Londra
eBook - ePub

Londra

Viaggio in una metropoli che non si ferma mai

  1. 192 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Londra

Viaggio in una metropoli che non si ferma mai

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

In questo viaggio nella Londra contemporanea si parla delle strade dello shopping e dei loro inventori, si esplorano i quartieri centrali e periferici, si entra nei grandi musei e negli studi degli artisti di maggior fama, si fa luce sul significato delle regole di comportamento rispettate nei pub e nei club, si chiariscono i motivi alla base del successo di un'industria musicale che da mezzo secolo sforna i nuovi talenti. Accanto alla scintillante Londra postmoderna c'è poi quella tradizionale, i cui segreti vengono riassunti facendo tappa di fronte ai palazzi della famiglia reale, alla residenza del primo ministro oppure passeggiando nelle vie della City. Non mancano, inoltre, una visita agli immensi parchi, la descrizione delle cattedrali dello sport, una sosta nelle redazioni dei quotidiani e uno sguardo ai nuovi luoghi dell'erotismo.
Un libro che esplora la vita di Londra in ogni suo aspetto e che mette a fuoco i motivi che la rendono in grado di accendere desideri di ogni tipo, di garantire emozioni a chi si appassiona al culto dell'antico ma anche a chi vuole inseguire le ultime tendenze.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Londra di Roberto Bertinetti in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Personal Development e Travel. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2017
ISBN
9788858425176
Categoria
Travel

Il mondo in una città

Il panorama etnico di Londra sta cambiando in maniera rivoluzionaria: su un totale di poco superiore a sette milioni di abitanti, un terzo appartiene alle minoranze sbarcate a partire dal secondo dopoguerra. Sono gli inglesi con il trattino: gli anglo-indiani, gli anglo-pakistani, gli anglo-cinesi, gli anglo-caraibici e gli altri componenti di decine di comunità con origini straniere. Diventati da tempo cittadini del Regno Unito, restano fieri delle proprie radici e hanno importato trecento lingue diverse, provenienti da ogni angolo del pianeta. Londra, inoltre, continua a rappresentare la meta di gran parte degli uomini e delle donne che decidono di mettersi in viaggio verso la Gran Bretagna: il cinquanta per cento dei centocinquantamila immigrati che ogni anno arrivano tenta di trovare casa e lavoro proprio nella capitale. Un costante flusso in uscita rende meno esplosiva la crescita demografica di una città che nelle previsioni degli studiosi supererà entro il 2015 gli otto milioni di residenti: se ne vanno in duecentomila ogni dodici mesi. Quasi sempre si tratta di pensionati che ritengono piú confortevole o meno dispendioso vivere in luoghi capaci di offrire maggiori garanzie di tranquillità, magari vicino alla costa, oppure scelgono di trasferirsi all’estero e acquistano casa in Francia, in Italia o in Spagna.
La Londra contemporanea rappresenta una novità assoluta in termini di integrazione multirazziale, almeno per quanto riguarda l’Europa. A sostenerlo è anche una lunga e ben documentata inchiesta uscita alla fine del gennaio 2005 sul quotidiano «The Guardian». Nella quale si afferma che mai nel resto del continente tante persone di origini cosí diverse si sono trovate insieme nello stesso luogo. Con il risultato che sarà proprio Londra a stabilire il successo o il fallimento del tentativo di integrare in maniera pacifica i protagonisti dei flussi migratori alimentati dal processo di fusione delle economie a livello globale. Perché, se è vero che New York o Toronto hanno le carte in regola per contenderle il primato in termini di cosmopolitismo, Londra è l’unica metropoli europea ad aver sperimentato con una velocità sconosciuta altrove questo processo di mutamento. Pagando, almeno per ora, un prezzo abbastanza modesto in termini di conflitti sociali. Le politiche avviate negli ultimi anni dagli esecutivi nazionali e dalle autorità locali hanno contenuto, per quanto possibile, l’emarginazione degli immigrati, all’origine di disordini scoppiati in passato. Scelte urbanistiche accorte hanno poi evitato la nascita spontanea di nuovi ghetti urbani, mentre ingenti risorse sono state impiegate per smantellare quelli già esistenti.
Le ripercussioni dell’inarrestabile marea di arrivi nella città dove si registra la piú alta percentuale di ore lavorate ogni giorno dell’intera Europa appaiono evidenti sul mercato immobiliare: i prezzi delle case e degli appartamenti sono in costante rialzo, gli affitti salgono alle stelle e sembrano destinati a travolgere ogni record storico. È la manodopera meno qualificata a subirne per prima le conseguenze negative. Ma anche le figure professionali intermedie provenienti dall’estero devono fronteggiare enormi problemi per garantirsi una sopravvivenza dignitosa nella capitale piú cara del continente. La crescita dei valori immobiliari e l’aumento del reddito degli immigrati hanno comunque finito per avere ricadute positive sul tessuto urbano di molti quartieri periferici, favorendo la loro riqualificazione.
Oggi a Londra il trenta per cento degli abitanti non ha la pelle bianca e solo la metà viene classificata dagli esperti come britannica allo stato puro. I sondaggi dicono che i londinesi considerano a larghissima maggioranza il loro simbolo l’atleta di colore Kelly Holmes, vincitrice di due medaglie d’oro nel mezzofondo alle Olimpiadi di Atene e capace di battere nelle rilevazioni addirittura la regina Elisabetta. L’atteggiamento nei confronti dei cittadini con passaporto inglese originari di altre parti del mondo sembra, insomma, meno viziato rispetto a pochi decenni fa da pericolosi pregiudizi di natura razziale. Anche se, di tanto in tanto, qualche focolaio non manca di accendersi. Ecco in proposito l’opinione di Leo Benedictus, autore dell’inchiesta uscita sul «Guardian»:
Il quadro complessivo che emerge è quello di una città tollerante. Anche se, forse, oltre la tolleranza, almeno per ora, non si va e c’è chi sostiene che la parola piú giusta è indifferenza. Certo, i giorni in cui la vista di un uomo con il turbante in testa bloccava il traffico sono finiti ormai da un pezzo. Ma non è ancora venuto il giorno in cui il londinese medio saprà con esattezza perché quell’uomo porta il turbante. Forse quel giorno non arriverà mai: pensate alle migliaia di londinesi che si sono divertiti a perseguitare gli immigrati durante l’intero ventesimo secolo. Ebrei e tedeschi erano bersagli facili, seguiti dai caraibici e dagli asiatici le cui case vennero periodicamente assediate e incendiate dai bianchi. Però se l’alternativa piú comune è l’ostilità, allora forse l’indifferenza non è tanto male. I tassisti, del resto, non diventano sostenitori del multiculturalismo dall’oggi al domani, proprio come gli immigrati non si trasformano per magia in perfetti britannici.
I flussi migratori, irrobustitisi nell’ultimo decennio e contrassegnati sempre piú da uomini e donne con un buon titolo di studio, hanno cambiato la mappa etnica e urbanistica di Londra, offrendo un contributo decisivo alla definizione di una nuova idea della «londonesità». Simile per certi aspetti, anche se lontana anni luce nel suo significato profondo, a quella che aveva preso forma fra Otto e Novecento e ormai inadeguata per riassumere i mutamenti avvenuti durante l’ultimo mezzo secolo. Londra è infatti tornata a essere una città «imperiale». Tuttavia non certo in virtú di un controllo diretto esercitato su gran parte del globo. Bensí per la caratteristica di ospitare uomini e donne provenienti dall’intero pianeta, che si mescolano in maniera abbastanza pacifica e con una velocità sconosciuta altrove. Permettendole di mantenere un primato che un tempo le era garantito dalla forza del suo esercito o delle sue imprese. Mentre oggi le viene assegnato per la dinamicità e per la vivacità culturale che è in grado di esprimere proprio grazie all’apporto fondamentale degli inglesi con il trattino.
East End.
Sono i quartieri alle spalle della City quelli che meglio raccontano al viaggiatore attento le trasformazioni di cui sono stati protagonisti in questi anni gli immigrati. Spitalfields, Whitechapel, Shoreditch e altre parti dell’area che sulla carta di Londra viene indicata con le sigle E1 e E2, hanno cancellato quasi ogni traccia del loro difficile passato per diventare frenetici incubatori di futuro. Proprio alla dinamicità imprenditoriale dei cittadini di pelle scura va ascritto il merito di essere riusciti a offrire una prospettiva di sviluppo alla zona un tempo sinonimo di degrado e di miseria. Qui, infatti, trovavano alloggio nell’Ottocento, attirati dai bassi affitti, i derelitti in arrivo dall’estero e si mescolavano con la fascia piú povera della working class britannica o con i rifugiati politici espulsi dalla loro terra d’origine. Erano in particolare le aziende tessili a garantire un modesto reddito agli abitanti di un inferno di cui i militanti delle organizzazioni caritatevoli di epoca vittoriana parlavano con gli stessi toni apocalittici adoperati per narrare i viaggi nel cuore dell’Africa. Oggi i capannoni industriali rimasti a lungo abbandonati ospitano gallerie d’arte, studi di professionisti, locali notturni, ristoranti. Garantendo una mescolanza di colori, stili di vita e lingue che hanno reso l’intero East End una zona alla moda, in cui i prezzi delle case, degli appartamenti e dei negozi salgono senza sosta.
La rivoluzione dell’East End è avvenuta davvero molto in fretta e senza un preciso disegno strategico a guidarla. Per capire cos’era sino a un passato decisamente prossimo è utile leggere Sette mari tredici fiumi, il romanzo del 2003 con cui ha fatto il suo folgorante esordio Monica Ali, nata a Dacca nel 1967 da padre bengalese e madre britannica ma laureatasi in letteratura a Oxford. Attraverso le disavventure di Nazneen, la sposa-bambina spedita a Londra dall’Asia per unirsi in matrimonio con un uomo molto piú anziano di lei, Monica Ali riassume le difficoltà con cui doveva fare i conti all’inizio degli anni Ottanta, in epoca di thatcherismo trionfante, chi si trovava rinchiuso in quel ghetto noto come «Banglatown» ai lettori della stampa popolare inglese. Quando finalmente una mattina Nazneen decide di uscire dal suo minuscolo appartamento per esplorare il quartiere dove abita ecco cosa vede:
Fuori, piccoli lembi di nebbia pendevano dai lampioni come barbe, mentre uno stuolo di piccioni girava sull’erba con aria stanca, come un gruppo di detenuti in cortile durante l’ora d’aria... Nazneen si coprí i capelli con l’estremità del sari. Arrivata alla strada principale, guardò da una parte e dall’altra, poi svoltò a sinistra. Due uomini stavano trascinando dei mobili fuori da una bottega di rigattiere per metterli in mostra sul marciapiede. Uno di loro rientrò e uscí con una sedia a rotelle. Vi assicurò una catena e la fissò con un lucchetto a un armadio, come se stesse organizzando una gara di corsa a tre gambe tra i mobili… Lei riprese a correre e imboccò una traversa, poi svoltò di nuovo a destra su Brick Lane... E le strade erano ingombre di rifiuti, regni interi di rifiuti accatastati a formare fortezze separate unicamente dai fragili confini di bottiglie di plastica e scatole di cartone unte... Un paio di scolaretti, pallidi come il riso e chiassosi come pavoni, tagliarono per quella strada dirigendosi a precipizio verso una traversa, correndo per la gioia o per il terrore. Altrimenti, Brick Lane era deserta.
Vent’anni dopo non c’è piú traccia di rigattieri a Brick Lane, la via è sempre animata, spesso la sera è difficile farsi largo tra chi la percorre per trovare un tavolo disponibile in uno dei ristoranti etnici ospitati dagli edifici con la facciata di mattoni rossi. Sono il cibo, il design e la moda a caratterizzare lo sviluppo di questa porzione dell’East End che deve il suo nome alle antiche fornaci aperte nel Cinquecento. Tre elementi che indicano il rapido passaggio al paradiso del postindustriale dopo il declino del tessile e la chiusura degli ultimi laboratori. Una metamorfosi avvenuta dolcemente e senza vendersi l’anima, evitando il rischio di un’inutile assimilazione, cogliendo il vento di un largo favore per un meticciato in grado di ridisegnare piatti, abiti e oggetti d’arredo. E cosí la polverosa e buia bottega dove Nazneen poteva acquistare i suoi sari è ora un Modern Sari Center ricco di colori vivaci, una vera e propria boutique in cui chi entra osserva l’influsso europeo in ambito sartoriale esercitato sui capi tradizionali delle donne del subcontinente. Ancora pochi passi e si arriva al Vibe Bar, locale di culto tra i giovani di Londra, che promuove la musica d’avanguardia. Pochi metri piú avanti a fargli concorrenza c’è il Café Naz, che il proprietario Muquim Ahmed presenta con orgoglio come meta abituale di Tracey Emin, stella nascente dell’ultima generazione di artisti britannici. Al posto dei rigattieri sbirciati da Nazneen nel corso della sua passeggiata ci sono negozi d’arredo in cui pezzi unici di inizio Novecento vengono offerti a carissimo prezzo accanto a mobili piú recenti ma con un costo altrettanto inavvicinabile per chi dispone solo di un reddito medio basso.
È la stessa Monica Ali nella seconda parte del suo romanzo a proporre una sintesi delle trasformazioni avvenute in Brick Lane raccontando ancora una volta una passeggiata di Nazneen. Questa volta la donna è in compagnia del marito e dalla prima esplorazione della via sono trascorsi quindici anni:
C’erano anche locali eleganti con tovaglie bianche inamidate e schiere di posate d’argento scintillanti... I tavoli erano distanziati e si notava un’assenza di decorazioni nella quali Nazneen riconosceva uno stile ricercato... «Vedi, – disse Chanu. – Tutti questi soldi, soldi dappertutto. Dieci anni fa qui non c’erano soldi». Fra un ristorante bengalese e l’altro, tante piccole botteghe vendevano vestiti, borse e gingilli. I giovanotti, tra i clienti, indossavano calzoni con l’orlo tagliato e sandali, le ragazze T-shirt tese sul petto che lasciavano scoperto l’ombelico. Chanu si fermò a guardare la vetrina di un negozio. «Settantacinque sterline per quella piccola borsa. Dentro non ci starebbe neanche un libro».
L’ingresso a pieno titolo nella middle class di migliaia di abitanti della zona di origine asiatica si è sommato all’effetto di una riqualificazione urbanistica che ha reso eleganti e moderni molti edifici dell’East End, trasformando il ghetto degli emigrati e dei lavoratori piú poveri di pelle bianca in un’area ormai etichettata come cool, che tuttavia conserva ancora ben visibili alcune tracce del passato. Se si scende verso la parte sud di Brick Lane, a poche centinaia di metri dalla stazione di Liverpool Street, la porta di Londra per tutti i viaggiatori in arrivo dall’aeroporto di Stansted, si trova ad esempio all’incrocio con Fournier Street un grande edificio dalla storia suggestiva: costruito nel 1744 come chiesa per i tessitori ugonotti, a partire dal 1898 e sino al 1975 fu utilizzato come sinagoga dagli ebrei del quartiere per poi trasformarsi nella London Jamme Masjjd, la moschea di «Banglatown», appunto. Il carattere sacro del luogo, dunque, è rimasto inalterato nel corso dei secoli, pur mutando il culto. A riprova che ha ragione Roy Porter quando, in un suo saggio sulla storia sociale della metropoli, fa rilevare che una delle principali caratteristiche di Londra è costituita dall’incessante trasformazione, dalla capacità di assorbire e inglobare elementi diversi piuttosto che cancellarli e rimuoverli.
Il flusso migratorio che oggi colora e arricchisce l’intero East End ha radici profonde nel passato. Qui, infatti, si insediarono gli ugonotti francesi che attraversarono la Manica tra il Seicento e il Settecento, gettando i semi di una laboriosità operaia destinata in seguito a stringere un fitto dialogo con il radicalismo politico. Delle minuscole librerie anarchiche aperte durante l’ultima parte del vittorianesimo non c’è però quasi piú traccia. L’unica che sopravvive, sia pure tra mille difficoltà, è il Freedom Bookstore in Angel Alley, un minuscolo vicolo alle spalle di Whitechapel High Street. All’incrocio tra Fulbourne Street e Whitechapel Road si può ancora vedere l’edificio dove, nel 1907, si tennero le riunioni per preparare il congresso del Partito socialdemocratico russo alle quali presero parte, tra gli altri Gorkij, Trockij e Lenin. Nelle vie dell’East End, poi, ebbero luogo all’inizio del Novecento molti scontri tra i lavoratori e la polizia, culminati nella grande mobilitazione durante lo sciopero generale del 1926, l’anno peggiore per le vertenze sindacali dell’intera storia britannica del XX secolo a giudizio degli studiosi.
Un murale dipinto sulla facciata della St George’s Town Hall ricorda l’epica battaglia di Cable Street, nella parte meridionale di Whitechapel, combattuta il 5 ottobre 1936. A Cable Street i fascisti inglesi, con alla testa Oswald Mosley, vennero bloccati grazie a fitte sassaiole e alle barricate erette in tutta fretta dagli abitanti del quartiere mentre erano in marcia per occupare l’East End. «Vogliamo ripulirlo dalla feccia composta da stranieri e comunisti che ne ammorba l’aria», disse lo stesso Mosley annunciando ai giornali la spedizione. Per respingere l’assalto si mobilitò un gruppo assai eterogeneo sotto il profilo etnico. C’erano irlandesi, ebrei, francesi, russi e polacchi, oltre naturalmente a decine di esponenti della working class britannica con il cuore a sinistra. Lo scontro fu violento e venne in seguito raccontato in dettaglio dal deputato Phil Piratin nel suo celebre volume autobiografico Our Flag Stays Red. La giornata si concluse con la ritirata dei fascisti che, scortati dalla polizia, preferirono ripiegare verso la sponda del Tamigi lasciando l’East End al suo destino multirazziale.
L’anima popolare di questa zona ha ispirato una delle soap di maggior successo e di piú lunga durata della tv britannica: EastEnders viene messo in onda dalla Bbc due volte alla settimana dal febbraio 1985, ha già raggiunto il traguardo di tremila puntate alle quali assistono in media oltre sette milioni di telespettatori, con un record assoluto di trenta milioni a Natale del 1986. La radicalità dell’East End è riemersa in occasione delle politiche del maggio 2005, quando a sorpresa si è interrotto il dominio laburista. A Westminster, infatti, gli elettori dell’East End hanno inviato George Galloway, leader e fondatore di Respect, il partito costruito e messo in pista in pochi mesi dopo la cacciata dello stesso Galloway dal New Labour a causa della sua battaglia contro l’intervento militare in Iraq e, soprattutto, dei legami poco trasparenti con il regime di Saddam dal quale potrebbe aver ricevuto finanziamenti. L’accusa non ha danneggiato Galloway nel corso di un’aspra campagna elettorale conclusasi con una larga vittoria sulla parlamentare uscente, la giovane Oona King, una «Blair’s Babe» con le caratteristiche biografiche giuste per rappresentare lo spirito liberal e tollerante del quartiere. Nonostante sia figlia di un afro-americano, distintosi negli Stati Uniti nella battaglia per i diritti civili, e di un’ebrea nata in una zona dell’East End che ricorda le comunità dell’Europa orientale raffigurate nelle tele di Chagall, Oona King ha pagato la rabbia di molti cittadini di fede musulmana residenti nel collegio per le scelte del primo ministro, da lei sostenute in maniera aperta. E cosí Galloway, sanguigno populista, è riuscito a catturare la maggioranza dei voti espressi nell’East End, garantendo a Respect almeno un seggio parlamentare.
Un saldo rapporto tra il passato e il presente dell’East End non caratterizza soltanto la vita politica di questa porzione del centro di Londra dove nell’Ottocento la buona borghesia rifiutava addirittura di mettere piede. «Non siamo soliti portarvi i nostri clienti. Non abbiamo richieste e non sappiamo niente di quei posti», rispose nel 1902 il direttore della agenzia Thomas Cook alla richiesta di una guida avanzata da Jack London, che perciò si vide costretto ad avventurarvisi da solo mentre era impegnato a cercare materiale per un suo romanzo (Il popolo dell’abisso) in cui raffigurava il dramma della working class in cerca di riscatto. Nelle vie di Whitechapel, ad esempio, si sono sempre raccolte le prostitute, qui ha ucciso Jack lo squartatore, omicida vittoriano ancora senza nome i cui delitti offrono lo spunto per macabre passeggiate a tema proposte, pare con successo, ai turisti. Anche oggi l’industria del sesso sembra non conoscere crisi, in particolare nelle stradine laterali di Commercial Road o, piú verso nord, di quella Commercial Street che rappresenta la porta d’accesso verso Spitalfields, dove i negozi a luci rosse sono presenti in numero assai elevato. Mantiene poi le stesse caratteristiche multietniche di qualche decennio fa il grande Old Spitalfields Market, affacciato su Commercial Street, che esibisce una traccia assai visibile delle ondate migratorie insediatesi nell’East End: cibi e prodotti italiani e francesi sono messi in vendita accanto a quelli tipici di «Banglatown» o della antica tradizione ebraica e non mancano neppure bancarelle che offrono abiti, gioielli, mobili o tessuti usciti dai laboratori artigianali di tendenza di cui è ricca l’intera area.
C’è, infine, un aspetto meno noto che garantisce un solido legame tra l’East End di un tempo e la realtà di oggi: l’effervescenza della vita notturna. Ecco come ne racconta il passato Peter Ackroyd:
Le condizioni di vita di Whitechapel, Bethnal Green e simili possono aver predisposto i loro residenti a piaceri poco raffinati: lo testimoniano le balere e i pub fortemente illuminati, con relative grossolanità e rozzezza. Ma è anche significativo che l’East End ospitasse piú music hall di ogni altra parte di Londra... Alla metà dell’Ottocento... piú o meno centocinquanta. È tipico che Charles Morton, universalmente... noto come «il padre del music hall» avendo aperto il Canterbury nel 1851, fosse nato a Bethnal Green. In un certo senso la parte orientale della città riaffermava semplicemente la propria identità. Del resto due dei primi teatri londinesi, il Theatre e il Curtain, erano stati costruiti nel Cinquecento sul terreno libero di Shoreditch; l’intera area fuori le mura diventò sede di svaghi popolari di ogni genere, dai ritrovi da tè agli incontri di lotta e ai combattimenti tra orsi.
Ormai fuori moda il music hall nella sua forma tradizionale, con le grandi produzioni in grado di sostenere investimenti per milioni di sterline trasferitesi da molti anni nei teatri piú capienti e mo...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Londra
  3. Introduzione
  4. Londra
  5. I. Consumi di ieri, consumi di oggi
  6. II. Sovrani, politici e altri potenti
  7. III. Il mondo in una città
  8. IV. La fabbrica delle avanguardie
  9. V. Svaghi tra sesso, alcol e sport
  10. Ringraziamenti
  11. Backstage bibliografico
  12. Il libro
  13. L’autore
  14. Copyright