Organismo e libertà
eBook - ePub

Organismo e libertà

Verso una biologia filosofica

Hans Jonas, Paolo Becchi, Anna Patrucco Becchi

  1. 336 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Organismo e libertà

Verso una biologia filosofica

Hans Jonas, Paolo Becchi, Anna Patrucco Becchi

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Hans Jonas, le cui pubblicazioni nell'ambito dell'antropologia filosofica hanno offerto per decenni impulsi fondamentali alla riflessione e alla discussione internazionali, sviluppa in Organismo e libertà vita una comprensione del mondo organico che tenta di superare la cesura fra Materiale e Spirituale, diventata determinante per la filosofia e le scienze naturali a partire da Cartesio. Il mondo organico prefigura lo spirito fin dalle sue forme piú elementari, cosí come lo spirito resta parte del mondo organico anche nelle sue manifestazioni piú alte: questa è la conclusione cui pervengono analisi critica, descrizione e speculazione filosofica. Le grandi contraddizioni che l'uomo scopre in se stesso - libertà e necessità, autonomia e dipendenza, io e mondo, relazione e isolamento, vitalità creativa e mortalità - sono presenti in nuce già nelle forme piú elementari della vita, pericolosamente in bilico fra l'Essere e il Non-essere, ma anche portatrici di un intimo orizzonte di « trascendenza ». La vita, intesa nella costante alternanza fra termini contrastanti in tutti i suoi livelli di complessità, fornisce dunque all'uomo un nuovo strumento per comprendere anche se stesso, abbandonando definitivamente l'idea di una cesura metafisica fra se e il resto degli organismi.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Organismo e libertà di Hans Jonas, Paolo Becchi, Anna Patrucco Becchi in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Social Sciences e Sociology. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2017
ISBN
9788858425831
Categoria
Sociology

Appendice 1

L’uso greco della matematica nell’interpretazione della natura

Applicare la matematica a fenomeni naturali, cioè assegnare a questi ultimi un carattere matematico, può significare diverse cose, a seconda che ci si riferisca alle strutture oppure alla dinamica della natura, alle sue forme disposte secondo un determinato ordine oppure alle serie dei mutamenti, nel cui corso quelle forme vengono alla luce. Nell’approccio greco abbiamo a che fare con il primo caso. Per i pitagorici l’interpretazione matematica della realtà consisteva nel definire un tutto strutturale grazie ai rapporti numerici – prevalentemente di misurazioni spaziali –, in cui si trovano le sue parti principali l’una rispetto all’altra o esso stesso rispetto a strutture affini. Questa matrice di proporzioni, mediante cui una molteplicità appare in se connessa, forniva il suo carattere specifico e ordinatore e veniva quindi vista come il fondamento della sua interezza. Il «rapporto» (ratio) è il logos di una cosa, ovvero ciò che la rende ciò che è. L’ottava per esempio ha il rapporto 1:2; questo è quindi il suo logos, il principio del suo essere che precede ogni sua singola presenza e le sopravvive. Dal momento che nell’ordine delle cose la medesima proporzione astratta poteva ripetersi in diverse cose e sulle scale di grandezza piú disparate, era possibile stabilire analogie o equazioni attraverso tutto l’universo; e la scoperta di questa possibilità grazie ad alcuni esempi convincenti bastò a suscitare la concezione universale di un logos onnicomprensivo quale principio di «proporzione in sé», di un logos che domina tutto l’universo e proprio grazie a ciò acquista il carattere di un cosmo. Ne consegue che il logos, nella sua applicazione alla realtà, è un metro di misura selettivo, per il quale alcuni fenomeni sono adeguati e altri no. Infatti un vero «rapporto» (ratio) è solamente quello che si può esprimere in numeri interi, «razionali», mentre le proporzioni incommensurabili sono «irrazionali»: l’illimitatezza in essi nascosta rappresenta un difetto per lo spirito greco, che teneva in grande considerazione il limite quale segno distintivo del vero essere e presupposto della sua conoscibilità. Quest’ultima è in realtà il motivo di tale atteggiamento, l’esempio storico piú antico per questo ricorrente quid pro quo. La soddisfazione intellettuale per queste relazioni determinate geometricamente e aritmeticamente e per la loro interna razionalità si tradusse subito nella fede nel fatto che ivi si trovassero a un tempo vero essere e perfezione. Le note di un’armonia vanno e vengono ed essa può essere impura: il logos che la rende armonia è immortale ed è lo stesso ogni qualvolta risuona l’imperfetta armonia materiale. In quanto sua verità eterna il logos è la misura e contemporaneamente la causa di tutti i casi singoli di armonia temporale di questo tipo determinato. Cosí l’essenza delle cose consiste in misure e rapporti di misura, esprimibili infine in numeri.
Se lasciamo da parte l’aspetto metafisico e prestiamo attenzione unicamente a come la matematica venga qui applicata ai fenomeni, allora troviamo che questa applicazione è morfologica e non descrive tanto la compresenza di componenti che hanno un effetto, quanto la forma di totalità composite selezionate. I suoi oggetti sono quelle strutture persistenti di forma, che si possono astrarre dal flusso delle cose, ma che non appartengono al flusso e possono venire descritte grazie a rapporti numerici fissi.
La loro espressione costituisce una constatazione del «che» e non una spiegazione del «come» e del «perché». La teoria del cielo, che è «teoria» nel senso originario di contemplazione, non fornisce nessuna meccanica del cielo, bensí una sintesi della sua (come diremmo noi) «risultante» fisionomia dei caratteri geometrici e aritmetici. Come morfologia descrittiva questa characteristica mathematica della realtà è essenzialmente statica; essa raccoglie i suoi dati nel «presente» della forma immobile. Persino dove il movimento fa parte dei caratteri immutabili del quadro, come per le stelle nelle loro rivoluzioni, il susseguirsi delle fasi viene riportato in qualche modo a un’ideale presenza simultanea, nella quale esse appaiono come meri momenti nell’autocompimento della forma totale. Le relative lunghezze temporali di durata sono esse stesse caratteri morfologici duraturi della totalità rappresentata, insieme alle qualità geometriche della traiettoria spaziale, che giunge a compimento nelle fasi successive. In realtà vi è solo la presenza comprensiva dell’autorealizzazione eternamente ricorrente, nella quale tutte le fasi stanno sullo stesso piano come parti integranti del tutto unico e identico. A dimostrazione di ciò si può citare il fatto che i corpi celesti non venivano considerati come punti nel vuoto, senza alcun rapporto con una traiettoria nel passato e nel futuro, bensí ognuno veniva considerato come fissato in una sfera completa, nell’orbe esistente, che contiene già la sua traiettoria successiva, l’orbita, nella simultaneità di una forma costantemente presente.
I pitagorici immaginarono queste sfere celesti disposte a distanze il cui rapporto numerico coincidesse con gli intervalli consonanti nella scala musicale e produssero cosí la grandiosa idea dell’armonia delle sfere. Quest’ultima può apparire ai nostri occhi piú come una concezione estetica che non scientifica o razionale, ma non bisogna dimenticare che la correlazione dell’armonia cosmica con quella musicale si basava su fondamenti rigorosamente matematici (anche se astronomicamente errati), dai quali veniva dedotta l’inudibile musica cosmica.
Idee di bellezza e perfezione sono tanto estranee alla fisica moderna, quanto erano naturali per la cosmologia greca del tipo dominante (sempre a eccezione degli atomisti). La cosmologia aristotelica ne costituisce un ulteriore esempio. La perfezione del movimento celeste, allora rappresentato circolarmente, si fonda sulle virtú geometriche del cerchio, la figura piú perfetta; e questa eccellenza della forma, che garantiva completezza e autonomia permanente, rese il mondo stellato l’incarnazione piú pura della natura divina (cioè razionale) dell’universo, la massima approssimazione temporale all’atemporale esser-fermo-in-sé del motore immobile, che come causa ultima mantiene in moto l’universo. La connessione di un ideale geometrico con la causalità teleologica è di nuovo un pensiero, per il quale la scienza moderna non ha trovato posto. Del resto già al tempo dei grandi astronomi alessandrini il rigore scientifico aveva soffocato gran parte della fantasia speculativa dell’epoca precedente. Ma l’impostazione morfologica si conservò; persino a Tolomeo non venne in mente di violare l’integrità dei moti celesti ricorrendo alla comune meccanica sublunare; e la perfezione del cerchio come assioma dell’astronomia ossessionava ancora Copernico.
Cosí l’applicazione della matematica alla natura era in sintonia con tutto lo spirito greco della filosofia della natura, la quale teneva il suo sguardo rivolto a strutture complete di forma dalla totalità autonoma e improntava la cosmologia secondo questo modello. Il sistema del mondo consisteva di totalità inserite in totalità di estensione sempre maggiore, culminanti nel cosmo stesso, l’estremo tutto, onnicomprensivo, il supremo «uno nel molto», che come un corpo vivente è scopo a se stesso. Allo stesso modello corrisponde tutto in natura, anche se in gradi minori di completezza e autosufficienza. Ogni cosa è parte di una totalità piú grande, uno scopo per se stesso e un tutto per le sue parti. Cosí il tutto integrale, rappresentato con la «forma» in quanto tale e realizzato nel cosmo in quanto forma totale, era l’ultimo concetto preliminare nell’ontologia antica, esattamente come la parte piú piccola – di materia o energia – è viceversa l’ultimo concetto preliminare dell’ontologia moderna. Quello che viene chiamato qui «ultimo concetto preliminare» funge in entrambi i casi da primo principio della comprensibilità e quindi da ultimo espediente della spiegazione. Quello che in una delle ontologie è deduzione delle parti e della loro funzione dalla natura del tutto autonoma e vista nella sintesi originaria, nell’altra è la deduzione del tutto composto dall’interazione delle parti autonome e isolate nell’analisi precedente.

Appendice 2

Considerazioni intorno alla filosofia dell’organismo di Whitehead

Whitehead, che definiva significativamente la sua teoria generale della realtà una «filosofia dell’organismo», trasformò in fin dei conti la differenza fra la vita e ciò che è privo di vita da differenza essenziale a differenza di grado. Per questo come per altri aspetti egli seguiva Leibniz e, come quest’ultimo, anch’egli nella formulazione concettuale della vita non trova spazio per la morte. Per quanto concerne il tema dell’«identità», del quale ci siamo occupati, l’ontologia di Whitehead risolve il problema dell’identità secondo il modello proprio della fisica (nel nostro esempio: quella delle particelle di materia) inserendolo in un principio ampliato di identità organica e sottraendo cosí a quest’ultima, come risultato secondario, la domanda specifica che essa pone in relazione ai normali concetti della fisica: l’identità biologica diviene quindi il caso particolare di un principio universale della continuità dell’essere, la quale è in ogni caso un’identità trasmessa dinamicamente. Questo obiettivo, il superamento di un irritante dualismo, viene raggiunto grazie a un ingegnoso schema concettuale che abbraccia entrambi i lati della linea di divisione.
La «semplice localizzazione» (simple location) è sostituita dall’onnipresenza graduata, la sostanza persistente da «occasioni attuali» del sentire (actual occasions) come uniche entità ultime, la durata dell’esistenza dalla trasmissione di caratteri da un’occasione alla seguente: quest’ultima eredita a sua volta un passato accogliendo selettivamente nella sua interiorità il risultato della precedente e inaugura un futuro divenendo per parte sua ereditabile grazie al compimento della propria attualizzazione. In mezzo vi è ciò che costituisce il suo personale contributo all’eredità: il prendere e l’appropriarsi di selezionati «oggetti eterni» (eternal objects). Ciò che visto da fuori appare quindi come continuità dell’esistenza è in realtà una serie di eventi atomici che formano un nesso (nexus) grazie all’inserimento cumulativo del passato in ogni nuovo presente. In questo modo l’«identità» viene attuata nell’unico senso compatibile con il sistema. È una teoria della creazione permanente, di cui le leggi di conservazione proprie della fisica sono solo sintesi fenomeniche. Si tratta però di una creazione immanente (autocreazione della natura); e di una creazione con un numero infinito di fasci, i quali corrono uno accanto all’altro; e che procede su ognuno di questi a passi atomici, cioè discreti: differente sotto tutti e tre gli aspetti dalla creazione permanente postulata da Cartesio, che considerava la materia rinnovata nella sua esistenza in ogni attimo dal suo creatore trascendente, cioè dall’esterno; e il suo fiat ogni volta come uno cumulativo per tutta la materia simultanea e l’«ogni volta» come costante attraverso il tempo, cioè continuativo: piú come un atto di convalida che ripete se stessa che non come un atto di creazione. Si tratta della differenza fra la visione teistica, che nega ogni forma di creatività al creato – di fatto la natura meccanicistica concepita in questo modo è decisamente non creativa –, e la moderna visione immanentistica, che traspone l’attributo della creatività nella natura stessa. Questa è l’unica alternativa razionale che restava aperta al naturalismo dopo la perdita del polo opposto e trascendentale proveniente dalla metafisica dualistica: solo sotto l’egida di questa metafisica un puro «materialismo» era razionalmente possibile in fisica.
Non è questa la sede per una discussione di questo ardito progetto di un’ontologia fondamentale della natura, la cui forza intellettuale e importanza filosofica non ha pari nel nostro tempo. La sua rilevanza per il nostro problema particolare risiede nel fatto che – una volta che la trasmissione e l’appropriazione, ossia la storicità, sono adottate come un principio universale dell’identità – l’identità biologica smette di essere il mistero che è in base alle normali categorie fisiche. Dubito che questo sia un vantaggio. Noi stessi ci siamo sentiti obbligati a parlare di una «rivoluzione ontologica» che ha avuto luogo con la comparsa della vita. Una tale rivoluzione per Whitehead è inutile, dal momento che tutto è già vitale fin dal principio. L’offuscamento della differenza fra natura animata e natura inanimata, che comporta la diffusione di interiorità sino alle basi materiali, sembra essere un prezzo alto per l’atomistica delle «occasioni attuali» che vi viene sostenuta: proprio quest’ultima infatti esige che l’interiorità sia universale per evitare l’altrimenti inevitabile isolamento monadico delle attualità. Il risultato è una soppressione della discontinuità là dove al contrario è importante, ossia fra vita e non-vita, e la sua introduzione là dove essa è solamente ipotetica, ossia tra fasi di durata fisica.
Un’ulteriore osservazione: mentre la polarità di sé e mondo, come pure quella di libertà e necessità, trova spazio nel sistema di Whitehead, decisamente non lo trova quella di essere e non-essere e con ciò anche il fenomeno della morte (e nemmeno incidentalmente quello del male): ma quale comprensione della vita vi può essere senza una comprensione della morte? La profonda angoscia dell’esistenza biologica non ha posto nel grandioso schema. Whitehead ha scritto nella sua metafisica, in questo senso non diversamente da Hegel, una storia del successo essenzialmente garantito: tutto il divenire è autorealizzazione, ogni avvenimento è in se stesso compiuto (altrimenti non sarebbe attuale), ogni perire sigilla il fatto del compimento raggiunto. «Morte, dov’è il tuo pungiglione?»

Capitolo sesto

Movimento e sentimento

Sull’anima animale

Nel capitolo precedente sono diventate visibili le antinomie che sono racchiuse nella dialettica della libertà della vita quale rapporto forma-materia e che la rendono un essere profondamente paradossale. Qui le ricorderemo ancora una volta, dal momento che passiamo all’esistenza animale e con ciò a un nuovo stadio d’osservazione, poiché anche al nuovo livello esse restano temi fondamentali che non possono essere tralasciati.
Insieme all’emancipazione della forma è data la necessità costitutiva della vita, la quale è un dato di fatto da essa inscindibile. La libertà nel rapporto con la materia, che si aziona nell’essere metabolizzante della forma, significa al contempo ipso facto dipendenza dalla materia; ovvero proprio secondo la misura della dinamica del metabolismo basale della forma, la quale è d’altro canto proprio l’indice della sua libertà ontologica. La non-identità con la propria materia – in positivo la differenza della forma esistente come se stessa, in negativo l’insufficienza di ogni sua materialità simultanea – fa coincidere la vita con tanta piú materia nel tempo: essa quindi non diminuisce, bensí aumenta nel conto complessivo la materialità della forma sciolta dall’equazione fissa con la materia e quindi come tale «liberatasi». Uscita dalla sicurezza (indiscutibilità) dell’identità fisica per intraprendere l’avventura della differenza e della libertà, la forma di vita è superiore alla materia, e allo stesso tempo esposta a tutta la materia che la circonda. Col fatto che questo uscire ha sacrificato la simultanea completezza per la graduale realizzazione, il rapporto materiale è divenuto transitorio, quindi ogni volta accidentale, ma con ciò d’altro canto anche urgente, come pure esteso: moltiplicantesi nel tempo attraverso la successione delle materializzazioni; in ogni ora ampliato dall’orizzonte della materia potenziale implicito in quella attuale, che è proprio quello necessario; nella qualità acuito dall’indifferente avere al dover acquisire.
Similmente bilaterali sono tutti i veri caratteri della vita, indipendentemente da quali siano i concetti in cui esplichiamo quell’unico dato di fatto e da quale aspetto in essa evidenziamo. Cosí l’indipendenza rispetto alla natura, posta e affermata nella causalità propria dell’organismo – un’autonomia extrameccanica – ha il suo prezzo esatto nella dipendenza esistentiva dalla natura, la quale è assolutamente estranea all’essere stabile della materia senza vita. D’altra parte: chiusura della totalità funzionale verso l’interno è nell’effettuazione della funzionalità stessa apertura correlativa verso il mondo. Il sé della singola vita è opposto a tutto il resto come al mondo esterno o come all’estraneo, tuttavia proprio questa opposizione si attualizza, attraverso la «trascendenza» (che si basa su di essa ed effettua il rapporto dello stare di fronte a partire dal sé), come integrazione dell’esterno – in quanto esterno – nell’interno o come essere fuori di sé dell’interno nell’esterno. La singolarizzazione dell’unità di vita come individuo, il suo isolamento radicale dall’universo del coordinato, del fra sé scambiabile – proprio essa significa capacità di contatto con la molteplicità dell’altro, e precisamente in proporzione diretta: quanto piú decisamente l’individualità, quindi la singolarizzazione, si sviluppa nel progresso delle forme di vita, tanto piú e nella medesima proporzione cresce in estensione e molteplicità il raggio dei suoi possibili contatti; infatti quanto piú centralizzato e puntuale è l’io vitale, tanto piú vasta è la sua periferia e viceversa quanto piú avvolto ancora nel tutto della natura, quanto piú indeterminato nella sua differenza e quanto piú confuso nella sua centralità, tanto piú piccola la sua periferia di contatti col mondo. La vita ha una distanza basilare dal mondo, dalla cui omogeneità la forma si è isolata e ritirata nel suo modo specifico: ma proprio questa distanza offre la dimensione per l’essere riferiti al mondo, che ha le sue radici nei necessari rapporti reali designati, ma che non coincide con essi, bensí può superarli sino all’universalità.
Infine la caducità di questa esistenza, che è il diretto rovescio della medaglia della sovranità della sua autofondazione: l’identità che si costituisce, proprio perché di attimo in attimo è prodotto funzionale e non stato esistente, è di durata precaria e revocabile; il creato, con cui essa provvede alla sua continuazione, è un ininterrotto sventare l’estinzione. Essa, la cui conservazione è solo nel costante rinnovamento – la forma libera verso la materia, ma non libera da essa –, sta sin dal principio sotto il segno della caducità, dell’annientabilità e della morte.
È solo nell’esistenza dell’animale che i tratti qui delineati, già insiti nell’essenza fondamentale dell’organico, appaiono in piena luce.
1.
Tre caratteristiche distinguono la vita animale da quella vegetale: capacità motoria, percezione, sentimento. La necessaria connessione fra locomozione e percezione è evidente ed è stata già discussa da Aristotele; la necessaria connessione fra locomozione e sentimento (moto dell’animo) richiede un’analisi piú precisa; questa mostrerà che tutt’e tre le capacità sono la manifestazione di un principio comune.
La contemporanea comparsa di percezione e movimento apre un capitolo importante nella storia della libertà, la quale iniziò con l’esistenza organica in quanto tale e si manifestò per la prima volta nella primordiale inquietudine della sostanza metabolizzante. La progressiva elaborazione di queste due capacità nell’evoluzione significa una crescente scoperta del mondo e una crescente individuazione del sé. L’apertura verso il mondo è una condizione fondamentale della vita in generale. La sua manifestazione elementare è la mera irritabilità, la sensibilità agli stimoli, com’è mostrata dalla semplice cellula quale aspetto indispensabile del suo essere-vivente. L’irritabilità è il germe e in certa misu...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Organismo e libertà
  3. Presentazione di Paolo Becchi
  4. Nota del curatore
  5. Organismo e libertà
  6. Prefazione
  7. Introduzione. Sulla tematica di una filosofia della vita
  8. I. Il problema della vita e del corpo nella dottrina dell’essere
  9. II. Percezione, causalità e teleologia
  10. III. Aspetti filosofici del darwinismo
  11. Appendice. Il significato del cartesianismo per la teoria della vita
  12. IV. Armonia, equilibrio e divenire
  13. V. Dio è un matematico?
  14. Appendice 1. L’uso greco della matematica nell’interpretazione della natura
  15. Appendice 2. Considerazioni intorno alla filosofia dell’organismo di Whitehead
  16. VI. Movimento e sentimento
  17. VII. Cibernetica e scopo
  18. Appendice. Materialismo, determinismo e lo spirito
  19. VIII. La nobiltà della vista
  20. Appendice. Vista e movimento
  21. IX. Homo pictor: della libertà del raffigurare
  22. Appendice. Sull’origine dell’esperienza della verità
  23. Transizione. Dalla filosofia dell’organismo alla filosofia dell’uomo
  24. X. Dell’uso pratico della teoria
  25. XI. Gnosi, esistenzialismo e nichilismo
  26. XII. Immortalità ed esistenza odierna
  27. Epilogo. Natura ed etica
  28. Nota bibliografica
  29. Il libro
  30. L’autore
  31. Dello stesso autore
  32. Copyright