La storia di Genji
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La storia di Genji

Murasaki Shikibu, Maria Teresa Orsi

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  1. 1,440 pagine
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La storia di Genji

Murasaki Shikibu, Maria Teresa Orsi

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I molti amori di Genji lo Splendente, l'arte, la musica, la fortuna e le tragedie inaspettate, le lotte per il potere, l'eleganza e la malinconia del Giappone feudale; un mondo affascinante e impalpabile. Accolta a corte per la sua fama di donna amante della letteratura, Murasaki Shikibu, dama dell'entourage dell'imperatrice Shoshi, compone il Genji monogatari nel primo decennio dopo l'anno mille. Immaginata come intrattenimento per la parte femminile dell'aristocrazia, l'opera di Murasaki non è solo diventata il «classico tra i classici» della letteratura giapponese, ma un classico della letteratura mondiale.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2017
ISBN
9788858426449
Argomento
Literature
Categoria
Classics

CAPITOLO PRIMO

1. Il titolo di nyōgo (Sposa o Consorte Imperiale) entrò in uso in Giappone all’inizio del IX secolo e, nella complessa gerarchia dei ranghi delle Consorti del Sovrano, poteva essere attribuito solo a figlie di principi imperiali, reggenti o primi ministri. La nomina a nyōgo era una tappa indispensabile perché una dama potesse aspirare al titolo di Imperatrice (chūgu o kōgō). In particolare, la dama di cui si parla in questo capitolo ha il titolo di kōi (lett. «addetta al cambio del vestiario»), riservato in genere a figlie di consiglieri che a loro volta appartenevano a un rango inferiore rispetto a quello di ministro.
2. La gerarchia nobiliare prevedeva otto gradi, divisi a loro volta in due o quattro livelli. Una netta divisione esisteva fra l’alta nobiltà (kandachime) – definita dalla qualifica oltre che dal rango, che comprendeva nobili dei primi tre gradi e altri dignitari ammessi al Consiglio Supremo e che avevano accesso alla presenza del Sovrano – e gli altri gruppi. Al secondo gruppo appartenevano nobili (tenjōbito) insigniti del quarto o quinto rango e designati specificamente dal Sovrano come facenti parte della Corte: come tali, avevano il permesso di entrare nel Tenjō no ma, la stanza meridionale del Seiryōden, la residenza privata del Sovrano. A essi venivano aggiunti anche nobili del sesto rango, come il Capo della Cancelleria Privata (kurōdo). La nobiltà minore ( jige) includeva coloro che erano insigniti del quarto grado o gradi inferiori, e non erano inclusi nel secondo gruppo. Fornivano i quadri della burocrazia della capitale e del governatorato nelle province.
3. Yang Guifei (giapp. Yōkihi): «la preziosa concubina Yang», vero nome Yang Yuhuan, Consorte favorita dell’Imperatore cinese Xuanzong (anni di regno 713-56) della dinastia Tang. La tradizione attribuí alla sua influenza negativa e allo sconsiderato amore che l’Imperatore nutriva per lei la progressiva decadenza delle istituzioni e del potere imperiale, culminata nel 755 nella rivolta del generale An Lushan. Obbligato a fuggire dalla capitale dopo la sconfitta del suo esercito, l’Imperatore fu costretto a mettere a morte Yang Guifei, ritenuta dai soldati la principale responsabile del disastro. La tragica vicenda di Yang Guifei avrebbe costituito uno dei soggetti preferiti della narrativa popolare e del teatro nelle epoche successive; alla sua storia d’amore con Xuanzong, dal primo incontro fino alla drammatica conclusione, è dedicato inoltre il famoso poema Canto dell’eterno dolore (Changhenge, giapp. Chōgonka) di Bai Juyi (772-846), piú volte citato all’interno del Genji monogatari. Per la traduzione italiana cfr. Andrea Maurizi, Canto dell’eterno dolore, in Virginia Sica e Francesca Tabarelli de Fatis (a cura di), Lo spirito giovane della calligrafia classica, Go Book Editore, Trento 2006, pp. 34-39.
4. A differenza delle dame di rango inferiore, la protagonista poteva alloggiare in un’ala indipendente della residenza imperiale e presentarsi al Sovrano solo quando veniva convocata.
5. Kiritsubo: lett. «cortile (tsubo) della paulonia (kiri)», dal nome della pianta che cresceva nel giardino interno; era il nome con cui era comunemente conosciuto il padiglione situato nell’angolo piú a nord-est rispetto alla residenza dell’Imperatore. Come Dama del Padiglione della Paulonia (Kiritsubo no kōi) è indicata la protagonista del primo capitolo, madre di Genji. A sua volta il Sovrano, padre di Genji, viene per tradizione indicato da lettori e commentatori come Kiritsuboin (Imperatore del Padiglione della Paulonia).
6. Edificio situato accanto alla residenza imperiale, sul lato occidentale rispetto alla stessa.
7. Hakama: cfr. Glossario.
8. Località situata a est della capitale (oggi compresa nell’area di Kyōto), dove si svolgevano le cerimonie funebri.
9. Possibile allusione a una poesia, che secondo il Genji shaku, il piú antico commentario al Genji monogatari rimastoci, potrebbe essere la seguente: Aru toki wa | ari no susabi ni | nikukariki | nakute zo hito wa | koishikarikeru [«Fintanto che era in vita | la sua presenza | creava problemi | ma ora che se n’è andata | la rimpiango piú che mai»].
10. Myōbu: cfr. Glossario. Yugei (lett. «portatore di faretra») era un termine generale riferito alle Guardie di palazzo. La dama in questione era cosí chiamata perché moglie o figlia o sorella di una Guardia di palazzo; cfr. Francine Hérail, Fonction et fonctionnaires japonais au début du XIe siècle, POF, Paris 1977, pp. 564 sgg.
11. Mubatama noyami no utsutsu wa | sadaka naru | yume no ikura ka | masarazarikeri [«La realtà | nell’oscurità della notte | nera come i frutti dell’uba | non ha superato il sogno luminoso | del nostro incontro»]; Kokin wakashū, 647. Questa poesia, come del resto la maggior parte di quelle citate all’interno del Genji monogatari, appartiene al genere tanka («poesia breve»), dominante all’interno della produzione classica, e formato da cinque versi per un totale di trentuno sillabe, disposte secondo lo schema 5-7-5-7-7.
12. Hagi: cfr. Glossario. La fioritura degli hagi, divenuta un topos ricorrente nella poesia classica, aveva reso famosa la piana di Miyagi, situata presso l’attuale città di Sendai, nel Nord del Giappone. Nel testo, nel nome di Miyagi è implicita un’allusione alla Corte imperiale (miya), mentre la pianticella di hagi si riferisce al piccolo Principe.
13. Ika de nao | ari to shiraseji | Takasago no | matsu no omowamu | koto mo hazukashi [«Vergognandomi di ciò | che potranno pensare | i pini di Takasago | non farò sapere | che sono ancora in vita»]; Kokin waka rokujō, 3057. I pini gemelli del Santuario di Takasago, nell’attuale provincia di Hyōgo, sono spesso citati nella poesia classica come simbolo di longevità.
14. Allusione a una poesia di Fujiwara no Kanesuke: Hito no oya | no | kokoro wa yami ni | aranedo mo | ko o omou michi ni | madoinuru ka na [«Il cuore di un genitore | non è immerso | nelle tenebre | eppure si smarrisce | nel pensare al proprio figlio»]; Gosen wakashū, 1102.
15. L’Imperatore Uda (anni di regno 887-97), chiamato Teijinoin dal nome della residenza dove visse per un certo tempo dopo avere rinunciato al trono.
16. Ise (f...

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