Viaggi nel tempo che fa
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Viaggi nel tempo che fa

Piccola geografia meteorologico-letteraria

  1. 232 pagine
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Viaggi nel tempo che fa

Piccola geografia meteorologico-letteraria

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«A circa 150 milioni di chilometri da una stella chiamata Sole, orbita un pianetino della superficie di 510 milioni di chilometri quadrati, coperto per il 71 per cento di acqua blu e per il 29 per cento di terra verdeggiante o desertica o ghiacciata. Su questa superficie si stende un sottile strato di atmosfera, un miscuglio gassoso chiamato aria, contenuto in prevalenza entro una decina di chilometri di altezza dal suolo, nel quale aleggiano nubi bianche ora disposte in giganteschi vortici impetuosi, ora in ribollenti bolle temporalesche o lunghi nastri fluttuanti.
Si dice lascino cadere della pioggia, dai nostri calcoli sembra che in media se ne accumuli un metro all'anno, ma con grandi differenze tra diverse zone...» L'intento di questi Viaggi nel tempo che fa non è quello di costruire una guida pratica ai climi del mondo, bensí di aprire una finestra su questo elemento della geografia del turismo a cui va sempre tantissima attenzione di pubblico, purtuttavia non corrisposta da eguale precisione delle informazioni. Descrizioni generiche e banali del tipo «caldo tropicale per gran parte dell'anno», «stagione delle pioggie in estate», «basse temperature invernali» si ripetono all'infinito su dépliant e siti delle agenzie di viaggi, mentre mancano quasi sempre i numeri e i confronti con i dati misurati, che costituiscono la vera carta d'identità del clima di un luogo.
I numeri e i dati, la precisione e l'autorevolezza, sono l'elemento cardine che caratterizza invece questo libro, strutturato in tre grandi sezioni: Tempi del mondo, Tempi d'Europa e Tempi d'Italia. Ma a tale autorevolezza Luca Mercalli riesce ad aggiungere le atmosfere narrative, talora colte con eccezionale chiarezza dai grandi della letteratura mondiale, ottenendo cosí un quadro suggestivo, che amplia e completa la funzione rigorosa dei numeri. Il risultato è cosí una piacevole, istruttiva e ironica esperienza narrativa.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
ISBN
9788858411254

Viaggi nel tempo che fa

Il piú bel clima della galassia

A circa 150 milioni di chilometri da una stella chiamata Sole, orbita un pianetino della superficie di 510 milioni di chilometri quadrati, coperto per il 71 per cento di acqua blu e per il 29 per cento di terra verdeggiante o desertica o ghiacciata. Su questa superficie si stende un sottile strato di atmosfera, un miscuglio gassoso chiamato aria, contenuto in prevalenza entro una decina di chilometri di altezza dal suolo, nel quale aleggiano nubi bianche ora disposte in giganteschi vortici impetuosi, ora in ribollenti bolle temporalesche o lunghi nastri fluttuanti. Si dice lascino cadere della pioggia, dai nostri calcoli sembra che in media se ne accumuli un metro all’anno, ma con grandi differenze tra diverse zone: da zero su un deserto nel nord di un Paese chiamato Cile a 12-13 metri in luoghi detti Colombia, India e isole Hawaii. La temperatura media misurata dalle nostre sonde pare essere di circa 15 gradi Celsius, eppure nella vasta e glaciale zona polare sud si è visto che può arrivare a 89 gradi sottozero, mentre su un grande deserto sabbioso che compare vicino a un mare chiuso nel quale si protende una penisola a forma di stivale, può arrivare a 57 gradi. Però in molte zone è di una straordinaria dolcezza, né troppo alta, né troppo bassa, con venticelli carezzevoli e tante ore di luce solare. Questo globo è abitato da una straordinaria varietà di forme di vita, pare almeno una quindicina di milioni tra alghe, batteri, funghi, vegetali, animali, sebbene una specie bipede, con circa sette miliardi di esemplari molto attivi e voraci di risorse, sembri prevalere su tutte. Il clima di questo pianeta, dopo una glaciazione terminata circa 12 000 anni fa, è rimasto piuttosto stabile con cambiamenti di temperatura non superiori a un paio di gradi. Ora pare che quei bipedi abbiano bruciato una parte importante di antichi giacimenti di combustibili fossili che aumentano il contenuto di certi gas detti «a effetto serra» nella loro sottile pellicola d’aria. I nostri strumenti vedono – sia pure da lontano – che la temperatura si è alzata di circa un grado nell’ultimo secolo e molti ghiacciai si stanno riducendo. Certo, non sappiamo se stiano facendo un esperimento consapevole o se sia un risultato accidentale della loro attività, però è molto simile a quanto noi abbiamo già passato sul nostro povero pianeta molti milioni di anni fa e che ci ha costretti a diventare nomadi dell’Universo. Ci piacerebbe avvertirli di essere piú cauti, visto che nelle nostre lunghe peregrinazioni non abbiamo mai visto un pianeta turisticamente cosí vario ed attraente come il loro e che sarebbe un peccato per le agenzie di viaggi di questa e di altre galassie dover sospendere le prenotazioni per cattive condizioni climatiche. Nel gran caos delle loro trasmissioni radio, che riguardano argomenti per noi assolutamente futili, abbiamo però captato il riferimento www.wmo.ch, l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, che fornisce speranze e previsioni per tutti i Paesi di quel pianeta.

Tempi del Mondo

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Durban, caldo umido sull’Oceano Indiano

Trenta gradi latitudine sud: qui è posizionata Durban, se volete, speculare ad Alessandria d’Egitto, che è a trenta gradi latitudine nord: non per nulla sono città gemellate. Ma le somiglianze finiscono qui. La maggiore metropoli della provincia sudafricana del KwaZulu-Natal è nell’emisfero australe, e quindi le stagioni sono opposte alle nostre, mentre qui è autunno là sta per iniziare l’estate. Sulle coste dell’Oceano Indiano la temperatura è tuttavia molto stabile, con poche variazioni stagionali: tra il mese piú fresco, che è luglio, e quello piú caldo, febbraio, la differenza è solo di otto gradi, contro i venti di una località padana. Le temperature diurne estive sono in genere attorno ai 32 gradi, con punte di 37-40 gradi. Non è tanto il valore del termometro a preoccupare, quanto piuttosto l’umidità elevata: le giornate sono quasi sempre piuttosto afose, l’ideale per godersi le acque oceaniche scaldate dalla corrente mite del Mozambico o di Agulhas, che non scende mai sotto i 17 gradi. Tutto diverso il clima della costa atlantica sudafricana, dove fare il bagno è sconsigliabile per via della corrente fredda di Benguela, che convoglia fredde acque dall’Antartide, almeno 4 gradi in meno rispetto a Durban. Le differenze tra costa occidentale e orientale non finiscono qui, ma si riflettono anche sulla quantità di precipitazione e quindi sul paesaggio vegetale: il settore atlantico è asciutto e arido, con piogge annuali spesso inferiori ai 400 millimetri, privo di possibilità per l’agricoltura; il settore indiano è piú piovoso e verde, e proprio Durban si trova in una tra le regioni piú piovose del Paese, con circa 1000 millimetri all’anno, nulla di speciale, come Milano. La distribuzione mensile vede un massimo di piovosità in estate, con gennaio in testa tra i mesi piú bagnati a ricevere in media 130 millimetri, mentre il periodo piú asciutto è l’inverno australe, meno di 30 millimetri in giugno. La pioggia è frequente, si presenta in circa 130 giorni all’anno, ma spesso si tratta di scrosci brevi che non pregiudicano la possibilità di trascorrere la giornata all’aperto. Non mancano però le piogge violente, che possono scaricare oltre 150 millimetri in un giorno. Una tempesta con onde di marea alte fino a 7 metri ha danneggiato le infrastrutture sulla costa anche presso Durban il 19 marzo 2007. Sul sito del South African Weather Service (www.weathersa.co.za) è possibile trovare le informazioni necessarie per pianificare il viaggio in base alla meteo. Tra l’altro a Durban si è costituita una rete internazionale di rappresentanti di movimenti ambientalisti, il «Durban Group for Climate Justice», con l’intento di individuare nuove vie per la lotta al cambiamento climatico, piú efficaci rispetto ai meccanismi di commercio delle quote di carbonio previsti dal Protocollo di Kyoto. Tagliare drasticamente l’uso delle fonti energetiche fossili e le emissioni di gas serra: questo è il messaggio contenuto nella «Durban Declaration on Carbon Trading», manifesto del gruppo stilato nell’ottobre 2004. Anche qui, all’estremità del continente africano protesa sugli sconfinati oceani australi, si fa sentire l’eco del cambiamento climatico.

Il rumore del vento patagonico

È un viaggio datato 1994, ma ancora vivissimo di ricordi meteorologici. È la Patagonia in veste autunnale, ancora piuttosto remota e solitaria come nei romanzi di Chatwin: «Nessun suono tranne quello del vento, che sibilava fra i cespugli spinosi e l’erba morta...» Appena atterrato nel desertico e deserto aeroporto di Río Gallegos, vidi una stazione meteorologica e, ovviamente, la fotografai. Subito dopo, due minacciosi soggetti in divisa pretendevano spiegazioni. Spionaggio? Quell’aeroporto era stato la base militare piú importante per la guerra delle Malvinas... Salvai la pellicola grazie al biglietto da visita di un alto funzionario dell’Istituto Antartico Argentino che tenevo in tasca. I due non volevano grane con quelli della lontana Buenos Aires. Fu piú gradevole la visita della stazione meteorologica sinottica di El Calafate, a quota 220 metri, di fronte ai giganteschi e candidi ghiacciai che scendono dalla Cordillera nel Lago Argentino: il Perito Moreno, l’Upsala... In una piccola baracca di legno e lamiera presso l’aeroporto, una gentilissima signora dai tratti indios si divideva tra lettura degli strumenti, cottura del pranzo, comunicazione dei dati via radio e asciugatura dei panni. Il risultato del suo incessante lavoro è nei numeri che descrivono il clima locale. In tre parole ventoso, arido e fresco. Siamo nell’emisfero australe e il ciclo stagionale è opposto a quello dell’emisfero nord: il semestre invernale va da aprile a settembre, con temperatura minima in luglio ben sotto lo zero, mentre il semestre estivo culmina in gennaio-febbraio, con medie di circa 13 gradi e valori massimi diurni attorno ai 20, che raramente hanno sfiorato i 30. La temperatura media annua di 7,6 gradi è la metà di quella che alla stessa quota abbiamo in pianura padana. A 50 gradi di latitudine sud i «Cinquanta urlanti» (Howling Fifties), gli immancabili venti occidentali in arrivo dal Pacifico, flagellano la pampa con velocità fino a 130 km/h soprattutto da ottobre a marzo, mentre nell’inverno australe l’atmosfera è piú calma. Il vento sospende nei grandi cieli patagonici immense nubi lenticolari generate dalla deformazione delle correnti imposta dalla Cordillera, trasformandosi spesso in föhn, o meglio in «aria caliente». L’aridità è l’altro elemento di spicco: a El Calafate cadono soltanto 209 millimetri di pioggia all’anno per effetto dell’«ombra pluviometrica» esercitata proprio dalla catena andina sulle perturbazioni cariche di umidità del Pacifico. E infatti sul versante cileno e fino ai vasti campi glaciali della cresta spartiacque dello Hielo Continental, l’apporto annuo di precipitazione raggiunge gli 8000 millimetri, crollando poi repentinamente a valori desertici sul versante argentino. Proprio questo incessante flusso occidentale è ragione dell’elevata nuvolosità che cinge le vette patagoniche per 300 giorni all’anno, regalando solo brevi sprazzi di sereno. Sul modesto Cerro de Los Cóndores ho atteso per tre giorni una schiarita che mi facesse intravedere il mitico Cerro Torre: non è mai arrivata.

Australia per tutte le stagioni

Nell’edizione del 20 aprile 2007, l’«Independent» dedicava una copertina alla siccità epocale che stava attanagliando l’Australia. Proprio l’aridità e il caldo sono i tratti climatici piú caratteristici di gran parte del continente: non a caso le poche grandi città si sono affermate nelle zone costiere sud ed est, dal clima piú gradevole, oltre che facili punti di approdo. Siamo nell’emisfero australe, e le stagioni sono opposte alle nostre: l’inverno va da giugno ad agosto, l’estate da dicembre a febbraio. L’interno vede condizioni praticamente desertiche, con vaste aree che ricevono meno di 200 millimetri di pioggia all’anno. Al contrario, il monsone raggiunge la costa nord e nord-est in estate, recandovi un clima piovoso ed estremamente afoso: a Cairns, località turistica affacciata sul Mare dei Coralli, cadono 3200 millimetri di pioggia all’anno, in gran parte concentrati tra gennaio e aprile. Tra questi due estremi, si collocano città come Adelaide, Melbourne e Sydney, nel Sud-est, dove la piovosità è piú simile a quella alpina e appenninica, 1000-1200 millimetri annui. Le temperature medie annue vanno dai 16-17 gradi del Sud temperato fino ai 26-27 del Nord tropicale. Nell’estate australe, tra novembre e gennaio, i deserti della Western Australia e del Northern Territory registrano in media valori diurni di 36-39 gradi, ma con punte anche superiori a 40-42, e in questo periodo dell’anno sono spesso le temperature piú infuocate del pianeta. [Il 7 febbraio 2009 registrati 46,4 gradi a Melbourne con punte di 48,8 a Hopetoun, nello stato di Victoria, probabilmente la temperatura piú elevata raggiunta a latitudini cosí meridionali nell’emisfero sud].
Tasmania e Victoria (con la sua capitale Melbourne) sono le regioni meno soleggiate, ma godono pur sempre di circa 2000 ore di sole all’anno, poco piú che in pianura padana, mentre la zona tropicale conosce un soleggiamento davvero straordinario, oltre 3500 ore all’anno a Port Hedland. Dovunque siate, proteggetevi dal sole con cappelli e creme solari: l’Australia è il continente piú vicino al buco nell’ozono, centrato al di sopra dell’Antartide con massimo in ottobre. Ma in sostanza, qual è il momento migliore per visitare questo continente cosí variegato? Ce n’è per tutti i gusti e le stagioni. Se volete visitare la costa settentrionale, la Grande Barriera Corallina, oppure avventurarvi nell’interno desertico del continente, farete meglio a preferire l’inverno, quando le temperature sono gradevolmente elevate, ma il tempo è secco e soleggiato. La primavera è l’ideale per godere delle spettacolari fioriture selvatiche nelle praterie dell’Ovest, se è piovuto a sufficienza. Invece in estate si può apprezzare al meglio la costa meridionale e la Tasmania. Qui il tempo è piú variabile, e giorni freschi e nuvolosi si alternano facilmente ad altri soleggiati e caldi. Infine, nel dolce autunno si possono preferire Melbourne e Sydney. Previsioni del tempo e ottime informazioni sul clima australiano si trovano sul sito del Bureau of Meteorology: www.bom.gov.au.
L’Australia è relativamente poco popolata, ma i suoi 22 milioni di abitanti, in prevalenza concentrati in città assetate di energia, sono i maggiori emettitori mondiali di gas serra: circa 26 tonnellate di CO2 equivalente pro capite all’anno. Tuttavia il governo non ha ancora ratificato il Protocollo di Kyoto, sebbene – dopo le recenti gravi siccità – inizi a interrogarsi sul ruolo dell’uomo nel cambiamento climatico.

Australia, contrasti climatici

All’altro capo del mondo, almeno per noi italiani, l’Australia è una terra di sorprendenti contrasti climatici, giustificati anche dalla vastità del territorio. Oltre il 40 per cento del Paese è desertico, con precipitazioni sovente inferiori a 200 millimetri annui nelle regioni centrali. Se ne accorse bene sir Joseph Banks, naturalista a bordo della nave britannica Endeavour del capitano Cook, quando, in viaggio per i mari australi, nel 1770 approdò sulla costa del Nuovo Galles del Sud e scrisse nel suo diario di viaggio: «L’acqua è un elemento scarso qui, o quanto meno lo è stato nel periodo della nostra permanenza, che credo essere il picco della stagione arida... in alcuni luoghi non abbiamo visto una goccia...» Ma in Australia non ci sono soltanto cespugli secchi che rotolano al vento sulla sabbia infuocata, come si vede in molti film! E d’altra parte non era nemmeno quella la zona piú asciutta dello sconfinato Paese, anzi. Non a caso la maggior parte della popolazione vive proprio nelle moderne città della costa sudorientale, piú umida e temperata: a Sydney piovono circa 1200 millimetri d’acqua all’anno, distribuiti in modo piuttosto omogeneo, ma con quantità piú rilevanti tra gennaio e giugno; le temperature oscillano in media tra 8 e 16 gradi in luglio, mese piú fresco, e tra 19 e 26 gradi in gennaio e febbraio, ma – sebbene molto raramente – gli estremi termici possono toccare minimi di 2 gradi e massimi di 45. Al Nord invece il clima è tropicale, sempre caldo e con una pronunciata stagione piovosa tra novembre e marzo: la località turistica di Cairns, nel Queensland, celebre per la barriera corallina del mare che bagna la città, riceve 2000 millimetri all’anno; andateci nell’inverno australe, tra luglio e agosto, quando piove di rado e le temperature massime si aggirano sui 26 gradi. In gennaio, al contrario, trovereste acquazzoni quasi quotidiani e aria afosa. Specialmente tra dicembre e febbraio, alcune località dell’Ovest – come Newman e Port Hedland – sono spesso le piú calde del mondo, e temperature superiori a 40 gradi sono consuete in questo momento dell’anno. Complessivamente, il contributo nazionale dell’Australia al cambiamento climatico non è gran cosa per via della popolazione relativamente modesta (22 milioni di individui), ma i forti consumi energetici degli abitanti avvicinano le emissioni pro capite di gas serra a quelle degli statunitensi, con circa 25 tonnellate all’anno, piú del doppio di un italiano. La questione è stata presa sul serio dal nuovo premier Kevin Rudd che, dopo la sua elezione nel novembre 2007 ha immediatamente ratificato il Protocollo di Kyoto [inizio 2007], spinto anche dagli effetti della grave siccità che il Paese ha subito tra il 2006 e il 2007. È stato un passo importante nelle negoziazioni internazionali per la salvaguardia del clima globale.

Inverno a New York

In inverno, dal Nord-est degli Stati Uniti, ci giungono spesso notizie di neve e gelo: un’occhiata al mappamondo, e scopriamo però che New York si trova piú o meno alla stessa latitudine delle ben piú miti Madrid e Napoli. Già, qui non c’è la Corrente del Golfo a intiepidire il clima, come sull’Europa atlantica, e nemmeno montagne a proteggere dal soffio gelido dei venti settentrionali. La piú grande città degli Stati Uniti vanta dal 1876 un osservatorio meteorologico collocato in posizione invidiabile per le misure, tra il verde di Central Park. Nel complesso il clima newyorkese è temperato e umido, con inverni freddi e nevosi, estati calde e afose, stagioni intermedie assai variabili. La temperatura media annua sfiora i 13 gradi centigradi, valore che accomuna questa città con buona parte della pianura padana. Ma l’inverno è piú freddo, con medie di zero gradi in gennaio, quando di notte il termometro scende sovente sotto i -5. E la soglia degli zero gradi viene raggiunta in circa 70 giorni all’anno, tra novembre e marzo. Il record storico di freddo spetta però al mese di febbraio: nel 1934 si arrivò perfino a -26. Quando i venti artici attraversano la regione dei grandi laghi, si caricano di umidità, e cosí scaricano molta neve sullo Stato di New York. Seicento chilometri a nord-ovest della metropoli si trova Buffalo, una città nota agli appassionati di meteorologia per essere rimasta sepolta da accumuli di neve soffiata dal vento alti fino a 9 metri durante la storica bufera di fine gennaio 1977. Senza arrivare a tanto, New York City registra mediamente 57 centimetri di neve totale ogni inverno, comunque piú di quanta ne riceva una città come Bolzano. Il 12 febbraio 2006, una nevicata accompagnata da vento, tuoni e lampi ha depositato 69 centimetri di manto su Central Park, superando cosí il precedente episodio record di 65 centimetri del dicembre 1947. D’estate, invece, è usuale misurare 30 gradi nei pomeriggi di luglio, e l’umidità elevata rende l’aria piuttosto afosa. Nel luglio del 1936 si toccò un massimo di 41 gradi. Quanto alle precipitazioni, i circa 1250 millimetri che cadono nell’anno si distribuiscono piuttosto omogeneamente, dagli 80 di febbraio ai 115 di luglio. Qui è difficile incappare in lunghi periodi asciutti, e di solito ogni mese conta 8-10 giorni con caduta di pioggia o neve. I momenti migliori per apprezzare la metropoli, senza soffrire l’afa estiva né le sferzate dei venti invernali, sono la primavera e l’autunno. Ma tenete presente che il clima locale è comunque molto variabile, e può riservare sorprese in ogni momento dell’anno. A volte da queste parti giungono, sebbene con forza nettamente ridotta, i residui di uragani tropicali formatisi sul Golfo del Messico. Ma in questi casi le piogge intense e i venti a 80-90 chilometri orari sono pur sempre in grado di causare problemi non da poco a una città con oltre 8 milioni di abitanti. New York ha 22 chilometri di spiagge, ma l’acqua dell’oceano, anche in piena estate, è piuttosto fresca, attorno a 20 gradi. E se l’ottimo National Weather Service (www.nws.noaa.gov) prevede giornate con aria a 32 gradi per il periodo del vostro viaggio, non fatevi sorprendere in bermuda e maglietta... Qui si usa la scala Fahrenheit. Tradotti nella nostra scala centigrada, i gradi si riducono a zero.

Le piogge immaginarie di Macondo e quelle vere
della Colombia

«Piovve per quattro anni, undici mesi e due giorni [...] il nord mandava uragani che sguarnirono tetti e sfondarono pareti [...] L’atmosfera era cosí umida che i pesci sarebbero potuti entrare dalle porte ed uscire dalle finestre, nuotando nell’aria delle stanze [...] Fu necessario scavare canali per prosciugare la casa, e sbarazzarla dai rospi e dalle lumache, di modo che si potessero asciugare i pavimenti, e togliere i mattoni da sotto le gambe dei letti e camminare di nuovo con le scarpe». Quasi cinque anni di pioggia sulla immaginaria cittadina di Macondo sono certo esagerati, ma Gabriel García Márquez quando scrisse Cent’anni di solitudine aveva ben in mente le abbondanti piogge colombiane, che sulla costa pacifica, a ridosso della Cordillera, raggiungono il record mondiale: Lloró, nel dipartimento di Chocó, riceve infatti ben 13 000 millimetri di pioggia all’anno distribuita in oltre 300 giorni, avete letto bene, oltre 13 metri d’acqua, quanto su Milano cade in 13 anni! Anche al di là della Cordillera la Colombia resta un Paese umido, con piogge che sul bacino amazzonico sono attorno ai 3000-4000 millimetri; Bogotá ne riceve assai meno, circa 800 millimetri, mentre solo l’estremità settentrionale che si affaccia sul Mar dei Caraibi è decisamente secca, con 500 millimetri all’anno nel deserto di Guajira. Per sapere quando piove, il sito dell’Instituto de Hidrología Meteorología y Estudios Ambientales è www.ideam.gov.co. Siamo in pieno clima equatoriale e le temperature mostrano una modestissima escursione annua, un paio di gradi tra estate e inverno, tuttavia grandi differenze termiche sono generate dalle montagne. La climatologia colombiana distingue infatti varie fasce altitudinali: gran parte del Paese è a quote inferiori a 1000 metri, con temperature medie annue tra 29 e 24 gradi, la «tierra caliente». Fino a 2000 metri si ha la «tierra templada», con temperature medie che giungono a 17 gradi, regno delle piantagioni di caffè, segue poi la «tierra fría» che si spinge fino a 3600 metri: in questa fascia è situata Bogotà, che con un’altitudine di 2550 metri ha una temperatura simile a una continua primavera padana, sia pur con occasionali gelate e temporali con grandine, come quello del 3 novembre 2007 che in alcuni punti della città ha accumulato un metro di ghiaccio e sommerso decine di automobili. Prima di incontrare le nevi permanenti, in genere al di sopra dei 4500 metri («tierra helada») si ha un ecosistema di praterie tropicali umide d’alta quota, simili ai nostri pascoli alpini, chiamato «páramo». Oltre i 4500 metri sulla Sierra Nevada del Cocuy e di Santa Marta, nonché sul massiccio Ruiz-Tolima, nel Parque Nacional de los Nevados, ci sono ancora alcuni ghiacciai. Attorno al...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Viaggi nel tempo che fa
  3. Introduzione
  4. Viaggi nel tempo che fa
  5. Il libro
  6. L’autore
  7. Copyright