispetto al modo comune. La sua sorgente originaria deve, dunque, essere ravvisata nel sentire oppositivo e antagonistico, e di conseguenza in un moto dell’animo che si dirige obstinate contra rispetto a dove ci si attenderebbe si dirigesse se seguisse il suo corso «naturale». La cellula genetica del dissenso corrisponde, pertanto, a un sentire altrimenti che è già, virtualmente, un sentire contro: e che, per ciò stesso, può trapassare nelle figure concrete in cui il dissentire si cristallizza facendosi operativo.
Il dissenso, di conseguenza, può a giusto titolo essere inteso come l’elemento basico a partire dal quale vengono costituendosi, nella loro molteplicità prismatica, le forme dell’opposizione e dell’antagonismo, tutte diverse e, non di meno, accomunate nel loro fondamento, da quella scossa prerazionale che induce l’io a divergere e a conferire forma a tale gesto.
Non è quindi possibile considerare il dissenso come categoria concettuale della politica, né studiarlo incasellandolo nel lessico della filosofia politica, pena il ridurlo, per ciò stesso, a una delle figure specifiche a cui esso dà luogo (dalla rivolta alla rivoluzione, dalla disobbedienza alla ribellione), ma in cui non si risolve.
Un’operazione teorica di questo tipo sarebbe lecita, qualora il dissenso si configurasse, nella sua essenza, come una specifica realtà concettuale, dotata di un proprio nucleo teorico stabile e permanente, univocamente identificabile anche al di là delle concrete incarnazioni storiche in cui si è venuto sedimentando.
Ma al dissenso non appartiene un simile statuto. Prova ne è, oltretutto, che ogni qual volta si avanzi la pretesa di studiarlo sul piano politico, puntualmente lo si riduce ad altro, segnatamente a una o piú delle sue specifiche figure: per ciò stesso, si abbandona la ricerca sull’essenza del dissenso in quanto tale.
Vero è, comunque, che tutte le figure del dissentire, pur cosí diverse tra loro, sono accomunate dal fatto che la loro eventuale legittimazione può darsi esclusivamente ex post, quando la loro azione sia stata portata a compimento con successo. Come potrebbe, infatti, il potere accogliere come legittimo ciò che ne mina le fondamenta? Come potrebbe accettare nel quadro del proprio ordinamento la dissidenza e la rivoluzione, la disobbedienza e la rivolta?
Del dissenso, pertanto, non è possibile trovare una formula more geometrico, ma poi anche una «istituzionalizzazione». Esso è, per sua stessa natura, non istituzionale e, di piú, «anti-istituzionale»: lo si può, semmai, accostare alla figura hegeliana della «coscienza infelice», che avverte, in una dimensione preconcettuale legata anzitutto al sentire, l’alterità tra l’essere e il dover essere, tra la realtà e le sue possibilità inevase.
P...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Pensare altrimenti
  4. 1. Sentire altrimenti
  5. 2. In principio fu il dissenso
  6. 3. Gradi e forme del sentire non omologato
  7. 4. Democrazia e dissenso
  8. 5. Dalla repressione della divergenza all’impossibilità del suo costituirsi
  9. 6. Il tempo del consenso di massa
  10. 7. Neoconformismo e dissenso verso il dissenso
  11. 8. Destra del denaro, sinistra del costume: le due ali del potere
  12. 9. Il pensiero unico politicamente corretto
  13. 10. Ideologia del medesimo
  14. 11. Come Glauco, dio del mare: la manipolazione
  15. 12. La neolingua e il nuovo ordine simbolico
  16. 13. Amare le proprie catene: il teorema di La Boétie
  17. 14. Disobbedienza, rivoluzione, ribellione
  18. 15. Bartleby e Sostiene Pereira: fenomenologia dello spirito dissenziente
  19. 16. Ultimi uomini e nuova cattività simbolica
  20. 17. Due minuti d’odio
  21. 18. Dissento, dunque siamo
  22. Bibliografia essenziale
  23. Il libro
  24. L’autore
  25. Copyright