Della dissimulazione onesta
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Della dissimulazione onesta

  1. 144 pagine
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Questa edizione dell'opera di Torquato Accetto non solo ci restituisce un testo estremamente singolare, non solo ci rivela nell'umbratile secentesco un grande, temerario retore; ma ci propone un esempio che riconduce ad un'idea della letteratura, idea che non è meramente barocca; la letteratura è una misteriosa, emblematica epifania di parole, che agiscono anche dove tacciono: essa non teme le altezze della teologia positiva, e gli «abissi chiari» della teologia negativa; non ha luogo, ma penetra dovunque, anche nella preziosa forma dell'assenza; infine, è tormentosa e irrinunciabile; è la «cicatrice» che strazia e crea il mondo. Cancellatela; e anche la cancellazione sarà letteratura.
Giorgio Manganelli

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2017
ISBN
9788858425121

Usi della pazienza

di Salvatore Silvano Nigro

A Brer e Tien,
a Stephen e Daffodil
«Pazienza, cuore…»
Ulisse, in Odissea, XX, 18.
1. Tra i falsari della prudenza.
In una eventuale storia della decapitazione, la testa decollata di Ferrante Pallavicino aprirebbe un capitolo sull’infamia; e sulle astuzie dei libri pericolosi, che in tempi di persecuzioni aspirano a sopravvivere: seppure in clandestinità. Che gli inquisitori disponessero di spie, di bargelli e di boia, lo sperimentò presto il Pallavicino; reo di lesa maestà divina e umana, per avere liberamente «parlato e scritto degli abusi di cristiana republica»: lui che si era sfratato; e che, da apostata e libertino, si era convinto che il «tacer gli eccessi, non è pietà ma assentimento» e «complicità». Venne tradito da un amico e confidente: una spia, di fatto, che lo consegnò ai carnefici. Un colpo di mannaia gli spiccò la testa, ad Avignone. Ferrante aveva ventotto anni. Era il 5 marzo del 1644.
«Si crede di sepelire… le ingiustizie col corpo di chi le biasima». Il commento è dello spirito vagante del maldecapitato. Che viene evocato nell’anonimo libello intitolato L’anima di Ferrante Pallavicino; perché, ormai imprendibile, continui impunemente a ripetere le sue verità nella forma dichiaratamente bugiarda, e pertanto non incriminabile, di un dialogo con anno e luogo di stampa falsati: in Villafranca 1643, «ultima impressione» addirittura; e un anno prima che Ferrante perdesse la testa, e rendesse l’anima, per aver detto la «verità»1.
Secolo di teatrali bugiardi è il Seicento, al finger sempre pronto e nell’ingannare accorto: dal García della Verdad sospechosa di Juan Ruiz de Alarcón, al Dorante del Menteur di Corneille. E di teatrali falsari: con Jago, falsario dell’amicizia nell’Othello di Shakespeare; con il Don Giovanni di Tirso de Molina e di Molière, falsario dell’amore; e con il Tartufo, ancora di Molière, falsario della devozione. «Mentire senza vergogna» è coazione a ripetere, da fanfarone e frottolone, nella Verdad sospechosa2. «Io non sono quel che sono», proclama Jago3; che, gran fabbro di calunnie e in modi che sono accuse e paion lodi, a dismisura fa montare un fazzoletto rubato in «vela» di passione e un lenzuolo nuziale in sudario. «Sono un uomo senza nome», dice l’adescatore e seduttore Don Giovanni4. È quel che appare, Tartufo; che sventola pudore con il feticcio di un altro fazzoletto («… prendete il fazzoletto… Coprite il seno, non lo posso guardare»)5. Le maschere rendono invisibili: impenetrabili, elusivi e sfuggenti. Persino anonimi e insidiosi. Ipocriti. Impostori e traditori, talvolta. E falsari, comunque: coscienze instabili; lacerate, se oneste; altrimenti tenebrose, vischiose e gaglioffe: biecamente impaludate e avvolpinate, tra furberie e attentati.
Tra piccole ipocrisie e grandi macchinazioni (registrate anche da Pascal), universale è la «milizia» della «malizia»; tanto che per l’uomo sagace, «formato» dall’Oráculo manual y arte de prudencia (1647) di Gracián, la stessa sincerità è una modalità della menzogna: un mutar gioco, per cambiare astuzia: «la sagacia tenta di trarre in inganno con la verità medesima»6. Ne conviene Mlle de Scudéry, nella «conversazione» De la dissimulation et de la sincerité (1680)7. Le virtù sono spesso – lo ribadiscono Esprit, La Rochefoucauld e La Bruyère – vizi mascherati8. Il più grande dei candori può essere stratagemma di «bugia» mascherata di «verità». E la comunicazione finisce per essere arredo e fastoso addobbo di enigmi: un corrispondere con «iscrittura in cifra» al «foglio bianco» di un discorso dissimulato, nel romanzo Il principe ermafrodito (1640) di Ferrante Pallavicino sui travestimenti che fanno «mentire anche il sesso»9.
Un falsario della prudenza è, per altro verso, l’anonimizzatosi autore dell’Anima di Ferrante Pallavicino. Si affaccia in maschera. E si dà impunità di mentitore confesso, mentre con imprudenza issa come reliquia, sull’altare sacrificale della verità, la testa di un apostata consacrato dalla “palma” del “martirio”. Se la vita è finzione e recita in maschera, e (come nella Vida es sueño di Calderón) sconcerto conoscitivo e angoscia d’identità, neppure la verità può andare nuda e a viso scoperto. E la prudenza si istituisce come tensione tra ammesso e omesso; tra ciò che viene alla luce e ciò che si nasconde. Lo sapeva Cartesio. Che, nel Discours de la méthode (1637), teorizzò la necessità di una scrittura dissimulatrice dopo la condanna nel 1633 degli scritti e delle idee scientifiche di Galileo Galilei. E si provò nell’esposizione di un libro che, nella sua visibile sommarietà, lasciasse leggere un anteriore e più ampio trattato di fisica oscurato, e in parte reso impraticabile, dalla prudenza: «… considerando la catena di queste leggi, mi sembra di avere scoperto parecchie verità… Ma poiché ho cercato di spiegarne le principali in un trattato che certe considerazioni mi impediscono di pubblicare, mi pare che il mezzo migliore di farle conoscere sia di offrire qui un’esposizione sommaria del suo contenuto. Il mio disegno era d’includervi quanto pensavo di sapere, prima di scriverlo, circa la natura delle cose materiali. Ma, come i pittori, non potendo rappresentare altrettanto bene sulla superficie piana di un quadro tutte le diverse facce di un corpo solido, ne scelgono una delle più importanti per mettere quella sola in luce e, lasciando in ombra le altre, le rendono visibili solo nella misura in cui si possono vedere guardando la prima; così, nel timore di non saper dare nel mio discorso espressione adeguata a tutto ciò che avevo in mente, cercai soltanto di esporvi con molta ampiezza la mia concezione della luce»10.
L’autocensura di Cartesio si dichiara e si smentisce negli effetti speciali del laboratorio di scrittura: nella messa in campo di moventi cautelativi; nella denuncia di uno statuto di parziale verità; e quindi nell’escogitazione di una prospettiva artificiosa che, attraverso le carenze e le omissioni di un dire incompleto, lascia per l’appunto percepire illusionisticamente la pienezza del trattato originario contrattosi in risentito trattatello. Sono gli anni in cui un ingegnoso gioco ottico di “curiosa” prospettiva consente a Borromini di dare illusiva profondità alla romana galleria di Palazzo Spada; e poco più tardi, a Bernini, di allargare gli spazi della Scala Regia che dal portico di San Pietro conduce al Palazzo Vaticano. La perspective curieuse, ou magie artificielle des effets merveilleux de l’optique, recita il titolo del trattato di Jean-François Niceron; pubblicato a Parigi nel 1638: tredici anni dopo che Lo inganno degli occhi (1625) di Pietro Accolti aveva cominciato a sporgersi sulle astuzie dei procedimenti prospettici e sulle distorsioni stupefacenti delle anamorfosi11. Toccherà al vescovo spagnolo Juan Caramuel ripartire da Cartesio. E trasporre la “logica obliqua” delle due verità (speculativa e pratica) della Theologia fundamentalis (1652) nella “doppia via” della Architectura civil. Recta y obliqua (1678): tra la geometria euclidea delle forme semplici e l’obliquo delle deformazioni ottiche e prospettiche; per una relatività del reale: uno e molteplice, divaricato com’è dal quoad se dell’oggetto nelle sue dimensioni e dal quoad nos delle amplificazioni e delle proliferazioni illusive nei nostri occhi12.
Intanto la semeiotica morale si è attrezzata per decifrare come atto retorico ciò che si nasconde in ciò che appare: dalla «favella visibile» dell’Arte de’ cenni (1616) di Giovanni Bonifaccio alla Chironomia or the Art of Manual Rhetoric (1644) di John Bulwer. Anche il corpo è una scena testuale: il teatro, tutto da congetturare, delle manifestazioni visibili di quanto è occulto e occultato; financo nello svolazzo irritato di una mano con penna, che apre una «finestra» sul cuore segreto di chi scrive, e nella zona estrema e improbabile delle unghie: secondo il Trattato come da una lettera missiva si conoscano la natura e le qualità dello scrittore (1622) e il De naturali ex unguium inspectione praesagio (1629), entrambi di Camillo Baldi13. A partire dai movimenti di un sopracciglio, il pittore e somatologo Charles Le Brun disegnò un repertorio di “ritratti” delle emozioni nella Conférence sur l’expression générale et particulière pronunciata nel 166814. A indovinare le passioni, a «pénétrer le menteur», ci si provarono almeno, i secentisti15. E poco importa che, già nel 1683, l’erudito Louis Moréri del Grand dictionnaire historique pensasse di schedarli tutti, questi ermeneuti avventurosi, in un conturbante «Catalogue de ceux qui ont écrit des sujets de néants». Di questi rabdomanti e almanaccatori del «niente» si era fatto involontario patrono, e autorevole, Shakespeare; nel King Lear: «Ciò che ha la qualità del nulla, non ha tutto questo bisogno di nascondersi. Vediamo; se si tratta di niente, non avrò bisogno degli occhiali»16.
L’ipocrisia «è una strada nata col mondo e c...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Della dissimulazione onesta
  3. Elenco delle illustrazioni
  4. Usi della pazienza di Salvatore Silvano Nigro
  5. Nota bibliografica
  6. Nota biografica e criteri di edizione
  7. Cuore, pazienza e verità
  8. Della dissimulazione onesta
  9. L’autor a chi legge
  10. I. Concetto di questo trattato
  11. II. Quanto sia bella la verità
  12. III. Non è mai lecito di abbandonar la verità
  13. IV. La simulazione non facilmente riceve quel senso onesto che si accompagna con la dissimulazione
  14. V. Alcuna volta è necessaria la dissimulazione, e fin a che termine
  15. VI. Della disposizione naturale a poter dissimulare
  16. VII. Dell’esercizio che rende pronto il dissimulare
  17. VIII. Che cosa è la dissimulazione
  18. IX. Del bene che si produce dalla dissimulazione
  19. X. Il diletto ch’è nel dissimulare
  20. XI. Del dissimulare con li simulatori
  21. XII. Del dissimulare con se stesso
  22. XIII. Della dissimulazione che appartiene alla pietà
  23. XIV. Come quest’arte può star tra gli amanti
  24. XV. L’ira è nimica della dissimulazione
  25. XVI. Chi ha soverchio concetto di se stesso ha gran difficultà di dissimulare
  26. XVII. Nella considerazione della divina giustizia si facilita il tollerar, e però il dissimular le cose che in altri ci dispiacciono
  27. XVIII. Del dissimular l’altrui fortunata ignoranzia
  28. XIX. Del dissimular all’incontro dell’ingiusta potenzia
  29. XX. Del dissimular l’ingiurie
  30. XXI. Del cuor che sta nascosto
  31. XXII. La dissimulazione è rimedio che previene a rimuover ogni male
  32. XXIII. In un giorno solo non bisognerà la dissimulazione
  33. XXIV. Come nel cielo ogni cosa è chiara
  34. XXV. Conclusione del trattato
  35. Indice dei nomi
  36. Il libro
  37. L’autore
  38. Copyright