Sete
eBook - ePub

Sete

  1. 648 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni sul libro

A tre anni dalle nozze con Rakel, Harry Hole, ormai vicino alla cinquantina, sembra aver trovato un suo equilibrio e la forza per tenersi alla larga dai guai. Da tempo ha chiuso con l'alcol e per lui non ci sono piú casi e indagini sul campo, solo un tranquillo incarico come docente alla scuola di polizia di Olso. Ma in città due donne vengono uccise nella propria abitazione a distanza di pochissimi giorni, e una terza viene ritrovata ferita sulle scale di casa. A collegare le vittime, il fatto che tutte e tre fossero iscritte a Tinder. E un segno inconfondibile, quasi una firma raccapricciante, lasciata sui loro corpi.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2017
ISBN
9788858425350

Parte prima

1. Mercoledí sera

Con tutto che era quasi deserto, nel Jealousy Bar si faceva fatica a respirare.
Mehmet Kalak osservò l’uomo e la donna davanti al banco mentre versava il vino nei due calici. Quattro clienti. Il terzo era un uomo seduto da solo a un tavolo, che beveva a sorsetti piccolissimi la sua birra media, e il quarto un paio di stivali da cowboy che spuntavano da un séparé, dove di quando in quando il buio cedeva alla luce del display di un cellulare. Quattro clienti alle undici e mezzo di una sera di settembre nella migliore zona di locali a Grünerløkka. Un disastro: non poteva andare avanti cosí. A volte si chiedeva perché avesse lasciato il posto di capo barman nell’albergo piú cool della città per rilevare completamente da solo quel bar malandato con una clientela di alcolizzati. Forse lo aveva fatto convinto che ritoccando i prezzi sarebbe riuscito a rimpiazzare gli habitué con i clienti cui tutti ambivano: gli abitanti del quartiere non piú giovanissimi, solventi e senza problemi. Forse lo aveva fatto perché dopo la rottura con la fidanzata aveva bisogno di un posto dove ammazzarsi di lavoro. Forse lo aveva fatto perché l’offerta dello strozzino Danial Banks gli era sembrata vantaggiosa quando la banca gli aveva rifiutato il finanziamento. Oppure lo aveva fatto semplicemente perché al Jealousy Bar era lui a scegliere la musica, e non un maledetto direttore d’albergo che conosceva una sola melodia: il din din della cassa. Non aveva avuto problemi a cacciare la vecchia clientela, che da un bel pezzo si era affezionata a un locale economico a tre isolati di distanza. Comunque, come aveva capito era piú difficile accaparrarsene una nuova. Forse avrebbe dovuto rivedere il concept. Forse un unico schermo tv che trasmetteva solo calcio turco non bastava a elevarlo a bar sportivo. E per quanto riguardava la musica, magari avrebbe dovuto puntare su carte classiche, sicure, come gli U2 e Springsteen per gli uomini e i Coldplay per le signore.
– Non è che abbia molta esperienza di dating con Tinder, – disse Geir posando il bicchiere sul banco. – Però una cosa l’ho scoperta: c’è un sacco di gente molto strana in giro.
– Ah sí? – disse la donna soffocando uno sbadiglio. Aveva i capelli biondi, corti. Snella. Trentacinque anni, pensò Mehmet. Movimenti rapidi, un po’ agitati. Occhi stanchi. Lavora troppo e fa palestra nella speranza di trovare l’energia che le manca. Mehmet vide Geir levare il calice stringendo lo stelo con tre dita, come lei. Aveva sempre ordinato la stessa cosa delle innumerevoli donne che agganciava su Tinder, fosse whisky o tè verde. Probabilmente voleva dare a vedere che anche su quel punto c’era un match.
Geir si schiarí la voce. Erano trascorsi sei minuti da quando la donna era entrata nel bar, e Mehmet sapeva che stava per passare all’attacco.
– Sei piú bella che nella foto del profilo, Elise, – disse Geir.
– Lo hai già detto, comunque grazie di nuovo.
Mehmet lucidava un bicchiere fingendo di non sentire.
– Allora, racconta, che cosa vorresti dalla vita?
Lei sorrise con una punta di rassegnazione. – Un uomo che non badi solo all’aspetto esteriore.
– Non potrei essere piú d’accordo, Elise, l’importante è ciò che sei dentro.
– Scherzavo. Sono piú bella nella foto del profilo, e a dire la verità vale anche per te, Geir.
– Eh eh, – disse Geir fissando un po’ sorpreso il bicchiere. – Immagino che quasi tutti scelgano una foto venuta bene. Quindi, vorresti un uomo. Che tipo di uomo?
– Uno che sia disposto a fare il casalingo con tre figli –. Lei guardò l’orologio.
– Eh eh –. Il sudore gli imperlava non solo la fronte ma tutta la grossa testa rasata. E di lí a poco si sarebbero formati due aloni sotto le ascelle della camicia nera, modello slim fit, aderente, una strana scelta visto che Geir non era né slimfit, né magro né in forma. Girò il bicchiere. – Ecco, questo è proprio il mio stesso senso dell’umorismo, Elise. Per il momento a me il cane basta come famiglia. Ti piacciono gli animali?
«Tanrim, ma che aspetta a sbattere le carte sul tavolo, quello?» pensò Mehmet.
– Se incontro la donna giusta, lo sento qui… E qui… – Aggiunse con un sorriso, indicandosi le parti basse. – Prima, però, bisogna scoprire se è vero. O no? Secondo te, Elise?
Mehmet rabbrividí. Geir si stava giocando tutto, e la sua autostima avrebbe preso l’ennesima batosta.
La donna scostò il calice, si sporse un po’ di piú, tanto che Mehmet dovette sforzarsi per sentire: – Mi prometti una cosa, Geir?
– Ma certo, – rispose lui con una sorta di fervore canino nello sguardo e nella voce.
– Che non appena sarò uscita di qui, non mi cercherai mai piú?
Mehmet non poté fare a meno di ammirare Geir per il sorriso che riuscí a tirar fuori: – Ma certo –. La donna si ritrasse. – Non è che tu mi sembri uno stalker, Geir, ma devi sapere che ho avuto un paio di brutte esperienze. Ce n’è stato uno che ha cominciato a seguirmi. E ha minacciato anche quelli con cui uscivo. Spero che mi capirai se sono un po’ guardinga.
– Capisco –. Geir prese il calice e lo vuotò. – Come ti dicevo, in giro ci sono un sacco di pazzi. Ma non temere, non corri nessun pericolo. Dal punto di vista statistico, le probabilità di morire ammazzati è quattro volte maggiore per un uomo che per una donna.
– Grazie del vino, Geir.
– Se stasera uno di noi tre…
Mehmet si affrettò a distogliere lo sguardo quando Geir lo additò.
– … dovesse essere ucciso, le probabilità che tocchi a te sono una su otto. Anzi, no, aspetta, bisogna dividere per…
Lei si alzò. – Spero che tu riesca a trovare la soluzione. Stammi bene.
Appena fu uscita Geir fissò il calice per un po’, muovendo la testa al ritmo di Fix You come per convincere Mehmet e altri eventuali testimoni che si era già scrollato di dosso l’episodio: quella donna non era stata che una canzonetta di tre minuti, e lui l’aveva dimenticata con la stessa rapidità. Poi si alzò senza toccare il bicchiere e andò via. Mehmet si guardò intorno. Anche gli stivali da cowboy e il tizio che tormentava la birra media erano spariti. Era rimasto solo. E l’ossigeno era tornato. Usò il cellulare per cambiare la compilation dell’impianto stereo. Con la sua compilation. I Bad Company. Con elementi dei Free, dei Mott The Hoople e dei King Crimson era difficile sbagliare. E con Paul Rodgers come vocalist era impossibile sbagliare. Mehmet alzò il volume tanto da far tintinnare gli uni contro gli altri i bicchieri dietro il banco.
Elise percorse Thorvald Meyers gate tra sobri palazzi a quattro piani che una volta ospitavano la classe operaia nella zona povera di una città povera, ma dove adesso un metro quadro costava quanto a Londra e a Stoccolma. Settembre a Oslo. Finalmente era tornato il buio, e si erano lasciati alle spalle le lunghe, fastidiose notti chiare insieme alla sciocca, allegra e isterica vitalità dell’estate. A settembre Oslo ritrovava il suo vero io: malinconico, riservato, efficiente. Una facciata solida, ma non priva di ombre e di segreti. Proprio come lei, a detta di qualcuno. Affrettò il passo, c’era pioggia nell’aria, acquerugiola, lo spruzzo dello starnuto di Dio, come l’aveva definita uno dei suoi dates che voleva essere poetico. Doveva cancellarsi da Tinder. Domani. Non ne poteva piú. Di uomini infoiati che con lo sguardo la facevano sentire una puttana quando li incontrava in un bar. Di psicopatici e stalker fuori di testa che le si incollavano addosso come zecche sottraendole tempo, energie e serenità. Di sfigati patetici che la facevano sentire una di loro.
Si diceva che gli incontri in rete erano il nuovo modo di conoscere gente, che non era piú una cosa di cui vergognarsi, lo facevano tutti. Ma non era vero. La gente si conosceva al lavoro, nelle sale lettura, tramite amici, in palestra, al caffè, in aereo, sull’autobus, in treno. Si conosceva nelle circostanze giuste, con le spalle rilassate, senza stress, e dopo serbava l’illusione romantica di innocenza, purezza e capriccio del destino. Lei voleva avere quell’illusione. Avrebbe chiuso il suo account. Non era la prima volta che se lo diceva, ma adesso lo avrebbe fatto davvero, quella sera stessa.
Attraversò Sofienberggata e tirò fuori la chiave del portone accanto al fruttivendolo.
L’aprí ed entrò nel buio dell’androne. E si fermò di colpo.
Erano in due.
I suoi occhi impiegarono qualche secondo ad abituarsi all’oscurità quel tanto che bastava per vedere cosa tenevano in mano. Entrambi gli uomini avevano i pantaloni slacciati e l’organo sessuale di fuori.
Lei indietreggiò. Non si voltò, pregò solamente che non ci fosse anche qualcuno alle sue spalle.
– Cazzoscusa –. Quel termine che univa un’imprecazione a una parola di rammarico fu pronunciato da una voce giovane. Un ragazzo di diciotto, vent’anni, immaginò Elise. Non sobrio.
– Aah! – proruppe l’altro in tono gioviale. – Mi hai pisciato sulle scarpe!
– Ho preso male la mira!
Elise si strinse nel cappotto e superò i due, che si erano di nuovo girati verso il muro. – Questa non è una latrina, – disse.
– Scusa, ci scappava. La cosa non si ripeterà, giuro.
Geir camminava a passo svelto lungo Schleppegrells gate. Rimuginava. Il calcolo secondo cui tra due uomini e una donna quest’ultima aveva una probabilità su otto di essere uccisa, era piú complicato di cosí. Tutto era sempre piú complicato.
Aveva superato Romsdalsgata quando qualcosa lo indusse a voltarsi. Un uomo lo seguiva a cinquanta metri di distanza. Non ne era sicuro, ma non era il tizio che aveva visto fermo sul lato opposto della via, intento a guardare una vetrina, quando lui era uscito dal Jealousy Bar? Geir affrettò il passo, verso est, verso gli impianti sportivi di Dælenenga e la fabbrica di cioccolato. Per strada non si vedeva un’anima, solo un autobus che evidentemente era in anticipo sull’orario e aspettava alla fermata. Si guardò alle spalle. Il tizio era ancora lí, sempre alla stessa distanza. Geir aveva timore della gente di pelle scura, da sempre, ma non riusciva a vederlo bene. Stavano uscendo dalla zona bianca gentrificata, per addentrarsi in quella dove c’era una maggiore densità di case popolari e immigrati. Scorse il portone del suo palazzo a cento metri. Ma quando si voltò, vide che il tizio si era messo a correre, e al pensiero di avere alle calcagna un somalo di Mogadiscio, completamente traumatizzato, mise le gambe in spalla. Erano anni che non ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Sete
  4. Prologo
  5. Parte prima
  6. Parte seconda
  7. Parte terza
  8. Epilogo
  9. Il libro
  10. L’autore
  11. Dello stesso autore
  12. Copyright