Il tratto piú significativo dell’evoluzione del mondo latino-americano a partire dal secondo terzo del XX secolo è uno spiccato movimento oscillatorio, che alterna momenti di proiezione verso la dimensione internazionale e fasi in cui il sottocontinente tende a isolarsi dal resto del mondo, tanto da negare addirittura la sua matrice occidentale.
In questo capitolo cercherò di mostrare che tale tendenza oscillatoria fa parte di una tensione tra mondializzazione e isolazionismo, le cui origini vanno ricercate sul finire del XIX secolo, e che essa ci permette di seguire la strada adottata dal sottocontinente per individuare la sua forma di partecipazione a un mondo che vede la riduzione costante delle distanze temporali e spaziali tra i diversi paesi, e di rintracciare il ruolo svolto dagli attori latino-americani in questo processo, generalmente e arbitrariamente presentato come una pura e semplice imposizione dall’esterno.
1. Dal disordine internazionale alla nuova diplomazia.
La tensione tra mondializzazione e isolazionismo che accompagna il processo di occidentalizzazione del sottocontinente è osservabile a livello delle relazioni internazionali nella volontà di cogliere le opportunità offerte dal disordine che si crea in un primo momento tra le grandi potenze e nel periodo compreso tra le due guerre mondiali tra le potenze totalitarie e quelle liberal-democratiche.
Con la costituzione delle Nazioni Unite, la tensione tra mondializzazione e isolazionismo nazionalista perde la sua aggressività originale per orientarsi verso lo sfruttamento delle possibilità offerte dal fatto di dover parteggiare per la superpotenza americana, spingendosi però a espandere quelle tendenze multilaterali che cominciano a manifestarsi all’interno del sistema bipolare tra le aree deboli del mondo.
Il potenziamento del multilateralismo, che conosce una notevole accelerazione a partire dagli anni Ottanta, permette alle aree latino-americane di ridisegnare la propria partecipazione alle istituzioni internazionali e di individuare nel nuovo regionalismo aperto un modo per essere piú attive a livello internazionale. Nel corso di quest’ultima fase il mondo latino-americano inizia a comprendere i vantaggi offerti dalla sussidiarietà (deleghe o cessioni parziali della sovranità nazionale) al fine di potenziare la risoluzione dei conflitti e di stabilire nuove forme di collaborazione tanto a livello sottocontinentale quanto a livello internazionale.
1.1. Nazionalismo e sovranità nazionale.
Le iniziative dei paesi latino-americani per affermare la loro presenza sullo scenario internazionale sono fortemente condizionate nel corso del XIX secolo dalla forma essenzialmente bilaterale dei rapporti tra gli stati e dalla loro emarginazione, che dura per quasi tutto il secolo, dalle conferenze internazionali. La loro unica e piena partecipazione è quella alle reti commerciali e finanziarie internazionali.
La debole presenza internazionale è la conseguenza della persistenza nel mondo europeo dell’idea che le aree latino-americane abbiano un grado di sviluppo politico-sociale inferiore a quello europeo, e che solo quando il sottocontinente raggiungerà il livello dei paesi culturalmente maturati potrà aspirare alla piena partecipazione al concerto internazionale. Tale convinzione è sostenuta dai positivisti tanto americani quanto europei.
I pregiudizi europei hanno un ruolo importante per capire la nascita di un moto di insoddisfazione verso l’ordine internazionale nell’opinione pubblica latino-americana sin dai primi anni del XX secolo. Gli effetti dell’ostilità verso la dimensione internazionale sono visibili nella trasformazione del concetto di nazione, formatosi durante l’ordine liberale, sfociato in un’idea di tipo nazionalistico con spiccati tratti difensivi e aggressivi che durerà per buona parte del XX secolo.
Dallo scoppio della Prima guerra mondiale alla fine della Seconda, nonostante l’accresciuta internazionalizzazione del mondo con l’inclusione degli Stati Uniti e del Giappone tra le grandi potenze, permane la concezione di un ordine internazionale fondato su una gerarchia flessibile che tende però a privilegiare le grandi potenze. Persino gli Stati Uniti partecipano a questo concetto gerarchico tanto da rielaborare, a sostegno della loro nuova collocazione internazionale, la vecchia idea della translatio imperii, secondo la quale il centro della civiltà occidentale si è trasferito in America con il declino della vecchia Europa. L’idea della decadenza europea è ripresa anche dai Latino-americani che rivendicano di essere gli eredi dell’umanesimo europeo e, in quanto tali, degni di svolgere un nuovo ruolo nello scenario internazionale.
La persistenza di una visione gerarchica dell’ordine internazionale consente alle nuove e vecchie potenze di mantenere saldi i propri privilegi, contestati e messi in dubbio dalle potenze secondarie come l’Italia e, piú in generale, dagli stati, compresi quelli latino-americani, che sentono minacciata la loro sovranità e promuovono le tendenze dell’opinione pubblica nazionale favorevole a ridurre la partecipazione al sistema internazionale. La conflittualità finisce quindi con l’essere la nuova caratteristica dei rapporti tra gli stati per buona parte della prima metà del XX secolo, e si manifesta con molta forza tra il 1914 e il 1945 favorendo le concezioni realiste tendenti a considerare i rapporti internazionali essenzialmente asimmetrici, con il risultato di ridurre la libertà di circolazione degli uomini, delle idee, delle merci e delle tecnologie.
Il nuovo orientamento internazionale non è soltanto un fatto culturale senza ripercussioni sulla politica internazionale: la nuova cultura nazionalista è anche il prodotto del recente colonialismo, nato con i trattati di Versailles del 1919, che identifica tre tipi di nazioni arretrate: i paesi di tipo A, come quelli del Vicino Oriente, che in un tempo relativamente breve potranno diventare indipendenti in quanto dotati di un discreto livello culturale; i paesi di tipo B, caratterizzati come tribali, per esempio quelli dell’Africa tropicale, che richiedono un lungo periodo di amministrazione europea per raggiungere l’indipendenza; e, infine, i paesi di tipo C, primitivi, come quelli del Pacifico e alcuni dell’Africa nera, che necessitano di un lunghissimo periodo di amministrazione europea. In quest’ultimo gruppo erano collocati alcuni insediamenti ritenuti strategici, come Hong Kong e Singapore, considerati di vitale importanza per il controllo dell’Europa sull’Asia. Non molto diverso dalla tipologia di Versailles è il modello soggiacente all’azione internazionale degli Stati Uniti e dei principali paesi latino-americani. Per gli Stati Uniti le nazioni relativamente arretrate sono l’India, l’Indocina, l’Indonesia, e i paesi tribali non sono soltanto quelli africani ma anche quelli caraibici; inoltre, senza affermarlo in maniera esplicita, essi pensano che gli stati latino-americani siano detentori di una sovranità limitata.
Sicuramente la persistenza di una concezione gerarchica dell’ordine mondiale tra le due guerre mondiali contribuí ad aggravare il disordine internazionale. Infatti, se diamo la dovuta importanza al rapporto che intercorre fra cultura e globalizzazione, si riesce a capire come la conflittualità tra gli stati che caratterizza il mondo tra i due conflitti abbia favorito l’offensiva internazionale delle aree latino-americane e piú in generale di tutte quelle che, a partire dagli anni Cinquanta, vengono definite come Terzo Mondo.
La riformulazione dei rapporti tra le aree latino-americane e il resto del mondo tiene conto della loro trasformazione in un mondo euro-americano. L’idea che il sottocontinente condivida con l’Europa una tradizione comune è soprattutto presente nella pubblica opinione, tanto da configurarsi come uno dei tratti distintivi del nazionalismo che si manifesta tanto nei ceti alti quanto in quelli popolari, ma è sostenuta con maggiore forza dai nuovi attori sociali emersi dalla modernizzazione ottocentesca, i ceti medi, il proletariato urbano e minerario e persino il ceto rurale dei contadini senza terra. Il nazionalismo ci mostra, da una parte, come si sia interiorizzata la mondializzazione e, dall’altra, la capacità di saper scegliere e sviluppare nuovi strumenti culturali per proiettarsi in uno scenario internazionale conflittuale. In questo senso il nazionalismo è il vettore che collega in modo originale il contesto nazionale con quello internazionale; esso utilizza il preesistente concetto di nazione per far sí che il sottocontinente non rimanga intrappolato all’interno di una tensione di tipo puramente ideologico. La maturità culturale latino-americana è resa visibile dal rifiuto di accettare la contrapposizione tra liberalismo angloamericano e socialismo sovietico e tra queste opposte ideologie e quella corporativa nazi-fascista. Il nazionalismo è dunque il vettore culturale che permise alle aree latino-americane di adeguarsi, senza contrapporsi, al contesto internazionale negativo che si creò tra le due guerre mondiali. Grazie al nazionalismo, le aree latino-americane combatterono l’aggressività delle vecchie e nuove potenze utilizzando al meglio gli strumenti culturali occidentali di cui disponevano.
Le numerosissime pagine dedicate al nazionalismo latino-americano mettono in evidenza soprattutto l’originalità dottrinale e specialmente le politiche pubbliche elaborate per dare origine alla collaborazione tra le diverse componenti sociali. Non si è tenuto presente che il nazionalismo, come qualsiasi fenomeno culturale, può assumere molteplici forme e non si è data la dovuta importanza alle differenze che presentano l’ideologia nazionalista tra le due guerre mondiali e quello che nasce dopo la Seconda guerra mondiale. Conviene quindi precisare che il nazionalismo affonda le sue radici nell’idea di nazione elaborata dal costituzionalismo e dai governi liberali e non prende vita, come avviene in Africa e in Asia, dalla rivolta anticoloniale dopo la Seconda guerra mondiale. Le idee nazionaliste latino-americane nascono dall’idea liberale della «comunità d’interessi», che si materializza nella difesa della propria sovranità nazionale. La congiunzione tra nazionalità e sovranità permetterà ai governi di legittimare l’azione di coesione che svolgono all’interno delle frontiere nazionali e di rafforzare la loro azione di potenza nel contesto internazionale per garantire e proteggere la collaborazione tra gli interessi nazionali.
Il nuovo orientamento in difesa dell’interesse nazionale nasce a partire dalla fine del XIX secolo dalle tensioni tra le potenze europee che obbligano i paesi latino-americani ad attivare una politica di maggiore impegno sullo scenario internazionale. Essi sostengono la loro azione internazionale forti della necessità di dover difendere la propria sovranità nazionale minacciata potenzialmente da tutti gli altri stati, sia dalle grandi potenze sia dai paesi confinanti. Il risultato è che il nuovo concetto di nazione si fonda ora sulla presunta o reale minaccia esterna che la saggistica dei primi decenni del XX secolo identifica nella diffusione dell’utilitarismo e dell’economicismo nordamericano, che possono minare le fondamenta ideali delle società latino-americane. L’intimidazione esterna spiega perché si attribuisca allo stato e ai governi il compito di proiettare l’azione individuale e collettiva degli abitanti verso i valori della nazionalità che permetteranno alle componenti sociali di superare le differenze d’interesse tanto regionali quanto etniche.
Una delle proposte internazionali avanzate alla fine della Prima guerra mondiale in grado di moderare il nazionalismo latino-americano è identificabile nei quattordici punti del presidente americano Wilson: essi si basavano sul principio mazziniano dell’autodeterminazione nazionale, principio che doveva servire da guida per la ricostruzione dell’Europa e di un nuovo sistema internazionale in grado di «creare un mondo sicuro per la democrazia». Il cemento che doveva compattare le «sabbie mobili» della partecipazione degli stati nella nuova organizzazione della Lega delle Nazioni veniva individuato nell’opinione pubblica internazionale considerata, un po’ ingenuamente, come un sentimento implicito in tutti i popoli. Wilson fu sicuramente uno dei primi a capire che il prodotto piú significativo dell’ordine liberale ottocentesco era costituito dalla formazione di un’opinione pubblica indipendente dai governi, ma non aveva tenuto conto del fatto che l’opinione pubblica mondiale non poteva essere istituzionalizzata.
Tutti i paesi latino-americani diffidarono delle proposte di Wilson del 1919, finalizzate a dare vita a un unico mondo americano capace di superare la tensione tra Anglo-america e Latino-america sulla base del rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale e della creazione di istituzioni interamericane in grado di mediare nei conflitti tra gli stati e di fornire «un esempio al mondo della libertà istituzionale, commerciale e di disponibilità alla mutua cooperazione». Non poteva essere altrimenti, perché l’ostilità latino-americana al grande disegno internazionale di Wilson discendeva dalla continuità tra la sua prima politica con quella del «grande bastone» del presidente Theodore Roosevelt. Infatti, nel 1914 egli aveva autorizzato l’intervento delle truppe americane in Messico e non aveva sostenuto la mediazione proposta da Argentina, Brasile e Cile atta a evitare qualsiasi ingerenza negli affari del Messico. Ciò spiega perché sebbene sedici paesi latino-americani avessero firmato la costituzione della Lega delle Nazioni, la loro partecipazione al nuovo organismo internazionale sia stata del tutto irrilevante.
Il rifiuto delle proposte di Wilson segna la fine dell’apertura internazionale dei paesi latino-americani, che si erano dimostrati precedentemente molto disponibili tanto da partecipare all’Intesa vittoriosa anglo-franco-americana della Prima guerra mondiale, per sentirsi poi umiliati dal fatto di non essere stati invitati a partecipare alle conferenze che elaborarono i trattati di Versailles nel 1919. Cosí come succede per un buon numero di paesi europei, con la fine della guerra mondiale il sottocontinente americano comincia ad abbandonare la precedente tradizione diplomatica. Il nuovo assetto internazionale non è in grado di accogliere le rivendicazioni dei paesi latino-americani volte a una maggiore partecipazione al sistema internazionale; specificatamente essi non vedono soddisfatta la richiesta di riconoscimento della dottrina del non intervento assoluto negli affari interni degli stati. I paesi latino-americani avrebbero desiderato un sostegno internazionale contro la minaccia di dominazione politica americana, particolarmente forte sino alla fine degli anni Venti del Novecento.
Il nuovo orientamento latino-americano interrompe la tradizione di impedire l’intervento delle potenze europee nell’emisfero americano, che sino alla fine del XIX secolo avevano condiviso con gli Stati Uniti. Il principio del non intervento, che era stato comune a tutte le Americhe, è ufficialmente abbandonato dagli Americani nel 1905 allorché viene affermata, con il corollario Roosevelt alla dottrina Monroe, la possibilità per gli Stati Uniti di intervenire anche militarmente nelle Americhe per prevenire l’intromissione di una...