La pazienza del giardiniere
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La pazienza del giardiniere

Storie di ordinari disordini e variopinte strategie

  1. 232 pagine
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La pazienza del giardiniere

Storie di ordinari disordini e variopinte strategie

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La nostra epoca frenetica ha bisogno di pazienza e tolleranza. Il lavoro del giardiniere, ci rammenta Paolo Pejrone, richiede un senso diverso del vivere perché «in giardino non c'è fretta». Il coltivare con delicatezza piante, alberi e fiori, si rivela, nella sua necessaria lentezza, un modo per cambiare il nostro rapporto con il tempo. La pazienza del giardiniere esprime cosí l'idea di un giardino fondato sulla semplicità, sul rispetto delle piante, sulla spontaneità attraverso cui devono crescere, contro ogni sofisticazione. Pazienza e attenzione vanno riservate anche agli orti, perché, ci ricorda ancora Pejrone, «un orto va seguito con affetto». E ciò nel momento in cui esso incarna lo spirito del tempo e rappresenta un'utile strategia anticonsumistica, una terapia benvenuta per la guerra contro gli sprechi, la battaglia contro i veleni, la lotta contro tutto ciò che danneggia la salute.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
ISBN
9788858411957
Categoria
Gartenbau

La pazienza del giardiniere

Capitolo primo

Dove i silenzi sussurrano...

I giardini piú vuoti sono spesso i piú belli.
I bei giardini, e i bravi giardinieri non mancano mai di ricordarcelo, son fatti di spazi vuoti e pieni, ben controllati. Per esperienza (e per sentito, dal profondo del cuore piú che dalla testa), i giardini piú “vuoti” spesso possono esser piú belli di quelli piú “pieni”. Gli appassionati di giardinaggio, presi d’amore per le piante (tante, troppe e spesso troppo belle), hanno voglia d’averle, tante, tutte e… di piantarle: al vero giardiniere manca sempre, fisiologicamente, dello spazio… E i giardini si riempiono proprio come certe amate case, dove di anno in anno si accumulano e si stratificano i libri, gli oggetti e i mobili.
La natura, saggia propositrice di equilibri, con laboriosa solerzia spesso elimina le piante piú vecchie o le piú deboli. Tutto questo a gran vantaggio del giardino stesso che, fitto e pieno, gode dei vuoti molto di piú di quanto si possa credere.
Nei giardini, infatti, le pause sono importanti e fruttuose: li rendono un po’ piú leggeri (e spesso di piú facile manutenzione…) I giardini-minestrone hanno le loro sacrosante e intrinseche difficoltà: spesso l’horror vacui, nel suo entusiasmante rigoglio e nel suo frenetico e assordante crescendo, divora energie, crea intoppi e provoca crisi.
Ogni volta subentra un interrogativo ahimè ripetuto: le piante che tolgo dove diavolo le… vado a mettere? Dove poter piantare l’oggetto del mio interesse e del mio affetto, il frutto di tanto lavoro e di tante attenzioni? Quanto sarebbe bello avere come amici dei bravi e coscienziosi vivaisti che, come banchieri di una banca delle piante, prendessero e facessero credito o cambio! Tolgo sei piante di ortensie “Annabelle”, potrò avere in cambio uno o due bossi per coprire un angolo scuro?
La nota e grande mostra mercato di Courson nacque proprio cosí, con queste intenzioni, come punto di scambio tra proprietari di grandi e piccoli giardini, che arrivavano due volte all’anno a una data precisa con le loro brave cassette di… esuberi e avanzi. L’idea nel tempo cambiò, perché nella pratica diventò molto meno facile e conveniente che nella teoria… I giardini degli appassionati, anche loro, erano ormai troppo pieni, ingolfati di piante e, come accade spesso, tutte delle stesse e precise varietà… Le mode non saranno forse figlie di strani, mutevoli e ciclici capricci?
Il trasloco degli ulivi.
Approfittando di questi giorni nebbiosi e di giornate piú miti molti ulivi stanno, qui in campagna, cambiando di posto: da troppo stretti, e quasi affastellati, vengono ripiantati e, quelli rimasti, con maggior spazio, allargati in modo piú logico (e salubre). Tanto maggior spazio, tanta maggior salute.
Non c’è niente da fare: se per tutte le piante aria e sole sono la base per un facile benessere, ancora di piú per l’ulivo è di vitale e primaria necessità. È praticamente impossibile riuscire ad avere piante sane e fruttifere in un fitto, denso e folto impianto.
Per fortuna gli ulivi sono facili al trasloco: se in buono stato e sani sopportano le piú sadiche pratiche di espianto e le piú dure situazioni di trasporto, tanto da esser qualche volta vittime del loro stesso successo trasformandosi in zimbelli generosi e maltrattati da un vivaismo cinico e predatorio.
L’effetto, dopo il diradamento, è gradevole: come al solito i vuoti sono cosí importanti! Piacevoli alla vista, e non solo essenziali alla salute dell’oliveto! Il futuro benessere diventa talmente tangibile da trasmettere piacere.
I vuoti in agricoltura, come in giardino, sono, oltre che vitali, essenziali. Le pause nell’architettura, nella musica, nella conversazione, in cucina, tanto per citarne alcune, sono rilevanti come i crescendo, i volumi, le costruzioni, i piatti forti…
I silenzi, in un luogo di suoni, sono importantissimi…
Ora la luce passa tra pianta e pianta, il sole accarezza i lati degli alberi, illumina i vuoti fino a terra: e con la luce c’è vita e allegria. E soprattutto c’è un vicino futuro di salute e di felicità.
La fumaggine, vittima e conseguenza delle cocciniglie, che si è moltiplicata velocemente a seguito dell’aria stagnante, può finalmente esser combattuta e soprattutto fatta scomparire, quasi fosse lavata in un fantastico rito pasquale. Gli ulivi, dall’aspetto malato, scuro e tristo, riprenderanno un volto setoso e argenteo a vantaggio di tutti… E l’olio che ne verrà sarà sicuramente migliore.
Com’è meraviglioso l’orto biodinamico.
Come cambia il gusto, come cambiano le idee…
Ricordo il mio ammirato stupore e la mia curiosa attenzione alla vista dei primi giardini eclettici ed elaborati: scintillanti e curati fatti di pallette, pallettoni e alberelli e divisi in stanze, stanzine e vialetti. Sono passati tanti anni: ora mi viene la pelle d’oca al solo sentirli nominare. Erano la gloria di un certo falpalà.
Tra la lenta e antica vita di un giardino (o di un orto) biologico e il complicato sopravvivere di un sofisticato equilibrio “all’amuchina” ci passa una valle erta e profonda…
Quando, nel corso degli anni, mi veniva raccontato, spesso con troppa insistenza e quasi sempre con troppo dogmatismo, dell’orto “biodinamico” mi assaliva un certo disagio. Disagio, forse, dovuto soltanto all’esagerato ed entusiasta integralismo dei neofiti… Perché usare parole difficili per indicare concetti semplici?
Biodinamica è una parola difficile, e a me quasi ostica, che serve invece a indicare un mare di bellissime e intelligenti cose nate dalla teoria e dalle esperienze della scuola di Rudolf Steiner. Come mantenere e crescere un orto biodinamico non è complicato. Quello che è meno semplice (anche se non difficile) è capirne la filosofia: immersi come siamo in un mondo che sta andando velocissimo verso il lato opposto. Non è meraviglioso forse sperare di gettare (in una discarica appropriata) tutti i veleni dei nostri armadietti, tutti i diserbanti, tutte le armi offensive, che danneggiano l’atmosfera, la nostra terra (e quella dei vicini!) e soprattutto la nostra salute? Quella della biodinamica è una battaglia che può essere ancora vinta con un impegno che di giorno in giorno porta, tranquillamente e piacevolmente, a nuove forme (generose e intelligenti) di approccio alla natura e al suo equilibrio e al suo ragionevole sfruttamento. E al suo salvataggio.
Il segreto dei cortili sta nei forti contrasti.
È sufficiente una notte di pioggia, dopo un’estate molto calda, lunga e soprattutto secca, per far cambiare l’aspetto del giardino. Diventato “fresco” e gradevole riesce a farci dimenticare le umilianti offese imposte dagli inevitabili e ottusi momenti che soltanto un fenomeno naturale, forte e ingovernabile può produrre. In certi momenti dell’estate vien voglia di lasciar tutto, scappare e abbandonare il giardino con tutte le sue piante ansimanti di secco e di fatica, per rifugiarsi in un cortile ombroso, dove poche piante e un certo numero di vasi fioriti e allegri possano dare senza stress la gioia del verde. Un verde facile, protetto da muri e con poche piante robuste e forti…
I cortili, per alcuni, possono esser sottilmente claustrofobici: tocca a noi reagire con ironia e “riempirli” bene, usando, con divertimento e attenzione, colori vivaci e contrasti forti. Non importa se con foglie o se con pochi o con tanti fiori. Nei cortili, come negli orti, essendo spazi chiusi e avulsi da contesti “verdi”, i colori forti sono auspicabili, necessari e quasi di rigore: un po’ il contrario di tutto quello che può desiderarsi in un giardino grande e “aperto”, dove, molto spesso, l’abbondanza dei verdi, la solarità dei colori e l’equilibrio delle masse danno molta piú armonia di quanto si possa immaginare. “Gusti personali” voi direte: “gusti assolutamente personali” posso certamente confermare. Gusti, però, che sono il frutto e il risultato di tante (e ormai vecchissime) meditazioni, di molte esperienze, accertamenti e soprattutto di molte verifiche sui posti, fatte anche di tante visite di studio in numerosi giardini.
I giardini “chiusi”, i cortili, i chiostri, essendo verde separato da altri verdi, sono come grandi stanze e il colore negli spazi separati, dai contesti e dall’ambiente naturale, possono essere trattati con libertà e coraggio, senza aver paura di strafare. Il colore esiste, infatti, e l’allegria che ne deriva pure. Soprattutto esiste la libertà d’espressione, che diventa affascinante quando è frutto di una cultura profonda e appassionata.
E qui mi fermerei: non sarà forse, questo, un epilogo esagerato o troppo filosofico per chi voleva soltanto scappare (in modo un po’ vigliacco!) da un giardino reso affannoso e inospitale da un’estate lunga e impietosa?
Le piante di portineria sparite come i portinai.
I vasi di aspidistra, nei vecchi giardini, sembrano dei silenziosi e simpatici amici di famiglia, sempre in ordine e sempre pronti a tener compagnia… Le loro foglie verdi e scure, anzi scurissime, provocarono negli anni passati, dove il “chiaro” era di moda, danni irreparabili d’immagine. Piante da “portineria”: cosí per mezzo secolo sono state giudicate e, come le portinerie, divennero oggetti misteriosi e in disuso. Di portinai da tempo non ce ne sono proprio piú… E con loro le piante di aspidistra si sono dileguate, scomparse nel nulla.
E dire che avere dei “bei” vasi di aspidistra non era proprio facile. Ci volevano anni e anni. Le foglie coriacee e ampie hanno bisogno di molto tempo per formarsi e riprodursi. Crescevano lentamente e, anno dopo anno, con il loro aspetto forte e nello stesso tempo rispettoso e sicuro, addolcivano e vivificavano gli angoli piú bui dei cortili: stavano là, forti del loro gentile e irrinunciabile servizio, senza far intendere nessuna fatica né sforzo. Spesso le loro grandi foglie lucide davano vita, nel contrasto e nell’eleganza, ai posti piú brutti e difficili.
Non c’è niente da fare: a me le aspidistre piacciono e piacciono anche moltissimo. Forse senza aspidistre nel mio piccolo cortile non potrei proprio vivere bene come ci vivo da tempo. Ombra, non rugiada, caldo e freddo (non troppo sotto lo zero!) secco o umido: le nostre preziosissime amiche resistono proprio a tutto.
Non sono “chiare”, quello no! L’aspidistra per gli appassionati o gli esigenti giardinieri che vogliono e pretendono i fiori a ogni costo non “va” proprio. Come non “vanno” tante altre piante, che di anno in anno apprezzo di piú, dai bambú alle erbe, dalle edere alle felci. Mondo di foglie di tutte le tessiture, di tutti i “colori” del verde. Mondo, forse, di un giardino della vecchiaia. Quel giardino, quel cortile o quello spazio all’aperto che sopravvive bene anche senza ripudiare i fiori, veri miracoli della natura, senza pensarli assenti, ma che nello stesso tempo non li rende motivo di vita o di morte.
Le foglie, se apprezzate e amate, sono bellissime, hanno bisogno di poche cure: sono le ideali abitanti di un ideale giardino senza giardiniere…
Diciamo basta ai veleni nell’orto.
Alcuni anni fa ricevetti, per posta, un piccolo catalogo: saranno state una ventina di pagine. Carta lucida, fotografie e disegni: era un vademecum preciso e dettagliato del mondo raffinato e rastremato dei veleni.
Una foglia di rosa con una macchiolina? Ecco il veleno per distruggerla. Un insettino dai piccoli cornini sui pomodori? Ecco il “trattamento” adatto. Un mostriciattolo lanoso e bianco dalle tantissime zampe sulle foglie di un limone? Ecco il suo velenosissimo antagonista…
A ogni pericolo e a ogni animale “nemico” era pronto il suo “contro”. Il giardino e l’orto sarebbero diventati dei teatri di guerra e campi di battaglia: la pace sarebbe venuta al seguito.
Con estrema naturalezza un piccolo (e grandissimo!) disastro ecologico era propagandato e messo in vendita a chiunque e in qualunque momento (e non certo a basso prezzo. Lo sappiamo tutti benissimo: le armi costano care).
La mia reazione, se non proprio immediata, fu severissima: basta, basta con questo modo di fare folle e indiscriminato. Molto meglio una pianta in meno, molto meglio poca verdura nelle ceste, che tutti quegli intrugli su di noi, sui vicini e sui nostri amatissimi cani, su tutti i piccoli animali del nostro giardino.
E dall’orrore la luminosa conversione: sulle superfici della mia piccola proprietà mai piú un grammo di veleno (eccetto il vecchio e caro verderame). E da quando è stato eliminato l’armadio dei veleni, la mia piccola valle è tornata a vivere tempi differenti e felici.
In questi giorni di tardo inverno il fermento del benessere sta facendo sbocciare nuove vite: le cinciallegre, a coppie vivaci, volano leggere ed elegantissime tra un arbusto e l’altro. I pettirossi e i reattini, tranquilli e furtivi, becchettano veloci ai piedi degli arbusti sempreverdi…
Gli equilibri di un posto si misurano dai suoi abitanti: se tanti, sani, allegri e felici ne denunciano il successo! Rane e rospi aspettano ansiosi le prime giornate tiepide per riprendersi dalle noie di un inverno lungo e i pesci nelle piccole vasche si fanno vedere, numerosissimi: le acque qui non sono né trattate né potabilizzate…
Un giardino di piante robuste e non “avvelenate” è un giardino felice ed è una vera e speciale oasi di benessere.
La biodinamica è una risposta a tutto questo: è una scienza appassionante e appassionata, è quel passo in piú verso il Meglio. Un passo molto importante da intraprendere e da seguire. Soprattutto non è mai troppo tardi. Per tutti noi, per primi.
Una festa blu e viola.
Qui in giardino, nel suo grande vaso di terracotta (sessanta centimetri di diametro), è fiorito da poche settimane il Solanum rantonetti; è gradevole e attraente: i suoi fiori di colore forte tra il blu e il viola, leggeri, spargoli e mobili al soffio di qualsiasi brezza, sono bellissimi e preziosi.
Trattato con maggiore attenzione, sotto la pressione della crisi estiva e gli effetti del caldo, il mio Solanum rantonetti è esploso, finalmente, nel suo primo e vistoso exploit: non è mai stato cosí bello…
Per “lui” a fine giugno ho ripristinato, come si dovrebbe fare in tutti i giardini (e terrazzi!), il metodo antico, efficiente ed estivo della concimazione liquida. Quando si dà l’acqua con l’innaffiatoio, perché non diluire del leggero concimante? È una specie di giardiniera ed efficacissima fleboclisi…
Per fare semplice e comodo ho scelto la via piú antica (e forse la piú odorosa!) e ho diluito in un recipiente, nel mio caso un’ampia latta da imbianchino, del letame fresco (vecchio sarebbe andato anche benissimo, purché sia…) Ogni giorno, soprattutto nei giorni bollenti che da metà giugno si accavallano fino a metà agosto, un mestolo di acqua “pesante” e “profumata” aggiunto all’eventuale innaffiata può fare dei veri e veloci miracoli.
Il metodo, ripeto, è antico come il mondo dell’agricoltura (e del giardinaggio), ma desueto. Non è piú alla moda: in un mondo dove la forma spesso è piú importante della sostanza e che sta diventando ogni giorno piú ricco di eufemismi ridicoli e di appellativi neobarocchi, non c’è piú posto per il caro vecchio letame sciolto nell’acqua!
Ma soprattutto l’orrore di trattare con elementi “ignobili” come il letame e gli avanzi di cucina provocherà non pochi pensieri agli zuccherosi “operatori” del vocabolario. Diventati dei veri cavalieri della parola, al fine di “lavare” l’onta e la mortificazione sia di nomi ordinari e semplici che di quelli di professioni comuni e abituali, trasformano tutto in eleganti eufemismi. Ma come faranno con la parola letame? Una volta era chiamato l’oro dei campi. E ora?
Sono cosí kitsch i prati che arrivano al mare.
Il kitsch, quando diventa abitudine o moda, sembra meno violento e scomodo: i prati verdi fino al mare (e piú sono verdi e grandi, piú “fanno elegant...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La pazienza del giardiniere
  3. Premessa alla nuova edizione
  4. Prefazione
  5. Ringraziamenti
  6. La pazienza del giardiniere
  7. INSERTO FOTOGRAFICO
  8. Il libro
  9. L’autore
  10. Copyright