Il nostro comune amico
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Il nostro comune amico

  1. 1,088 pagine
  2. Italian
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Informazioni sul libro

All'imbrunire il Tamigi è livido e fangoso, e la marea si arrampica lungo i sostegni dei ponti. Nella corrente una barca rasenta chiatte, relitti e tronchi: ai remi, intabarrata in un mantello scuro, c'è una fanciulla dal volto d'angelo; a prua, un uomo con lo sguardo da avvoltoio raccoglie i cadaveri che il fiume restituisce. Cosí, con un inizio che Calvino riteneva il piú memorabile fra i già memorabili incipit dickensiani, comincia Il nostro comune amico, un romanzo che è un disperato caleidoscopio di persone e classi sociali e che, secondo molti, rivendica a Dickens il pieno diritto di stare accanto a Shakespeare al vertice della letteratura inglese. Completano il volume l'introduzione e le note al testo a cura di Carlo Pagetti.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2014
ISBN
9788858413357

Libro terzo

Un lungo cammino

Capitolo primo

Gente nei guai

A Londra era una giornata nebbiosa, di una nebbia scura e pesante. La parte animata della città, con gli occhi arrossati e i polmoni irritati, sbatteva le palpebre, ansimava, respirava a fatica; la parte inanimata pareva un fantasma fuligginoso, combattuto fra il desiderio di essere visibile o invisibile, e non era né l’uno né l’altro. I lumi a gas nei negozi tremolavano con un aspetto sparuto e triste, come se fossero consci di essere creature della notte che non avevano nulla da fare sotto i raggi del sole; mentre il sole stesso, quando compariva per qualche momento in mezzo a mulinelli di nebbia, sembrava spento e sul punto di accasciarsi, freddo e appiattito. Anche nella campagna circostante era una giornata nebbiosa; ma qui la nebbia era grigia; mentre a Londra era d’un giallo intenso alla periferia, marrone un po’ piú all’interno, poi sempre piú scura, finché nel cuore della City – che chiamano Saint Mary Axe – era di un nero stinto. Da qualsiasi punto della cerchia di alture a nord, si sarebbe potuto vedere che gli edifici piú alti lottavano di tanto in tanto per far uscire il capo da quel mare caliginoso; e specialmente la cupola di Saint Paul pareva dura a morire. Ma tutto questo non era visibile dalle strade ai loro piedi, dove la metropoli intera non era altro che una massa di vapori, piena del rumore attutito delle ruote e di un gigantesco catarro.
Alle nove di una simile mattina, la sede commerciale della Pubsey & Co. non era un luogo molto animato, neppure in Saint Mary Axe, zona di per sé poco animata, con un lume a gas singhiozzante alla finestra dell’ufficio cassa, e un furtivo fiume di nebbia che si insinuava attraverso la serratura del portone principale, per venirlo a strangolare. Ma la luce si spense, il portone si aprí e Riah uscí con una borsa sotto il braccio.
La nebbia lo inghiottí appena uscito ed egli scomparve agli occhi degli abitanti di Saint Mary Axe; gli occhi della storia invece lo seguirono nel suo viaggio verso ovest, passando per Cornhill, Cheapside, Fleet Street, e lo Strand fino a Piccadilly e ad Albany. Compí quel tragitto con passo grave e misurato, con il bastone in mano e la palandrana che gli arrivava fino ai tacchi; piú di una testa si voltò a guardare quella figura venerabile, già sparita nella caligine, e pensò che si trattava di una figura appena intravista, che la fantasia e il nebbione avevano trasformato in un’apparizione fugace.
Giunto alla casa, dove il suo padrone abitava al secondo piano, Riah salí le scale e si fermò davanti alla porta dell’Affascinante Fledgeby. Senza servirsi né del batacchio né del campanello, bussò con l’estremità del bastone, ascoltò, poi sedette sulla soglia. Era una caratteristica della sua solita rassegnazione sedersi sul pianerottolo freddo e buio, come molti suoi antenati dovevano essersi seduti in un nudo carcere, prendendo quel che la sorte mandava.
Dopo un poco, intirizzito al punto di doversi soffiare sulle dita, si alzò, di nuovo bussò con il bastone, di nuovo ascoltò, e di nuovo sedette ad aspettare. Tre volte ripeté questi gesti, prima che le sue orecchie fossero gratificate dalla voce di Fledgeby che, dal letto, urlava: – Smettetela con quel baccano! Vengo subito ad aprire la porta! – Ma invece di venire subito, ancora cadde in un dolce sonnellino per circa un quarto d’ora, durante il quale Riah aspettò con pazienza seduto sulle scale.
Alla fine la porta si spalancò, e i drappeggi fuggenti del signor Fledgeby tornarono a tuffarsi nel letto. Seguendoli a rispettosa distanza, Riah penetrò nella camera da letto, dove un fuoco acceso da tempo scoppiettava allegramente.
– Be’, che ora della notte credete che sia? – domandò Fledgeby, voltandosi sotto le coltri e presentando le spalle come un comodo bastione, al vecchio infreddolito.
– Ma, signore, sono le dieci e mezzo del mattino!
– Maledizione! Allora dov’esserci una bella nebbia!
– C’è molta nebbia, signore.
– E deve far freddo anche?
– Freddo pungente, – rispose Riah, tirando fuori un fazzoletto e asciugandosi la barba e i lunghi capelli grigi, mentre stava in piedi vicino allo stuoino con gli occhi volti al bel fuocherello.
Con un tuffo di contentezza, Fledgeby si sistemò meglio. – E c’è neve, nevischio, fango o qualcosa del genere? – domandò.
– No, no, signore. Non siamo a quel punto. Le strade sono abbastanza pulite.
– Non c’è di che vantarsene, – ribatté Fledgeby, deluso nel suo desiderio di aumentare il contrasto fra il suo letto e le strade. – Ma già, voi dovete sempre vantarvi di qualche cosa. Avete qui i registri?
– Sí, signore.
– Benissimo. Voglio riflettere ancora per qualche minuto su tutta la questione, e intanto voi potete vuotare la borsa e tenervi pronto.
Con un altro piacevole tuffo, il signor Fledgeby si riaddormentò. Il vecchio obbedí, poi sedette sull’orlo di una sedia incrociò le mani sul grembo, e cedendo a poco a poco all’influenza del tepore, si appisolò. Venne destato dall’apparizione di Fledgeby, ai piedi del letto, con babbucce turche, pantaloni rosa anch’essi turchi (avuti a poco prezzo da un tale, che a sua volta li aveva avuti truffando qualcun altro) veste da camera e berretto intonati. In quell’abbigliamento non avrebbe lasciato nulla da desiderare se fosse stato munito di una seggiola sfondata, una lanterna e una scatola di fiammiferi.
– Orsú, vecchio! – gridò l’Affascinante con fine ironia. – Quale furfanteria state meditando lí con gli occhi chiusi. Perché voi non dormite. Gli spioni e gli ebrei non dormono mai!
– In verità, signore, temo di aver sonnecchiato un poco – disse il vecchio.
– Proprio voi! – rispose Fledgeby con uno sguardo furbo. – Una manovra astuta con molta gente, ma a me non me la fate. La mossa, però, non è male se si vuol sembrare indifferenti nel trattare un affare. Che furbacchione siete!
Il vecchio scosse il capo, respingendo, mite, l’accusa, represse un sospiro e si avvicinò al tavolino, presso il quale ora il signor Fledgeby si stava versando una tazza di caffè fumante e profumato da una caffettiera pronta sul focolare. Era uno spettacolo edificante: il giovane che sorbiva il caffè comodamente seduto sulla sua poltrona, e il vecchio, con la grigia testa china, ad aspettare in piedi i suoi ordini.
– E ora, – disse Fledgeby, – tirate fuori i vostri conti e spiegate, cifre alla mano, come mai non avete ricevuto di piú. Prima di tutto accendete quella candela.
Riah obbedí, tolse dal petto un borsellino e, riferendosi alla somma segnata sul conto, per la quale era lui responsabile, contò i denari sul tavolino. Il giovane li ricontò con gran cura, esaminando moneta per moneta.
– Suppongo, – disse, avvicinandone una all’occhio per guardarla da vicino, – che non avrete raschiato nessuna di queste per alleggerirla. È una specialità di voialtri ebrei, è noto. Sapete cosa vuol dire «far sudare una sterlina»1, non è vero?
– Press’a poco come voi, signore, – rispose il vecchio, con le mani nascoste nei polsini delle sue ampie maniche, osservando con rispetto il volto del padrone. – Posso prendermi la libertà di dirvi una cosa?
– Fate pure, – consentí benevolo Fledgeby.
– Non credete, signore, che, senza volerlo... di certo senza volerlo, talvolta confondete la posizione che occupo onestamente al vostro servizio, con la parte che voi per tattica mi fate sostenere?
– Non vale la pena addentrarsi in simili sottigliezze al punto da avviare l’indagine, – rispose con freddezza l’Affascinante.
– Non per amore della giustizia?
– Al diavolo la giustizia! – disse Fledgeby.
– Né della generosità?
– La generosità e gli ebrei! Che strano accostamento! Tirate fuori le fatture, invece di parlare a vanvera di Gerusalemme!
Le fatture vennero tirate fuori e per una mezz’ora il signor Fledgeby concentrò su di esse la sua sublime attenzione. Fatture e conti furono trovati esatti, pertanto libri e carte ripresero il loro posto nella borsa.
– E ora, – disse Fledgeby, – parliamo un poco del ramo delle cambiali, il lato dell’affare che mi sta piú a cuore. Quali cambiali sospette è possibile comperare e a quale prezzo? Avete la lista di ciò che si trova sul mercato?
– Una lunga lista, signore, – rispose Riah tirando fuori un portafoglio, e scegliendo tra il suo contenuto un foglio di carta piegato, il quale, una volta aperto, divenne una pagina protocollo coperta di una scrittura fitta.
– Perbacco! – esclamò Fledgeby mentre gliela prendeva di mano. – Di gente nei guai ce n’è tanta in questo momento. Di queste se ne disfanno all’ingrosso?
– All’ingrosso, come stabilito. Oppure in blocco, – rispose il vecchio guardando al di sopra della spalla del suo superiore.
– Metà del blocco sarà carta straccia, lo si sa in anticipo, – disse Fledgeby. – Credete di poterle prendere al prezzo della carta straccia? Questo è il problema.
Riah scosse il capo, mentre Fledgeby fissava i suoi occhietti sulla lista; occhietti che ben presto cominciarono a scintillare; ma appena se ne rese conto, guardò il volto grave oltre la sua spalla e andò vicino al camino. Vi si appoggiò come a uno scrittoio e stette lí in piedi con la schiena rivolta al vecchio; mentre si scaldava le ginocchia, prese a esaminare con calma la lista, ritornando spesso su alcune righe come se avessero un interesse particolare. Allora dava un’occhiata nello specchio, per vedere se l’altro lo stava osservando. Non in modo visibile: Riah, conscio dei sospetti del padrone, teneva gli occhi al pavimento. Fledgeby era immerso in quella piacevole occupazione, quando si udí un passo, e la porta venne aperta in tutta fretta. – Ecco che cosa sai fare, Gloria d’Israele! – disse. – Certo ti sei dimenticato di chiuderla –. Poi i passi si sentirono nell’interno e la voce di Alfred Lammle chiamò forte: – Ci siete, Fledgeby? – Al che l’interpellato, dopo avere avvertito a bassa voce Riah di prendere l’imbeccata come lui gliela dava, rispose. – Sono qui! – e aprí la porta della stanza da letto.
– Entrate, – disse Fledgeby, – questo signore è solamente il titolare della ditta Pubsey & Co. di Saint Mary Axe, con la quale cerco di trattare per un disgraziato amico mio un affare di certe cambiali protestate. Ma Pubsey & Co. sono talmente rigorosi con i loro debitori, ed è cosí difficile commuoverli, che mi pare di perdere il mio tempo. Allora, signor Riah, rifiutate proprio di venire a patti con me per conto del mio amico?
– Signore, io non sono che un rappresentante, – rispose l’ebreo con voce grave. – Faccio quello che mi ordina il mio principale. Il capitale investito nell’affare non mi appartiene, non ci guadagno nulla in tutto questo.
– Ah, ah! – rise Fledgeby. – Lammle?
– Ah, ah! – rise Lammle, – sí, naturale. Lo sappiamo.
– Perfetto, non vi pare Lammle? – domandò il giovane, che si divertiva straordinariamente al suo scherzo nascosto.
– Sempre, sempre la stessa cosa, signor... – disse Lammle. – Riah, Pubsey & Go., Saint Mary Axe, – intervenne Fledgeby, asciugandosi le lacrime che gli scendevano dagli occhi, tanto se la godeva per quello scherzo.
– Il signor Riah è tenuto a osservare le formalità, a ripetere delle formule previste e stabilite per casi come questo, – disse Lammle.
– Egli non è altro che il rappresentante di un altro! – esclamò Fledgeby. – Fa quello che gli ordina il suo capo, non il suo capitale investito nell’impresa. Oh, questa è buona! Ah, ah, ah, ah! – Lammle si uní nella risata con aria furba, e piú rideva, piú rendeva lo scherzo piacevole per il signor Fledgeby.
– Però, – disse l’Affascinante, asciugandosi di nuovo le lacrime, – se continuiamo a questo modo, sembrerà quasi che ci burliamo del signor Riah, oppure della ditta Pubsey & Co., Saint Mary Axe, o di qualcun altro, il che è ben lungi dalle nostre intenzioni. Signor Riah, volete avere la bontà di passare un momento nell’altra stanza, mentre io qui parlo con il signor Lammle? Prima che ve ne andiate, vorrei tentare ancora una volta di mettermi d’accordo con voi.
Il vecchio, che per tutta la durata dello scherzo di Fledgeby non aveva mai alzato gli occhi, si inchinò in silenzio e uscí dalla porta che Fledgeby gli aveva aperto. Questi, dopo averla richiusa, tornò da Lammle, che se ne stava in piedi, voltando la schiena al fuoco della stanza da letto, con una mano sotto le falde della giacca, e stringendo con l’altra i peli delle basette.
– Allora! – disse l’Affascinante. – C’è qualche cosa che non va!
– Come lo indovinate? – chiese Lammle.
– Dalla faccia che fate, – rispose Fledgeby, componendo una rima senza volerlo.
– Ebbene, sí. C’è qualcosa che non va; tutto quanto non va.
– Davvero! – disse Fledgeby, lentamente, con tono di rimprovero. Poi sedette con le mani sulle ginocchia, fissando l’amico minaccioso, che voltava sempre la schiena al fuoco.
– Ve lo dico io, Fledgeby, – quest’ultimo ripeté con un gesto del braccio destro, – tutto non va. La partita è perduta.
– Quale partita è perduta? – domandò il giovane, adagio come prima e piú duramente.
– La partita. La nostra. Leggete questo.
Fledgeby prese un biglietto che l’amico gli tendeva e lo lesse forte: «Al cavalier Alfred Lammle. Signore, permettete alla signora Podsnap e a me di esprimer unitamente la nostra riconoscenza per le gentilezze usate dalla Vostra Signora e da Voi stesso a nostra figlia Georgiana. Permetteteci pure di rifiutarle assolutamente in avvenire e di comunicarVi il nostro desiderio ben fermo che le nostre due famiglie diventino del tutto estranee. Ho l’onore di essere, signore, il Vostro umilissimo e obbedientissimo servitore. John Podsnap». Fledgeby esaminò le tre pagine bianche di questo biglietto tanto a lungo e seriamente quanto ave...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il nostro comune amico
  3. Vivere e morire a Londra di Carlo Pagetti
  4. Cronologia della vita e delle opere
  5. Bibliografia
  6. Il nostro comune amico
  7. Libro primo - La coppa e il labbro
  8. Libro secondo - Gente dello stesso stampo
  9. Libro terzo - Un lungo cammino
  10. Libro quarto - Una svolta
  11. Poscritto
  12. In luogo della prefazione
  13. Il libro
  14. L’autore
  15. Dello stesso autore
  16. Copyright