Matchmaking
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La scienza economica del dare a ciascuno il suo

  1. 280 pagine
  2. Italian
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La scienza economica del dare a ciascuno il suo

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Alvin E. Roth ha condiviso nel 2012 il premio Nobel per l'Economia per le sue pionieristiche ricerche sul market design: i principî che governano quei mercati in cui il denaro non è l'unico fattore a determinare che cosa spetta a ciascuno. Per mostrarci quanto questi mercati siano diffusi, Roth ci conduce, per esempio, presso una tribú aborigena che combina i matrimoni per nipotini non ancora nati oppure ci fa conoscere il meccanismo su cui si basano nuove imprese come Airbnb e Uber, il cui successo è in gran parte determinato da un brillante market design. Matchmaking esplora con brio e acume mercati che spesso si rivelano i piú importanti per noi: se vi è capitato di cercare un lavoro o di assumere qualcuno, di iscrivervi a un'università o scegliere l'asilo giusto per vostro figlio, di dare un appuntamento sentimentale a qualcuno, allora avete avuto a che fare con il matchmaking. Roth individua cosí i fattori che fanno funzionare bene o male i mercati e insegna a prendere le decisioni piú sicure ed efficaci per dare «a ciascuno il suo».

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Informazioni

PARTE SECONDA

Desideri andati in fumo: perché i mercati falliscono

Capitolo quarto

Troppo presto

Per comprendere i tanti modi in cui un mercato può fallire, dobbiamo partire da prima ancora dell’inizio.
In parte, per rendere denso un mercato bisogna trovare il momento giusto affinché molte persone vi partecipino contemporaneamente. Ma aggirare il sistema quando questo si basa sul meccanismo del «chi primo arriva meglio alloggia» può tradursi nella smania di battere sul tempo i propri avversari.
Ecco perché, per esempio, il reclutamento delle matricole da parte delle confraternite universitarie e dei loro omologhi femminili viene chiamato rush, «corsa». Alla fine del XIX secolo, le confraternite erano essenzialmente dei circoli riservati agli studenti prossimi alla laurea. Ma per giocare sempre un po’ d’anticipo rispetto alle confraternite rivali, alcune iniziarono a «correre» per reclutare sempre prima. Se facciamo un salto in avanti fino ai giorni nostri, scopriamo che oggi la corsa al reclutamento punta agli studenti del primo semestre1.
Ma non è solo da qui che la corsa alla transazione prima degli altri, sooner, è entrata nella lingua inglese. È anche il motivo per cui gli abitanti dell’Oklahoma sono soprannominati «Sooners», cioè appunto quelli «che partono prima».
Il soprannome nacque il 22 aprile del 1889, la data che sancí l’inizio della corsa alla terra dell’Oklahoma, ed entrò a pieno titolo nel gergo americano quattro anni dopo, il 16 settembre 1893, nel momento clou della corsa alla terra noto come la corsa alla Cherokee Strip, la striscia di terra un tempo appartenuta al popolo Cherokee. In entrambi i casi, migliaia di persone, nel 1893 furono cinquantamila, si allinearono lungo il confine dell’ex territorio indiano e, al segnale di un colpo di cannone, si precipitarono ad accaparrarsi un lotto di terreno libero.
Almeno sulla carta, il piano era questo2. E la maggior parte dei partecipanti rispettò le regole, non ultimo perché la cavalleria dell’esercito americano pattugliava la «striscia» con l’ordine di sparare a chiunque si fosse trovato in territorio aperto, o avesse oltrepassato il confine, prima che fosse stato dato il segnale di via. A riprova di quanto facesse sul serio la cavalleria, quando un disgraziato, forse tratto in inganno da un colpo di pistola, scattò prima del dovuto, i soldati a cavallo lo inseguirono e gli spararono uccidendolo sul colpo, sotto gli occhi terrorizzati di migliaia di astanti.
Quando finalmente il cannone ruggí il suo segnale, quelle migliaia di persone, a cavallo, sui carri e perfino in calesse, si lanciarono in avanti nella piú famosa immagine fotografica dell’epoca.
A quindici miglia di distanza, in quello che nel pomeriggio si sarebbe trasformato nel movimentato municipio di Enid, la piú recente cittadina d’America, si trovava l’unico edificio pubblico presente sulla «striscia», che fungeva sia da catasto che da ufficio postale. Verso mezzogiorno, Pat Wilcox, il vicedirettore dell’ufficio postale, prese il binocolo e salí sul tetto. Guardando verso sud, vide stagliarsi sulla cresta di una collinetta un cavaliere solitario, un cowboy di ventidue anni di nome Walter Cook. Galoppando verso di lui e poi superandolo di corsa, Cook rivendicava esultante il suo diritto di aggiudicarsi un lotto di terra proprio al centro della futura città.
Cook aveva giocato secondo le regole, e atteso il segnale del via. Ma moltissimi altri, a dispetto dello zelo draconiano della cavalleria, avevano oltrepassato il confine prima del dovuto. Questi «appropriatori indebiti» si sarebbero presto guadagnati il soprannome di Sooners e, nel solco di una lunga tradizione che tende a trasformare pirati, rapinatori e altri spudorati criminali in simpatiche canaglie, quel soprannome finí per indicare tutti gli abitanti dell’Oklahoma e, infine, la squadra di football dell’Università dell’Oklahoma.
Aggirare il sistema entrando nel territorio dell’Oklahoma per aggiudicarsi un lotto di terra prima del 16 settembre era illegale, ma questo non impedí che accadesse. E l’appropriazione indebita non fu l’unica cosa che non andò secondo i piani durante quella folle giornata.
Pensiamo al povero Walter Cook. Nel giro di pochissimo tempo la sua richiesta di assegnazione fu sommersa da quelle di altre trecento persone che rivendicavano lo stesso lotto di terra, sfruttando il fatto che ci sarebbero volute ore perché la legge ratificasse ogni singola richiesta. Alla fine Cook non ottenne un bel niente, se non una lezione sui pericoli di un mercato regolato malamente e senza legge.
Forse Cook avrebbe avuto qualche chance se al suo arrivo l’ufficio del catasto fosse stato aperto e avesse gestito la sua richiesta in tempi rapidi. Invece, nel giro di poco, i richiedenti in coda diventarono centinaia e infine migliaia, provenienti da tutta la striscia. Ci furono risse e rapine; e almeno una persona morí d’infarto.
Sono almeno due i motivi per cui l’allocazione della terra quel giorno non riuscí a operare bene. Innanzitutto, gli onesti cittadini che avevano rispettato le regole furono spesso battuti sul tempo da quelli che erano entrati nel territorio prima del dovuto, riuscendo ad aggiudicarsi un lotto in anticipo. In secondo luogo, il fatto che tutte le richieste andassero registrate al catasto di Enid nello stesso giorno provocò congestione e confusione, tanto che perfino quelli che erano arrivati in tempo per presentare una legittima richiesta di assegnazione, come Walter Cook, non riuscirono a farsela ratificare. Il mercato non era abbastanza veloce per gestire la mole di richieste presentate quel giorno, perciò non sempre riuscí a stabilire quali domande avessero la precedenza.
A volte i problemi che sorgono da un eccessivo anticipo sono piú sottili. Le false partenze sul colpo d’inizio – nel caso dell’Oklahoma si trattava di un colpo di cannone vero e proprio – possono far sí che mercati potenzialmente densi vadano incontro all’unraveling. Un mercato diventa meno denso quando un numero eccessivo di partecipanti cerca di condurre le transazioni prima che la concorrenza sia del tutto operativa e presente sul mercato, sfalsandone cosí il ritmo3.
Diamo un’occhiata agli altri Sooners, quelli che giocano a football per l’Università dell’Oklahoma. Concentriamoci sulle finali universitarie per comprendere come il «troppo presto» possa compromettere la capacità di un mercato basato sul matching di effettuare gli abbinamenti giusti. Per molti anni il matching delle squadre di football per giocare nelle grandi finali della stagione ha sofferto del fatto che la scelta delle squadre che avrebbero giocato in quelle partite veniva fatta troppo presto per consentire che avvenissero buoni abbinamenti.

«Make me a match, catch me a catch».

Per quelli che amano il football universitario, non c’è periodo dell’anno piú elettrizzante della stagione dei Bowl, le finali in cui le squadre di diverse leghe in vetta si sfidano per stabilire quali sono le migliori, e sostanzialmente, decretare il campione nazionale. Purtroppo la maggior parte dei fan del football universitario ha finito per convincersi, e talvolta per discutere rumorosamente, che il sistema è difettoso. E hanno ragione.
Per lungo tempo, le squadre e gli organizzatori dei Bowl hanno ceduto alla tentazione di chiudere gli accordi in anticipo. E anche se il football universitario non rappresenta il mercato piú importante del mondo (se non per gli appassionati), il fatto che ogni fine settimana si abbiano informazioni su quali squadre hanno vinto o perso, e che quelle squadre vengano poi classificate in base ai sondaggi di giornalisti sportivi e allenatori, dimostra molto chiaramente come possano essere ignorate informazioni importanti quando il mercato si muove prima che i risultati delle ultime partite della stagione siano state giocate.
Quando le percentuali di share televisivo e i ricavi pubblicitari diventarono importanti, i comitati organizzatori dei Bowl iniziarono a reclutare le squadre sempre prima, in realtà talmente prima che a volte, nel momento in cui veniva giocata la partita, le squadre in questione, dopo una o due sconfitte inaspettate, non erano piú candidate a diventare campioni nazionali. Questo è uno dei rischi connessi alle transazioni molto anticipate: possono presentarsi ben prima che siano disponibili informazioni importanti. E ciò può tradursi nel fare cattivi abbinamenti e perdere quelli buoni.
Quali squadre far giocare in quali Bowl sono decisioni che oggi vengono gestite in modo diverso rispetto a quanto accadeva una volta. Gli appassionati forse possono essere in disaccordo sul modo in cui funziona il sistema attuale, ma tutti condividono l’idea che prima che il mercato venisse riconfigurato funzionava proprio male.
I Bowl sono business indipendenti che controllano uno stadio e firmano contratti con network televisivi e sponsor. Ciascuno vorrebbe ospitare una partita tra le due squadre piú alte in classifica in tutto il Paese al termine della stagione. Per molti anni, la National Collegiate Athletic Association (NCAA) tentò di far aspettare Bowl e squadre abbastanza a lungo per combinare buoni abbinamenti. Ma non ci riuscí mai, e dopo la stagione 1990-91, smise del tutto di provarci.
In quella stagione c’erano diciannove Bowl poststagionali. Quello che pagava meglio le squadre era il Rose Bowl, che era «chiuso»: aveva un contratto a lungo termine con le leghe Big Ten e Pacific-10, e ogni anno le squadre vincitrici del campionato di quelle due leghe si scontravano nel Rose Bowl (e le due leghe si spartivano i ricavi pubblicitari ottenuti con il Bowl dei loro campioni). Dunque il Rose Bowl non veniva coinvolto nel processo di unraveling di cui ci occupiamo qui; semplicemente aspettava finché si scoprivano i campioni delle due leghe.
Gli altri Bowl, però, avevano un’organizzazione diversa. Il Fiesta Bowl affrontava un’unica sfida: essendo «aperto», doveva trovare due squadre che giocassero. Gli altri Bowl piú importanti erano «semichiusi», ovvero ognuno aveva un contratto con una lega di football, il cui capolista sarebbe stato una delle squadre che avrebbe giocato. Nel frattempo, ognuno di questi Bowl doveva trovare un’altra squadra che garantisse una competizione di alto livello. Il pool disponibile era costituito da squadre che non appartenevano a nessuna lega di football (gli indipendenti) o appartenevano a leghe che non avevano vincoli contrattuali con nessun Bowl.
Nel 1990 la regola della NCAA era che le squadre e i Bowl non potessero finalizzare abbinamenti prima del cosiddetto pick’em day, il giorno della scelta, che quell’anno era fissato per il sabato 24 novembre. Alcuni Bowl e alcune squadre, però, si portarono avanti e presero accordi prima. Il Notre Dame, una squadra indipendente, aveva iniziato la stagione come prima in classifica e, dopo una sconfitta all’esordio, si era ripresa tanto che ai primi di novembre aveva riguadagnato quella posizione. Nel frattempo, il Colorado aveva superato una sconfitta di inizio stagione per classificarsi al quarto posto in una classifica e al terzo nell’altra. Quando il Colorado batté l’Oklahoma State e vinse il campionato della lega Big Eight, a quell’università fu assicurato un posto nell’Orange Bowl e salí al secondo posto nelle classifiche.
Il giorno seguente, domenica 11 novembre, tredici giorni prima del pick’em day, fu annunciato un accordo tra l’Orange Bowl e il Notre Dame. Ciò significava che le due squadre che al momento occupavano il primo e il secondo posto nella classifica nazionale si sarebbero confrontate nell’Orange Bowl, che di fatto si trasformava nel campionato nazionale.
Quello stesso giorno fu annunciato che la Virginia aveva accettato un’offerta dal Sugar Bowl per giocare contro la ancora da definire squadra campione della lega Southeastern. E dopo l’accordo dell’Orange Bowl, l’Università di Miami accettò di giocare nel Cotton Bowl contro la ancora da definire squadra campione della lega Southeastern. A questo punto, Notre Dame, Virginia e Miami avevano tutte ancora quattro partite da giocare nella stagione regolare.
Nel football universitario, quattro partite sono un’eternità. E, come previsto, poco dopo aver firmato l’accordo il Notre Dame perse una partita e terminò la stagione classificandosi al quinto posto. Intanto la Virginia, che prima dell’accordo con il Sugar Bowl aveva perso solo una partita, ne perse due e finí la stagione rimanendo fuori da una classifica (ovvero non era nemmeno tra le prime venticinque) e arrivando al ventitreesimo posto nell’altra. Alla fine nessuna finale riuscí a veder giocare la squadra numero uno e la numero due (che furono il Colorado e la Georgia Tech).
Dunque quando i Bowl furono terminati non ci fu nessuna squadra considerata unanimemente campione nazionale: il Colorado si piazzò al primo posto in una classifica e la Georgia Tech fu la prima in un altra. Dato che non avevano giocato l’una contro l’altra, i giornalisti sportivi e gli allenatori che furono intervistati per la classifica nazionale si sentirono liberi di dire la propria opinione.
Dopo aver affrontato un cosí evidente fallimento nel far rispettare il pick’em day, la NCAA smise di provarci per la stagione 1991-924. La Football Bowl Association (FBA) reagí tentando di promuovere un pick’em day tutto suo e votò per far pagare una multa di 250 000 dollari a ogni membro che violasse questo accordo. Tuttavia la FBA non ebbe piú successo della NCAA, e come era facile prevedere anche le finali del 1991-92 non riuscirono a organizzare un incontro tra le due squadre in cima alla classifica. Ancora una volta il campionato poststagionale terminò senza creare un campione nazionale con il consenso unanime.
A posteriori, è evidente che furono diversi gli elementi problematici nella configurazione del mercato a impedire buoni match, cioè buoni abbinamenti, nella finale. Dato che il Rose Bowl coinvolgeva solo due leghe, le squadre campioni di queste rischiavano di non essere classificate vicine, e di rado erano le piú alte in classifica su scala nazionale. (Almeno, però, il Rose Bowl aveva un contratto che garantiva che le due squadre che si sarebbero sfidate dovevano essere i campioni delle rispettive leghe). Gli altri Bowl principali potevano attingere a un pool considerevole di leghe e squadre, ma a causa dell’unraveling, di offerte sempre piú anticipate per i loro slot aperti, la maggior parte venivano occupati senza che i comitati organizzativi sapessero quale posto avrebbero avuto in classifica a fine stagione le squadre invitate a giocare. E poiché molti Bowl avevano un posto riservato per il campione di una determinata lega, questo limitava la flessibilità nel matching di ciascuna di esse, e del mercato nel suo insieme.
Non fu semplice autocontrollo che fece smettere università e Bowl di partire troppo presto, né riuscí a impedirlo un’organizzazione importante come la NCAA. Alla fine il fenomeno dell’unraveling non si fermò finché le leghe e i Bowl non misero a punto nuove regole che eliminarono gli incentivi che portavano a fissare incontri per la finale prima che si conoscessero le classifiche di fine stagione.
Ci riuscirono attraverso una serie di riorganizzazioni del mercato incrementali e quasi annuali, concepite per rendere disponibile al matching, al termine della stagione regolare, un maggior numero di squadre − cioè per rendere piú denso il mercato poststagionale. Un modo per farlo fu ampliare le leghe di football, affinché il campione di ognuna di esse fosse il migliore di un gruppo piú ampio di squadre. Nel 2011 la lega Pacific-10 si trasformò nella Pacific-12. La Big Ten mantenne invariato il nome ma non il numero delle sue squadre: nel 2011 salirono a dodici, e poi arrivarono a quattordici nella stagione 2014-15. Inoltre si formarono co...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Ringraziamenti
  4. Matchmaking
  5. PARTE PRIMA. I mercati sono dappertutto
  6. PARTE SECONDA. Desideri andati in fumo: perché i mercati falliscono
  7. PARTE TERZA. Interventi di design per rendere i mercati piú intelligenti, piú densi e piú veloci
  8. PARTE QUARTA. Mercati proibiti e liberi mercati
  9. Note
  10. Indice analitico
  11. Il libro
  12. L’autore
  13. Copyright