Non è un paese per vecchi
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Non è un paese per vecchi

  1. 264 pagine
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Non è un paese per vecchi

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Informazioni sul libro

Nel Texas di oggi, lungo il confine con il Messico, si incrociano i destini di tre uomini. Uno di loro sta fuggendo con una borsa piena di soldi, gli altri due lo inseguono. Llewelyn Moss, un reduce del Vietnam, si è ritrovato sul luogo affollato di cadaveri di una battaglia fra narcotrafficanti e ha colto al volo un'occasione troppo grande per lui. Sulle sue tracce si muovono Anton Chigurh, un assasino psicopatico con una pericolosa filosofia della giustizia, e lo sceriffo Bell, un uomo del passato che non sa farsi una ragione della ferocia del presente. Il destino di Moss dipende da quale dei due inseguitori lo troverà per primo. Un romanzo crudo e implacabile come una premonizione di tragedia, che riporta il lettore in quei paesaggi del Sudest degli Stati Uniti dove i vecchi valori hanno ceduto il passo a una violenza cieca e incontrollata. Dove vivono uomini che, «se uno li ammazzasse tutti, toccherebbe costruire una dépendance dell'inferno».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2017
ISBN
9788858425893

1.

Un ragazzo ho mandato alla camera a gas di Huntsville. Uno e soltanto uno. Su mio arresto e mia testimonianza. Sono andato a trovarlo due o tre volte. Tre volte. L’ultima volta il giorno dell’esecuzione. Non ero tenuto ad andarci, ma ci sono andato lo stesso. E non ne avevo certo voglia. Aveva ammazzato una ragazzina di quattordici anni e posso dirvi subito che non ho mai avuto questa gran voglia di andarlo a trovare né tantomeno di assistere all’esecuzione però ci sono andato lo stesso. I giornali scrissero che era un crimine passionale e lui mi disse che la passione non c’entrava niente. Lui con quella ragazzina ci usciva insieme, anche se era cosí piccola. Il ragazzo aveva diciannove anni. E mi disse che da quando si ricordava aveva sempre avuto in mente di ammazzare qualcuno. Mi disse che se fosse uscito di galera l’avrebbe rifatto daccapo. Disse che lo sapeva che sarebbe andato all’inferno. Proprio cosí, parole sue. Io non so cosa pensare. Non lo so proprio. Mi pareva di non aver mai visto uno come lui e mi è venuto da chiedermi se magari non era un nuovo tipo di persona. Li ho guardati mentre lo legavano alla sedia e chiudevano la porta. Il ragazzo poteva avere l’aria un tantino nervosa ma niente di piú. Lo sapeva che da lí a un quarto d’ora sarebbe stato all’inferno. Io ci credo. E ci ho pensato tanto. Non era difficile parlare con lui. Mi chiamava sceriffo. Ma io non sapevo cosa dirgli. Cosa si dice a uno che per sua stessa ammissione non ha l’anima? Perché gli si dovrebbe dire qualcosa? Ci ho pensato proprio tanto. Ma lui era niente in confronto a quello che sarebbe venuto dopo.
Dicono che gli occhi sono le finestre dell’anima. Io non so di cos’erano la finestra quegli occhi e mi sa che preferisco non saperlo. Ma da qualche parte intorno a noi esiste un’altra visione del mondo e altri occhi per vederlo ed è lí che questa storia sta andando a parare. Mi ha portato a un punto della mia vita dove non avrei mai pensato di arrivare. Da qualche parte là fuori c’è un profeta della distruzione in carne e ossa e io non voglio trovarmelo di fronte. Lo so che esiste davvero. Ho visto cos’è capace di fare. Sono già passato una volta davanti a quegli occhi. E non lo farò mai piú. Non ho intenzione di mettere la mia posta sul tavolo, alzarmi e uscire per andargli incontro. Non sono invecchiato. Magari fosse per questo. E non posso neanche dire che dipende da quello che uno è disposto a fare. Perché l’ho sempre saputo che uno dev’essere disposto a morire se vuole fare questo lavoro. E io sono sempre stato disposto. Non per vantarmene ma è cosí. Se non sei disposto a morire quelli lo capiscono. Lo vedono in un batter d’occhio. Credo che dipenda soprattutto da quello che uno è disposto a diventare. E credo che in questo caso bisognerebbe mettere a rischio la propria anima. E io non voglio farlo. Ora che ci penso forse non l’ho mai voluto.
Il vicesceriffo lasciò Chigurh in piedi in un angolo dell’ufficio con le braccia ammanettate dietro la schiena, poi andò a sedersi sulla poltroncina girevole, si levò il cappello e mise i piedi sulla scrivania e chiamò Lamar al telefono.
Sono rientrato in questo momento. Sceriffo, aveva addosso un aggeggio tipo bombola di ossigeno per i malati di enfisema o qualcosa del genere. E poi aveva un tubo che gli passava dentro la manica e andava a finire in una di quelle pistole ad aria compressa che usano al mattatoio. Sissignore. Be’, è un affare fatto cosí. Lo vedrà quando arriva. Sissignore. Ci penso io. Sissignore.
Poi si alzò dalla poltroncina e si sganciò le chiavi dalla cintura e aprí il cassetto della scrivania per prendere le chiavi delle celle. Mentre era chino in avanti, Chigurh si accovacciò e fece scivolare le mani legate fin dietro le ginocchia. Con un unico movimento si sedette e si dondolò all’indietro e si passò la catena delle manette sotto i piedi, e poi si rialzò all’istante e senza sforzo. Sembrava una mossa che aveva provato molte volte e infatti lo era. Gettò le braccia ammanettate attorno al collo del vicesceriffo e con un salto andò a sbattergli le ginocchia contro la nuca e tirò violentemente indietro la catena.
Caddero a terra. Il vicesceriffo cercava di infilare le mani sotto la catena ma non ci riusciva. Chigurh faceva forza sulle manette, con le ginocchia fra le braccia e il volto girato dall’altra parte. Il vicesceriffo si dibatteva come una furia e aveva cominciato a scalciare lateralmente per tutto il pavimento, in cerchio, rovesciando il cestino della carta straccia e scaraventando la poltroncina all’altro capo della stanza. Chiuse la porta con un calcio e avvoltolò entrambi nel tappeto. Gorgogliava e sanguinava dalla bocca. Si stava strozzando col suo stesso sangue. Chigurh non fece altro che tirare piú forte. Le manette nichelate tagliarono fino all’osso. La carotide destra del vicesceriffo scoppiò e un fiotto di sangue schizzò per tutta la stanza, colpí la parete e colò giú. Le gambe del vicesceriffo rallentarono e poi si fermarono. Rimase a terra scosso dagli spasmi. Poi smise di muoversi del tutto. Chigurh restò lí a respirare piano, tenendolo fra le braccia. Quando si rialzò prese le chiavi dalla cintura del vicesceriffo, aprí le manette, si infilò la rivoltella del vicesceriffo nella cintura dei pantaloni e andò in bagno.
Si fece scorrere l’acqua fredda sui polsi finché non smisero di sanguinare, poi strappò dei brandelli di asciugamano con i denti, si fasciò i polsi e tornò nell’ufficio. Si sedette sulla scrivania e fissò le bende con il nastro adesivo, studiando il morto che lo guardava a bocca aperta da terra. Quando ebbe finito prese il portafoglio dalla tasca del vicesceriffo e tirò fuori i soldi, se li mise nel taschino della camicia e gettò a terra il portafoglio. Poi raccolse la bombola dell’ossigeno e la pistola ad aria compressa e uscí dalla porta, salí sulla macchina del vicesceriffo, mise in moto, venne fuori in retromarcia dal parcheggio e partí lungo la strada.
Sulla statale adocchiò una berlina Ford ultimo modello con solo il guidatore, accese i lampeggianti e suonò per un attimo la sirena. La macchina accostò. Chigurh si fermò poco piú indietro, spense il motore, si mise la bombola a tracolla e uscí. L’uomo lo guardò avvicinarsi nello specchietto.
C’è qualche problema, agente?, disse.
Le dispiace uscire dall’auto, per favore?
L’uomo aprí la portiera e uscí. Perché, cosa c’è?, disse.
Si allontani dall’auto, per favore.
L’uomo si allontanò dall’auto. Chigurh scorse il dubbio affiorargli negli occhi alla vista della figura sporca di sangue che aveva davanti, ma era troppo tardi. Gli appoggiò la mano sulla testa come un guaritore. Il sibilo e lo scatto dello stantuffo pneumatico fecero il rumore di una porta che si chiude. L’uomo scivolò a terra senza un suono, con un buco rotondo sulla fronte da cui il sangue uscí gorgogliando per poi scorrere fin dentro gli occhi portando con sé il suo mondo che si smembrava pian piano, visibilmente. Chigurh si asciugò la mano col fazzoletto. Non volevo sporcare la macchina di sangue, tutto qui, disse.
Moss era seduto con i tacchi degli stivali affondati nel pietrisco vulcanico del crinale e osservava il deserto sotto di sé con un binocolo tedesco a ingrandimento 12. Il cappello tirato indietro sulla fronte. I gomiti appoggiati sulle ginocchia. Il fucile che portava a tracolla con una cinghia di cuoio da sella era un .270 a canna pesante con sistema Mauser 98 e calcio in lamina di acero e noce. Era equipaggiato con un mirino telescopico Unertl della stessa potenza del binocolo. Le antilopi erano suppergiú a un chilometro e mezzo di distanza. Il sole era sorto da meno di un’ora e l’ombra del crinale, della datilla e delle rocce si allungava a dismisura sulla piana sotto di lui. Da qualche parte laggiú c’era anche la sua, di ombra dello stesso Moss. Abbassò il binocolo e rimase seduto a studiare il territorio. A sud in lontananza le montagne brulle del Messico. I canyon del fiume. A ovest il terreno color terra cotta lungo la frontiera. Fece uno sputo secco e si asciugò la bocca sulla spalla della camicia da lavoro di cotone.
Il fucile era in grado di sparare rosate ampie pochi millimetri. Rosate di una dozzina di centimetri a novecento metri di distanza. Il punto che aveva scelto per prendere la mira era appena sotto una lunga scarpata di detriti lavici e rientrava perfettamente in quel raggio di azione. Solo che gli ci sarebbe voluta quasi un’ora per arrivarci, e le antilopi al pascolo si stavano allontanando. L’unico elemento positivo era che non tirava vento.
Quando arrivò ai piedi della scarpata si alzò lentamente e cercò le antilopi. Non si erano allontanate molto da quando le aveva viste l’ultima volta, ma erano comunque ad almeno settecento metri da lui. Osservò gli animali col binocolo. Attraverso il pulviscolo compresso e la distorsione provocata dalla calura. Una bassa foschia di polvere e polline scintillanti. Non c’erano altri ripari e dopo quel tiro non avrebbe avuto una seconda possibilità.
Rotolò sulla ghiaia e si tolse uno stivale, lo stese sulle rocce, appoggiò l’asta del fucile sul cuoio, tolse la sicura con il pollice e guardò nel cannocchiale del fucile.
Erano ferme con la testa ritta, tutte quante, e lo guardavano.
Cazzo, sussurrò. Aveva il sole alle spalle, perciò non potevano certo aver visto un riflesso nella lente del cannocchiale. Avevano visto lui, punto e basta.
Il fucile aveva un grilletto Canjar regolato su 280 grammi; Moss tirò verso di sé fucile e stivale con estrema attenzione, guardò di nuovo nel cannocchiale e alzò leggermente il reticolo del mirino lungo il dorso dell’animale piú esposto. Conosceva esattamente le variazioni nell’angolo di caduta del proiettile a intervalli di cento metri. Era della distanza, che non era sicuro. Infilò il dito nella curva del grilletto. La zanna di cinghiale che portava appesa a una catenina dorata urtò contro le rocce e si mise a roteare vicino all’incavo del gomito.
Malgrado la canna pesante e il freno di bocca, al momento dello sparo il fucile si sollevò dall’appoggio. Quando tornò a inquadrare gli animali col cannocchiale, Moss li vide tutti ancora in piedi come prima. Il proiettile da dieci grammi impiegò quasi un secondo per arrivare laggiú, ma il suono ci mise il doppio. Le antilopi rimasero ferme a guardare la nuvoletta di polvere nel punto dove era atterrata la pallottola. Poi schizzarono via, lanciandosi quasi subito alla massima velocità sul barrial, con il lungo whaang dello sparo che le inseguiva, carambolava fra le rocce e virava bruscamente all’indietro attraverso lo spazio aperto nella solitudine del primo mattino.
Moss si rimise in piedi e le guardò andar via. Alzò il binocolo. Uno degli animali era rimasto indietro e trascinava una zampa, e lui pensò che il colpo doveva essere rimbalzato sul crostone d’argilla e averlo colpito al posteriore sinistro. Si chinò e sputò. Cazzo, disse.
Le guardò scomparire verso sud oltre gli speroni rocciosi. La polvere arancione pallido che era rimasta sospesa nella luce del mattino senza vento si assottigliò e poi scomparve a sua volta. Il barrial rimase silenzioso e deserto sotto il sole. Come se non fosse successo nulla. Moss si sedette e si rimise lo stivale, raccolse il fucile, estrasse il bossolo usato, se lo infilò nella tasca della camicia e chiuse l’otturatore. Poi si mise il fucile in spalla e s’incamminò.
Gli ci vollero una quarantina di minuti per attraversare il barrial. Da lí cominciò a risalire un lungo pendio vulcanico e poi seguí il crinale verso sudest fino a un punto panoramico affacciato sulla campagna nella quale si erano dileguati gli animali. Studiò lentamente il terreno con il binocolo. Lo stava attraversando un grosso cane senza coda, di colore nero. Moss lo osservò. Aveva la testa enorme e le orecchie mozze e zoppicava di brutto. Si fermò e rimase immobile. Guardò indietro. Poi proseguí. Moss abbassò il binocolo e restò lí a guardarlo passare.
Continuò a camminare lungo il crinale con il pollice agganciato alla tracolla del fucile e il cappello tirato indietro sulla fronte. Il dorso della camicia era già bagnato di sudore. Nelle rocce lí intorno erano incisi pittogrammi vecchi forse mille anni. Gli uomini che li avevano tracciati erano cacciatori come lui. Di loro non restava nessun’altra traccia.
Alla fine del crinale c’era una frana sassosa, con un sentiero accidentato che scendeva. Euforbia e acacia. Moss si sedette in mezzo alle rocce, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e setacciò il territorio con il binocolo. A un paio di chilometri di distanza, sulla piana, c’erano tre veicoli.
Abbassò il binocolo e diede un’occhiata generale a tutta la zona. Poi se lo rimise davanti agli occhi. Sembrava che ci fossero degli uomini stesi a terra. Affondò gli stivali fra i sassi e regolò il fuoco. I veicoli erano pick-up 4x4 o Ford Bronco con grosse gomme da fuoristrada e argani e file di fanali sul tetto. Gli uomini sembravano morti. Mise giú il binocolo. Poi lo rialzò. Poi lo rimise giú e restò seduto. Non si muoveva nulla. Restò seduto per un bel pezzo.
Quando si avvicinò ai fuoristrada non aveva piú il fucile in spalla ma lo teneva all’altezza della vita, senza sicura. Si fermò. Osservò la piana e poi osservò i fuoristrada. Erano crivellati di colpi. Alcune delle file di fori che correvano lungo le lamiere erano dritte e regolari e Moss capí che erano state lasciate da armi automatiche. Quasi tutti i vetri erano sfondati e le gomme a terra. Rimase lí. In ascolto.
Nel primo veicolo c’era un uomo accasciato sul volante, morto. Piú in là c’erano altri due corpi stesi fra i radi ciuffi d’erba gialla. A terra sangue nero rappreso. Si fermò e rimase in ascolto. Niente. Il ronzio delle mosche. Girò dietro al fuoristrada. C’era un grosso cane morto simile a quello che aveva visto attraversare la piana. Gli avevano sparato nella pancia. Piú in là c’era un terzo corpo steso faccia a terra. Moss guardò dal finestrino l’uomo seduto nel fuoristrada. Gli avevano sparato alla testa. Sangue dappertutto. Proseguí fino al secondo veicolo ma lo trovò vuoto. Si avvicinò al terzo corpo steso a terra. In mezzo all’erba c’era un fucile. Aveva la canna corta, il calcio a pistola e un caricatore a tamburo da venti colpi. Moss toccò leggermente lo stivale dell’uomo con la punta del piede e scrutò le basse colline circostanti.
Il terzo fuoristrada era un Bronco con le sospensioni rialzate e i vetri fumé. Moss alzò la mano e aprí la portiera dal lato del guidatore. Seduto al volante c’era un uomo che lo guardava.
Moss incespicò all’indietro, spianando il fucile. L’uomo aveva la faccia sporca di sangue. Mosse le labbra secche. Agua, cuate, disse. Agua, por dios.
Aveva in grembo un mitra H&K a canna corta con uno spallaccio di nylon nero e Moss allungò la mano, glielo tolse e indietreggiò. Agua, disse l’uomo. Por dios.
Non ne ho di acqua.
Agua.
Moss lasciò la portiera aperta, si mise in spalla l’H&K e si allontanò di qualche passo. L’uomo lo seguí con lo sguardo. Moss girò davanti al muso del fuoristrada e aprí la portiera dall’altro lato. Alzò la leva e piegò il sedile in avanti. Il vano posteriore era coperto da un telo impermeabile argentato. Ne tirò indietro un lembo. Un carico di pacchetti grossi come mattoni avvolti uno per uno nella plastica. Tenendo sempre d’occhio l’uomo al volante, Moss estrasse il coltello e fece un taglio su uno dei pacchetti...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Non è un paese per vecchi
  3. 1.
  4. 2.
  5. 3.
  6. 4.
  7. 5.
  8. 6.
  9. 7.
  10. 8.
  11. 9.
  12. 10.
  13. 11.
  14. 12.
  15. 13.
  16. Il libro
  17. L’autore
  18. Dello stesso autore
  19. Copyright