Il Codice d'Amore
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Il Codice d'Amore

Biglietto d'amore. I colori del cuore. Il ragazzo dagli occhi neri

  1. 432 pagine
  2. Italian
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Il Codice d'Amore

Biglietto d'amore. I colori del cuore. Il ragazzo dagli occhi neri

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Sono qui raccolti, in un unico volume, tre romanzi di Laura Mancinelli in cui l'autrice trasporta il lettore in un mondo dove i sogni possono diventare realtà. Biglietto d'amore, con lo straordinario viaggio nella Germania del XIII secolo di un poeta e di un cacciatore alla scoperta di quante più possibili poesie d'amore che si trasformerà ben presto in un'affascinante iniziazione alla bellezza della natura e ai piaceri terreni; I colori del cuore, che vedrà l'intelligenza e la purezza dei sentimenti vincere sull'arroganza e la forza bruta; infine, conclusione ideale di questa trilogia, Il ragazzo dagli occhi neri, con l'avventuroso ritorno ai luoghi degli avi che sarà l'occasione, per un giovane principe, di scoprire le proprie radici e le ragioni che governano l'utopia di ogni singolo destino. Con una premessa dell'autrice.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2014
ISBN
9788858413012

Biglietto d’amore

1. La casa del mercante Manesse

Un bigliettin d’amore avevo nelle mani
e un piccolo gancio ben appuntito,
con quello l’appuntai al suo mantello
all’uscir della messa di primo mattino
cosí cantava Hadlaub la sua ultima poesia, composta durante il viaggio testé concluso con esito felice, molto piú felice di quanto avesse mai osato sperare. Fermo su un colle che dominava il lago, guardava lo specchio d’acqua immobile sotto la luna piena, e la nobile città di Zurigo distesa sulle sue rive. Alquanto discosta dall’abitato, in un folto di abeti, con la bianca facciata solcata dalle linee scure della struttura lignea e gli alti tetti a punta, solenne e silenziosa si ergeva la casa del facoltoso mercante, una delle piú belle della città, pur ricca di nobili dimore. Da quella casa era partito piú di un anno prima per inseguire le tracce dei poeti d’amore che lo avevano preceduto nel tempo, e trascriverne le opere, tutte quelle che sarebbe riuscito a trovare, come gli era stato imposto dal suo signore, messer Rüdiger Manesse di Zurigo.
Era partito? No, veramente era stato scacciato, sia pure con il pretesto dignitoso di ricercare i componimenti d’amore dei cantori del XIII secolo, i «Minnesänger» delle regioni meridionali di lingua tedesca, vanto del tardo Medioevo, alcuni dei quali erano forse ancora vivi e certo assai vecchi. Lui, Hadlaub, era molto giovane, poco piú che ventenne, e aveva trascorso circa un anno peregrinando per corti e monasteri, sempre con il medesimo scopo di trascrivere quante piú poesie poteva trovare, affinché il suo signore realizzasse il sogno della vita: raccogliere i componimenti delle «corti d’amore» in un grande codice miniato, che a lui avrebbe dato fama imperitura, e al mondo conservato testi che altrimenti il tempo avrebbe seppellito nell’oblio.
E lui, il povero cantore di umili origini, aveva dovuto obbedire. Era partito un mattino di marzo, col primo sciogliersi delle nevi, ed era tornato a casa nell’estate dell’anno successivo. Una casa non sua, certo, ma del signore che lo aveva accolto ancora diciottenne, come segretario e scrivano, togliendolo dal vicino monastero di Einsiedeln dov’era stato allevato fin da bambino e dove gli era stato insegnato a leggere e scrivere, perché l’abate aveva notato in lui una particolare abilità nell’usare la penna d’oca e i pennellini per le grandi iniziali miniate. Quando il ricco mercante si era presentato a chiedere uno scrivano per la sua casa, l’abate aveva subito pensato a quel giovane novizio, troppo biondo e bello per diventare monaco, e troppo innamorato della primavera del mondo che pulsava nel suo cuore.
Per due anni aveva servito come segretario del signore, contabile e scrivano; quando era libero dal lavoro si esercitava in rime e versi secondo la moda allora dominante nelle regioni della Germania meridionale, delle quali era parte l’Alemagna, la terra in cui viveva e dove la città di Zurigo prevaleva per ricchezza ed eleganza. Hadlaub amava l’eleganza nella poesia e nella vita, ed era felice di poter vivere in essa: in una bella casa di signori, tra persone cortesi che non lo trattavano come un servitore, e nemmeno con l’austero distacco che aveva conosciuto nel monastero. Nelle ore di riposo poteva passeggiare nel delizioso giardino della casa, quasi un castello ma senza la severa rudezza di torri e mura merlate, perché castello non era, bensí la comoda dimora di un ricco mercante, ingentilita dalla presenza e dalla mano di una bella donna che ne era signora e padrona.
Anche il giardino rivelava la grazia della mano femminile nella scelta dei fiori, nella disposizione ornata di forme e colori, nell’improvviso sgorgare di una fontana dalla quale derivava un placido ruscello che, dopo aver aggirato piccoli dossi di abeti e rocce coperte di muschio, si perdeva nel bosco che andava digradando verso il lago e là, silenzioso, spariva.
Hadlaub amava quel giardino, le sue erbe e i fiori, e quando il gelo invernale stringeva nel ghiaccio le acque sopprimendone il lieto fruscio e condannandole al muto, immobile silenzio, si ritirava nella sua camera, di poco piú grande della cella del monastero, e ricercava in malinconiche rime i suoni e i colori della primavera.
Allora tutta la vita della famiglia si racchiudeva all’interno della casa, nell’ampia sala riscaldata dal camino. Camini piccoli e grandi erano presenti in tutte le camere, e quando il freddo mordeva forte, la padrona aveva cura che tutti fossero accesi e sempre alimentati durante il giorno, e alla sera, quando veniva l’ora di coricarsi, le braci fossero coperte di cenere e mantenute vive nella notte, sí che il tepore non venisse mai a mancare e al mattino da quelle si ridestasse subito una bella fiamma viva.
Ma nella grande sala, dove la famiglia si riuniva per pranzare e trascorreva d’inverno gran parte del giorno, il signore aveva fatto costruire una grande stufa rivestita di piastrelle di maiolica, secondo una moda che aveva conosciuto nella Germania orientale durante i suoi viaggi per affari. Da quella stufa, ben alimentata da grandi ciocchi di legna, il calore si diffondeva costante e uniforme in tutta la sala, sí che non v’era angolo pur lontano dove non giungesse un tepore dolce e costante. E lí il giovane Hadlaub fu invitato a pranzare con la famiglia dei signori, per la prima volta, un giorno di festa.
Tanto fu piacevole e a tutti gradita la compagnia del giovane scrivano, pur modesto e riservato nel parlare e nell’agire, che da quel giorno egli ebbe il suo posto alla tavola dei padroni, tolto che fu a quella dei servitori, dove fino allora aveva pranzato. Né d’altra parte il suo stato si confaceva alla condizione dei servi, poiché a piú alto livello lo innalzavano la cultura e l’innata cortesia ed eleganza della persona. In breve tempo pervenne a tal grado di confidenza con i suoi signori che osò dire, mentre a tavola tutti ancora indugiavano in conversazione, qualcuno dei suoi versi, che forse non erano gran cosa né nuova, ma perfetti nella forma e melodiosi, tanto che fu pregato di prendere la sua viola e recitarli con suono e canto. E avendo il giovane bella voce e intonata, divenne usanza che alla fine del pranzo egli cantasse qualche sua strofetta sempre accompagnandosi al suono dello strumento, le cui corde magistralmente sapeva toccare.

2. Pranzo di Natale

Il giorno di Natale fu ammessa alla tavola dei signori, avendo compiuto sedici anni, l’età ritenuta giusta per sedere a pranzo con gli adulti, la loro figliuola minore, fanciulla graziosa e timida tanto che appena ardiva muovere gli occhi all’intorno nonché fissarli in viso altrui. La sua voce fu udita soltanto quando rispose al solenne invito del padre, che aveva detto:
– D’ora in poi siederete anche voi alla tavola degli adulti, Lisbeth, perché ne avete ormai l’età e il portamento. Prego, accomodatevi nel posto che è stato lasciato libero per voi.
– Grazie, padre, ne sono molto felice. Ringrazio anche la madre e i fratelli e tutti gli ospiti che siedono a questa tavola –. E con grande compostezza obbedí all’invito.
Accadde che la fanciulla venisse a trovarsi vicino al giovane scrivano, essendole stato assegnato l’ultimo posto tra quelli della famiglia, dove cominciava la schiera degli estranei e degli invitati, che quel giorno di Natale erano piú numerosi del solito. V’era infatti il parroco della vicina chiesa frequentata dalla famiglia, il notaio che serviva il padrone di casa nelle faccende giuridiche e alcuni signori del vicinato.
Hadlaub solo dopo qualche tempo osò sbirciare la sua vicina di tavola, curiosamente, perché l’aveva vista qualche volta di lontano mentre passeggiava nel giardino, d’estate e anche d’autunno, finché il freddo e la neve avevano fatto sparire la figuretta sottile, della quale il giovane non aveva mai veduto il volto. Ora lo guardò, e accadde che in quel momento anche la fanciulla levò gli occhi e incontrò quelli di lui.
Mentre la conversazione tra i commensali ferveva lieta e rumorosa, come avviene nei giorni di festa, i due si guardarono in silenzio e forse, ma la cosa non è sicura, si scambiarono un fuggevole sorriso. Anche lei aveva scorto di lontano il giovane passeggiare nel parco, sempre pensieroso, spesso mormorando versi che lei non poteva udire. Ma non ne aveva mai veduto il viso.
– Vi chiamate Lisbeth? – sussurrò lui dopo aver distolto gli occhi da quelli di lei abbassandoli sul piatto che aveva davanti.
– In casa mi chiamano Lisi, – rispose la fanciulla con lo stesso tono di voce. – E voi?
– Hadlaub –. E qui terminò la loro conversazione.
Ma alla fine del pranzo la padrona di casa, madonna Lenore, pregò il giovane scrivano di cantare sulla sua viola qualche strofa per gli ospiti, cosí come era solito fare per la famiglia. Ed egli di buon grado si alzò e, postosi a capo della tavola, accordato lo strumento, tanto soavemente cantò con quello accompagnandosi, che superò in armonia ogni sua precedente esibizione. Tutti lodarono il canto e il suono attribuendo quella eccezionale dolcezza melodica all’aura natalizia che riempiva i cuori dei presenti. Nessuno si accorse che il cantore non aveva neppure per un istante distolto gli occhi dalla Lisi, né lei da lui. Il crepuscolo precoce dell’inverno impedí ai banchettanti di cogliere quel muto colloquio d’amore.

3. Breve incontro

Il freddo, la neve e il gelo, avvolgendo il lago e le sue rive di nuvole e nebbia, rendevano impossibili le passeggiate in giardino, e i due giovani non avevano altro modo di vedersi che a tavola, in mezzo a tutti i familiari che mangiavano in silenzio quasi a far penitenza della festa di Natale e dell’allegria che l’aveva accompagnata. Non c’erano ospiti, e nell’austerità diffusa intorno alla tavola essi non osavano, nonché rivolgersi la parola, neppure guardarsi. Si sedevano ai loro posti con tante speranze e desideri, si alzavano e si allontanavano, finito il pasto, con il cuore pieno di cose non dette e muta tristezza. E la primavera era ancora lontana.
Solo quando la famiglia, tutta riunita, andava alla messa, la domenica e le altre festività canoniche, capitava che Hadlaub sfiorasse camminando il mantello di Lisi, passandole accanto nel folto gruppo dei parenti, e talvolta la toccasse, anche perché lui, chiuso nella sua giubba pesante, sporgeva un gomito o una mano, quasi ad accarezzare lievemente il mantello di lei. Ma se ne accorgeva la fanciulla?
Fu cosí che nacque nel giovane l’idea che gli avrebbe consentito di comunicare con lei, di vederla, di goderne la compagnia, raggiungendo il colmo della felicità, ma che alla fine lo avrebbe perduto causando in entrambi amaro rimorso e acerba disperazione. L’idea di appuntare al mantello di lei un bigliettino, un minuscolo ritaglio di pergamena, con un piccolo gancio che si nascondeva nelle pieghe del mantello e nessuno poteva scorgere tranne la persona che sapeva, desiderava e aspettava.
In quel bigliettino Hadlaub formulava le sue domande, le risposte di lei, che altro modo non aveva per partecipare al colloquio, le proposte e i progetti per vedersi in segreto quando fosse possibile, cioè quando il ghiaccio fondesse e il sole tornasse a riscaldare la terra, il prato e le foreste. Cosí, con le sole parole di lui comunicarono i reciproci sentimenti, i segni dell’amore ai quali lei, come muta, rispondeva con qualche rapido sguardo e furtivo sorriso.
Ma la forza dell’amore non consentí ai due innamorati di attendere che il sole riscaldasse il mondo e concedesse loro un luogo riparato e tiepido in cui celarsi nel parco. Hadlaub propose una torricella che serviva da specola di avvistamento e d’inverno non veniva usata perché le rive del lago erano ghiacciate e da quella parte non arrivava nessuno. La fanciulla accettò, e finalmente da muti divennero loquaci, e da statue si trasformarono in giovani vivi e ardenti d’amore.
Però una volta troppo a lungo dimorarono nella loro intimità, e Lisi a un tratto si accorse che dalle finestre della torricella non entrava piú la luce del giorno bensí la pallida bruma del crepuscolo. Spaventata, si rassettò e fuggí via. L’amante, rimasto solo, s’arrovellava che non avessero fissato un successivo incontro, ma tosto si consolò pensando che sarebbe ricorso all’usato sistema del bigliettino appuntato al mantello di lei.
Scese nella sua stanzetta dove conservava i ritagli di pergamena, sottili strisce ricavate dai bordi dei libri di conti che compilava per il suo signore, ne scelse il piú bello, bianco e liscio e, con la penna piú appuntita che aveva, scrisse un verso d’amore e il tempo dell’incontro nel luogo che entrambi già conoscevano. E attese la domenica per andare alla messa. E senza che nessuno se n’avvedesse appuntò sul bruno mantello della fanciulla la sottile striscia lucente.
Proprio quella lucente bianchezza, che lui aveva cercata perché esprimeva la gioia del loro amore, li tradí entrambi. La cameriera di lei vide il bigliettino e, senza che la padrona se ne accorgesse, lo tolse e lo consegnò alla madre. Invano Lisi lo cercò tra le pieghe del mantello, angosciata dal dubbio, ché non sapeva se lui le avesse rinnovato l’invito all’incontro, né se ancora l’amava e la desiderava. In ansia e terrore trascorse la domenica e il giorno seguente, non trovando modo di comunicare al giovane innamorato il suo terribile dubbio. Era ancora per lui il suo «giovane bocciolo gentile» come usava chiamarla nell’intimità? E allora perché non aveva trovato un bigliettino nel mantello come le altre volte?
A tavola non erano piú vicini: lui sedeva tra i fratelli di lei, e lei tra la mamma e la nutrice. E non poterono scambiarsi che timidi sguardi dubbiosi. Poi un giorno il signore chiamò il suo scrivano e, senza a null’altro accennare, gli comunicò solennemente che doveva partire per un lungo viaggio che lo avrebbe tenuto lontano da quella casa per molte stagioni.
– Voi sapete – gli disse – che da tempo ho in animo l’impresa di raccogliere in un grande codice miniato le poesie delle «corti d’amore» della Germania meridionale, dalla Alemagna alla Svevia, alla Baviera e all’Austria, ogni poesia che si possa ancora trovare, dai piú antichi cantori d’amore ai nostri contemporanei. È un compito difficile che non posso affidare che a voi, poiché ne avete la competenza e il coraggio. Dovrete viaggiare, percorrere le terre verso oriente, raccogliendo notizie e fermandovi in monasteri e castelli, dove tali scritti si raccolgono e si conservano. Voi già conoscete per fama i poeti piú antichi, i piú moderni vi sono familiari, e forse avrete la fortuna di trovarne ancora qualcuno vivo. Tutti i manoscritti che riuscirete a scoprire li copierete, i componimenti che vi saranno recitati li trascriverete. Nessuno può rendermi questo servigio meglio di voi.
Il giovane lo ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il Codice d'Amore
  3. Premessa di Laura Mancinelli
  4. Il Codice d’Amore
  5. Biglietto d’amore
  6. I colori del cuore
  7. Il ragazzo dagli occhi neri
  8. Il libro
  9. L’autore
  10. Dello stesso autore
  11. Copyright