Non aspettarmi vivo
eBook - ePub

Non aspettarmi vivo

La banalità dell'orrore nelle voci dei ragazzi jihadisti

  1. 272 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Non aspettarmi vivo

La banalità dell'orrore nelle voci dei ragazzi jihadisti

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Chi sono i ragazzi che si uniscono all'Isis e cosa li spinge a partire lasciandosi tutto alle spalle, anche l'amore delle madri, delle fidanzate, dei fratelli, per fare la guerra agli infedeli? Gli sms che i giovanissimi jihadisti scrivono alla mamma dalla Siria. Ciò che i loro padri sono disposti a fare per fermarli, o per riportarli indietro, anche a costo della vita. Lo smarrimento dei loro amici. Le promesse del radicalismo religioso, che con il linguaggio della modernità adesca sul web quelli che fino a un attimo prima erano studenti modello, musicisti trasgressivi, calciatori prodigio, ballerini di break dance, majorette vanitose, discotecari in fissa coi marchi alla moda, adolescenti affettuosi. Il contagio islamista sembra essersi diffuso come una malattia esantematica, finché il paradiso non è diventato la destinazione ambita da molti ventenni in cerca di un posto nel mondo. Migotto e Miretti scrivono un libro pieno di inedite testimonianze. Un viaggio crudo e scioccante nella quotidianità e nell'immaginario dei ragazzi sedotti da Da'ish, per scoprire che il paesaggio svelato è insieme esotico e ben piú familiare del previsto. «A gruppi di cinque, di sei, di tredici, in ciabatte o calzando un paio di sneakers tarocche, i ventenni sparivano cosí, alla buona, per rinascere cittadini virtuali d'un mondo nuovo; e da quell'altrove arcaico e però ben connesso si facevano vivi con la famiglia in ansia, via Facebook, Skype o WhatsApp, per far sapere di essere sulla strada verso il paradiso».

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Non aspettarmi vivo di Stefania Miretti, Anna Migotto in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Letteratura poliziesca e gialli. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2017
ISBN
9788858425589
1.

Il padre

La sera del 28 giugno 2016, qualche minuto prima delle dieci, il colonnello Fathi Bayoudh muore vincendo l’unica guerra alla quale abbia mai partecipato, combattuta da solo e contro tutti per esfiltrare suo figlio Anouar dai ranghi di Dā‘ish.
Muore insieme al turco Mustafa in attesa di fare l’ultima corsa col taxi e all’ucraina Larisa in vacanza col marito e la figlia; insieme ad Abrorjon, commerciante di tessuti uzbeko in trasferta di lavoro, e alla palestinese Sondos arrivata per trascorrere il Ramadan con i parenti; insieme a Rayan, che ha tre anni e la minuscola mano ben al sicuro dentro quella di Sondos. Mentre attende di scorgere la sagoma di sua moglie Saida tra i passeggeri sbarcati da Tunisi, nell’affollato Terminal 2 dell’aeroporto internazionale di Istanbul-Atatürk, muore cosí, a missione compiuta, vittima di un attentato terroristico di novanta secondi per quarantacinque vite cancellate a casaccio, anche Fathi il cui nome significa «colui che trionfa». Il padre che ha appena trionfato sul terrorismo.
Sette mesi e mezzo era durata la guerra del colonnello Bayoudh, terminata ufficialmente trentasei ore prima che un kamikaze si facesse esplodere accanto a lui e segretamente dichiarata quando il figlio ventiseienne aveva fatto perdere le sue tracce in Svizzera, là dove i genitori lo pensavano alle prese con uno stage in gestione finanziaria, per rinascere foreign fighter dello Stato islamico.
Duecentoventotto giorni di discesa agli inferi per riportare alla vita l’amato Anouar; e mentre il militare combatteva le sue battaglie impopolari e mitologiche, il padre perdeva quasi un terzo del suo peso.
L’ennesimo jihadista che non t’aspetti – dunque, nella folle e tormentata estate del 2016, un jihadista a suo modo esemplare – è l’adorato figlio unico di due medici molto conosciuti: papà nell’esercito, primario di Pediatria all’Ospedale militare di Tunisi, mamma stimata dottoressa di base. Cresce circondato da tenerezze e attenzioni in un’elegante casa bianca sulle colline della capitale, dove l’orizzonte è aperto, le buone scuole e la crema contro i brufoli sono a disposizione e tutte le scelte sembrano possibili. Lui ne fa tante, e alla fine nessuna.
Il punteggio di diploma è cosí cosí, non sufficiente per accedere alla facoltà già frequentata con profitto dai genitori, che si rassegnano a iscriverlo in una meno pretenziosa università della Mauritania. Anouar ci prova e dopo un anno getta la spugna, l’anatomia non è la sua strada. Arriva allora il brevetto da pilota, anche se l’aviazione non pare un colpo di fulmine. Quindi Economia e lo stage in gestione finanziaria, l’ultimo desiderio espresso ed esaudito dopo gli studi di Medicina interrotti e la difficoltà a cercare lavoro nel ramo aeronautica. Ma è una bugia.
Anouar parte per Ginevra col suo bagaglio d’aspettative parentali e camicie stirate, e per le prime due settimane chiama a casa tutte le sere, poi sparisce; negli stessi giorni – a inizio novembre del 2015 – a Tunisi si perdono le tracce della giovanissima fidanzata Farah, nata pure lei sul lato giusto della collina ma già passata, e in men che non si dica, dagli shorts al niqāb, il velo che lascia scoperti solo gli occhi.
Subito la famiglia Bayoudh contatta l’ambasciata, ha le relazioni giuste e non tarda a scoprire che la coppia s’è ricongiunta a Parigi, senza sentirsene minimamente tentata visto che da lí immediatamente prosegue per il Sudest della Turchia: la porta spalancata sull’inferno.
Ed è infatti da quell’inferno che Anouar si rifà vivo a fine anno, quando telefona al padre e gli dice: «Sono in Iraq, qui è orribile, le cose non sono affatto come me le aspettavo. Vieni a salvarmi».
Lasciare i territori controllati dallo Stato islamico all’inizio del 2016 è un’impresa folle e disperata, quasi impossibile uscirne vivi. Dā‘ish uccide chiunque manifesti anche solo il minimo ripensamento, i russi bombardano in sostegno alle armate di Bashar al-Assad, l’Esercito siriano libero e i curdi dell’Ypg combattono contro Dā‘ish appoggiati dagli americani – difficilissimo in quei giorni persino capire chi faccia cosa contro chi – e in ogni caso l’opinione pubblica tunisina non vuole saperne del rientro in patria dei suoi numerosi foreign fighters: quelli che hanno raggiunto volontariamente lo Stato islamico ci restino, è il pensiero condiviso dai piú.
Il colonnello tutto questo lo sa.
Sa che il figlio è ora arruolato nell’esercito nemico, sia pure per millantate «ragioni umanitarie». Sa cos’è una missione umanitaria e cosa non lo è, dal momento che ne ha guidate parecchie in soccorso delle popolazioni africane colpite da terremoti e carestie. Sa che il temerario tentativo di recuperare Anouar mette in gioco l’onore, la carriera, un’intera esistenza – e molto, moltissimo denaro – senza promettere nulla in cambio. Ma per un medico militare che s’è coperto di gloria salvando vite umane in Somalia e in Algeria dev’esserci qualcosa di ben piú definitivo, e insopportabilmente straziante, nella parabola dell’erede irresoluto che s’improvvisa barelliere di Dā‘ish.
Il tempo d’una vertigine, o di un nitido presentimento, ed è il padre – ma anche un po’ l’ufficiale – a rispondere con un sms.
«Io mi sacrificherò per te, figlio mio».
Resta una fotografia, scattata il giorno prima dell’attentato dal cognato che ha condiviso con Bayoudh le ultime febbrili settimane, a fissare l’istante che dovrebbe essere di gioia, quando dopo mesi di angosciose battaglie Fathi il trionfatore sa di avercela fatta: suo figlio è finalmente fuori dal territorio siriano ed è nelle mani delle autorità turche.
La foto è a colori, la faccia del padre non lo è piú, anche se un po’ sorride all’obiettivo.
Tutte le sedie di tutte le case dei vicini, due infinite serpentine di sedie lungo entrambi i lati della strada e per un tratto disposte in doppia fila, non bastano ad accogliere la gente che fin dalle prime ore del mattino sta arrivando a Ksour Essaf, vicino a Mahdia, davanti alla vecchia casa di famiglia dove le spoglie mortali di Fathi Bayoudh sono state portate per la veglia che precede il funerale di Stato.
Gli uomini attendono fuori, alcuni in pieno sole, i fortunati all’ombra. Sono perlopiú coetanei del colonnello, amici d’infanzia, colleghi, ex compagni di scuola, cugini prossimi o lontani, facce smarrite di padri che deglutiscono commozione e inquietudine facendosi silenziosamente compagnia; afflosciati nelle sedie di plastica bianca, incuranti delle lacrime che gocciolano sugli abiti del lutto, se ne stanno cosí, un centinaio di uomini chiari e scuri, inermi ed esposti allo sguardo come in un quadro vivente d’impressionante potenza simbolica. Le donne invece quasi non le noti: a testa coperta, armate di parole e concretezza, imboccano risolute la porta aperta oltre la quale, nel grande salone, Saida la vedova riceve le condoglianze pallida e dritta tra il condizionatore e la bara del suo uomo.
«Sembra di essere dentro un film», sussurra Abdallah facendo gli onori di casa. Grigio di capelli, minuto dentro il completo blu d’una taglia piú grande, gli occhi chiari allagati di rosso e stupefatta mitezza, è il fratello maggiore di Fathi, l’ultimo ad avergli parlato al telefono: «Mi ha chiamato mentre andava in aeroporto a prendere la moglie, ha detto: ce l’abbiamo fatta, torniamo presto e riportiamo Anouar con noi, appena ci vediamo ti racconterò tutti i particolari. Mezz’ora dopo ho acceso la tv e ho visto le prime immagini dell’attentato…»
Un dirimpettaio porta fuori due sedie anche per le straniere che nessuno conosce. Le posiziona, senza fare domande, come per un naturale riflesso di cortesia, accanto a un signore coi baffi che è arrivato tra i primi e non ha mai smesso d’accarezzare le schiene ricurve dei due figli maschi; pure ora, mentre si sporge per chiedere chi siamo noi e raccontare chi è lui, le mani dell’uomo scivolano senza pace, su e giú, tra la nuca e le vertebre lombari dei suoi ragazzoni a testa china.
Si chiama Habib El Cadhi; anche lui medico, primario di Pneumologia a Djerba, è il cognato che ci mostrerà sullo schermo del suo cellulare l’ultima foto di Bayoudh smunto e quasi sorridente in Turchia. Per settimane l’ha seguito nell’incessante peregrinare tra Ankara, Istanbul e Gaziantep, quando Anouar rischiava in ogni momento di venire ammazzato; per giorni e ore gli è rimasto accanto su una panchina in vista del confine siriano, in silenziosa attesa che qualcosa accadesse, lo stomaco stretto in una morsa, lo sguardo fisso sui telefonini sempre accesi. È tornato a casa con lo stesso volo che Saida avrebbe preso in senso inverso per precipitarsi a raggiungere il marito trionfatore.
Col tipico monologare che segue lo choc e inscrive l’inaudito dentro un perimetro di normalità, senza mai lasciare la presa sui figli, il dottor El Cadhi racconta che Fathi e Saida volevano riposarsi qualche giorno, loro due soli, in attesa dell’autorizzazione a visitare Anouar, e intanto seguire da vicino le pratiche per la sua estradizione. Sognavano di rientrare a casa insieme al figlio, tutti e tre sullo stesso volo, la famiglia nuovamente unita in un simbolico, ancorché illusorio o quantomeno parecchio complicato, viaggio di ritorno alla vita di prima.
«Con mia cognata ci siamo incrociati in aeroporto a Tunisi. Mi erano avanzate delle lire turche, ma lei non voleva prenderle, tanto a Istanbul ci sarebbe stato il marito ad attenderla. Per fortuna ho insistito… Quando è atterrata in quel disastro, di Fathi non c’era traccia e il suo portatile era disattivato: un bruttissimo segno, sapevamo bene che lui non lo spegneva piú da mesi. Allora Saida è corsa in albergo, ma la stanza era vuota. Per tutta la notte, lei là e noi qui al telefono, lo abbiamo cercato ovunque, dapprima negli ospedali di Istanbul, tra centinaia di feriti, poi persino nelle prigioni: speravamo che nella concitazione del dopo attentato i turchi lo avessero arrestato per errore…»
La strada si è intanto riempita di ufficiali in divisa. Autisti alla guida di berline fresche di autolavaggio scaricano gli ultimi arrivati, generali in alta uniforme e politici in abito lucido. Un’ambulanza militare con due giovani soldati appesi alle porte posteriori spalancate si fa largo lentamente tra la folla fino a fermarsi davanti alla casa di Abdallah che, immobile sulla soglia, sta piangendo.
Con passo pesante – molte ciabatte estive sotto i completi eleganti – gli uomini si raccolgono in cerchio attorno al veicolo. Nel silenzio rotto appena dal ronzio del motore acceso si sentono i nasi soffiare nei fazzoletti, mentre la cassa di legno chiaro viene portata fuori, avvolta nella rossa bandiera nazionale e issata sul veicolo.
«Allāhu Akbar», dio è il piú grande, scandiscono i padri di famiglia disponendosi per il corteo funebre. Ma la preghiera sembra morire nelle gole, e quel che resta un istante dopo è un mesto mormorio a scemare in direzione della moschea.
Nelle stesse ore Anouar è in volo verso Tunisi, insieme alla fidanzata con la quale ha condiviso la breve e disastrosa avventura nel mondo di Dā‘ish. Non gli hanno ancora detto che suo padre è morto in un attacco terroristico di cui è sospettata la stessa organizzazione terroristica alla quale lui s’era unito, e agli altri passeggeri del volo Tunis Air appare tranquillo; fa acquisti al duty free di bordo, forse neppure s’aspetta le manette che all’atterraggio scatteranno già sulla pista dell’aeroporto.
Il suo viaggio di ritorno finisce davanti al giudice e poi direttamente in prigione, senza passare da Ksour Essaf.
Due settimane e molte polemiche dopo, voliamo sull’isola di Djerba dove il dottor El Cadhi e sua moglie Yamina, chirurga ginecologa e sorella di Saida, ci attendono nella loro bella villa protetta da siepi d’oleandro e gelsomino, a pochi passi dalle spiagge bianche senza piú turisti e dalla moschea di quartiere che il primario pneumologo ha accettato di restaurare a sue spese ma non ha frequentato quasi mai – perché non appena percepisce «qualcosa d’eccessivo», confida, lui prende e se ne va a pregare da un’altra parte.
Molte cose sono cambiate dal nostro primo incontro, e tutte fanno male.
Riposti i fazzoletti, archiviata in fretta e furia la retorica sull’eroismo dell’amor paterno, per parte della stampa e per molti connazionali il martire Bayoudh è ora un uomo che in vita e persino morendo ha assicurato al figlio jihadista la compassione e l’aiuto negati a tutti gli altri.
Centinaia di giovani foreign fighters tunisini, pentiti della scelta o semplicemente terrorizzati dagli eventi, sono infatti bloccati in Siria, dove attendono di morire sotto un bombardamento; altri, catturati mentre tentavano di svignarsela, cercano di sopravvivere nelle durissime carceri siriane e libiche, mentre le suppliche dei genitori che invocano l’estradizione restano inascoltate. Non cosí Anouar. Si dice che per lui, rimpatriato col primo volo di linea, sia stato addirittura predisposto il ricovero nel reparto psichiatrico dell’ospedale militare: una premura che i piú giudicano fuori luogo, non dovuta a un giovane uomo nato coi piedi al caldo e andato volontariamente a raggiungere i macellai di Dā‘ish; un «terrorista», benché già condannato a ricevere la peggiore delle notizie.
Gliela dà Habib El Cadhi, in una stanza della caserma di El Aouina, subito dopo il primo interrogatorio.
Anouar entra, sgrana gli occhi alla vista del severo e un po’ imbarazzato comitato d’accoglienza composto da due zii, un generale amico di famiglia e uno psichiatra, tace per qualche istante, poi parla per primo.
«Mamma è morta?»
«No, non si tratta di questo».
«Allora è papà».
«Sí, è papà. Si trovava in aeroporto quando è scoppiata la bomba…»
Quando finisce di urlare e stracciarsi la camicia, e se ne resta lí con le braccia penzoloni e la faccia di qualcun altro, la bocca incastrata in una smorfia impossibile da decifrare, tocca ancora allo zio acquisito levigare parole e mezze verità.
«Ascoltami bene, Anouar, è stato un attentato, è un caso… Papà, quando l’ho lasciato quella mattina, era felice per te. Ciò che è accaduto è un incidente, una cosa che è successa. Ora devi pensare che tutti gli sforzi di tuo padre non possono essere stati fatti per nulla».
Ma il nipote lo interrompe, e racconta che ormai da un anno era tormentato da due incubi angosciosi, sempre gli stessi: nel primo, piú confuso, uno dei suoi genitori moriva durante il Ramadan; nel secondo vedeva chiaramente il padre, ma metà del suo corpo era «come strappata via».
«Non dovete preoccuparvi per me, perché ero preparato a questo, io in fondo lo sapevo già», cosí dice uno stralunato Anouar ai titubanti messaggeri d’una realtà troppo cruda. Poi viene quasi subito trasferito in cella, come l’opinione pubblica a gran voce pretende.
Il dottor El Cadhi si rabbuia, scuote la testa.
«La morte di Fathi sta generando un’incredibile bagarre, ma non doveva andare cosí. Nessuno ha mai pensato di fare le cose di nascosto, figuriamoci: l’Interpol sapeva, le ambasciate erano al corrente di tutto. Mio cognato aveva ben spiegato ciò che intendeva fare e a ogni passaggio archiviava con pignoleria tutte le prove, persino i messaggi scambiati tra lui e il figlio. Combatteva la sua guerra solitaria per riportare indietro Anouar e intanto preparava il dossier che a tempo debito ne avrebbe chiarito la posizione davanti alla giustizia. Ora quelle carte sono nelle mani degli inquirenti».
Ogni mossa è calcolata al millimetro, ogni millimetro nasconde un’insidia, ogni alleato può essere quell’insidia. Il piano messo a punto dal colonnello per esfiltrare suo figlio dai territori dello Stato islamico in Iraq è una sfida all’impensabile. Si tratta di far arrivare Anouar e Farah in Siria, a Raqqa, nella tana del lupo, e di lí organizzare una rocambolesca fuga verso le zone controllate dai ribelli dell’Esercito siriano libero. Di costruire un percorso protetto in mezzo alla piú imprevedibile delle carneficine, cercando passo dopo passo gli appoggi giusti – non solo galantuomini e ciascuno col suo prezzo – e decidendo in pochi attimi di chi fidarsi in un Paese dove la vita delle persone non conta piú nulla, figurarsi la parola.
Bayoudh prende un congedo dall’esercito e si trasferisce in Turchia dove comincia a tessere la sua rete di relazioni. Il racconto di Habib El Cadhi, che appena può lo raggiunge, mozza il fiato.
«Per prima cosa Fathi ha chiesto ai ragazzi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Non aspettarmi vivo
  4. Introduzione
  5. 1. Il padre
  6. 2. Il primo monologo di Malik
  7. 3. Ho visto morire tutti i sentimenti
  8. 4. La notte del destino
  9. 5. Tendiamo a dimenticarci degli angeli
  10. 6. Se gli fai male, il gatto ti graffia
  11. 7. Sésco volava
  12. 8. Carini tra di loro
  13. 9. Una preghiera speciale
  14. 10. Il secondo monologo di Malik
  15. 11. A volte ritornano
  16. 12. Don Camaleonte e il Cafu di Sousse
  17. 13. Questa bimba a chi la do
  18. 14. Persone che potresti conoscere
  19. 15. Cosa diceva il nonno?
  20. 16. Il terzo monologo di Malik
  21. 17. Mabrouk
  22. Nota al testo
  23. Glossario
  24. Il libro
  25. Le autrici
  26. Copyright