Una stella incoronata di buio
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Una stella incoronata di buio

Storia di una strage impunita

  1. 480 pagine
  2. Italian
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Una stella incoronata di buio

Storia di una strage impunita

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Manlio lavora in fabbrica fin da ragazzo; Livia studia per diventare insegnante. Quando si incontrano e si innamorano, decidono di condividere tutto: leggono e studiano insieme, insieme discutono di politica, viaggiano, ridono, lottano. Anche la mattina del 28 maggio 1974, in piazza della Loggia, sono insieme. Per puro caso, però, quando la bomba scoppia, Manlio sopravvive. Livia no. Livia muore con i loro migliori amici, Clem e Alberto, anche loro insegnanti, anche loro giovani impegnati in politica. Perdono la vita altre cinque persone, «non vittime, ma caduti consapevoli» che quella mattina di pioggia si ritrovano in piazza per il loro impegno antifascista. Da quel giorno, per Manlio Milani inizia una seconda vita tra aule di tribunali, aspettando una giustizia che non è mai arrivata, collezionando frammenti di una verità sempre incompleta. Benedetta Tobagi (il cui padre è stato ucciso il 28 maggio 1980, esattamente sei anni dopo la strage di Brescia) decide di sedersi accanto a Manlio, per provare, udienza dopo udienza, a raccontare la sua storia e quella di chi, come lui, ha vissuto quell'intensa stagione di lotte politiche e di risate, di discussioni estenuanti e di scioperi, di serate fra amici, di bombe e sotterranei tentativi di golpe. Di paura e speranze. E quando trentasei anni dopo ascolta con Manlio l'ennesima sentenza di assoluzione: «Tutti assolti per non aver commesso il fatto», capisce cosa vuol dire provare rabbia e impotenza verso chi ha nascosto e manipolato la verità. Con sguardo lucido e partecipe, l'autrice compie un viaggio nei misteri recenti della storia italiana, rivisitando il capitolo rimosso della violenza neofascista, pronta, ancora una volta, a cercare di capire cosa furono quegli anni e a fare in modo che una strage non si riduca semplicemente a un luogo e una cifra: il numero dei morti. Una strage è l'incontro con il male. Necessario è dunque continuare a interrogarsi su come è possibile sopravvivere alla ferita dell'ingiustizia che si somma alla violenza, e al senso di colpa che tormenta, paradossalmente, i sopravvissuti ma non i carnefici. *** «Occupiamo come abusivi uno spazio pieno di assenza. L'orologio col vetro rotto si ferma, mentre altre lancette continuano a segnare il tempo. Tu vivi ancora - lui, lei, loro no. Dopo, nel fondo piú oscuro, infiniti sensi di colpa. Colpa di esistere».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
ISBN
9788858411650

Note e fonti

I processi per la strage del 28 maggio 19741.
La vicenda giudiziaria relativa alla strage di piazza della Loggia si compone di ben cinque fasi istruttorie e dieci fasi di giudizio, concluse da altrettante sentenze: le tre sentenze (I grado, II grado e Cassazione) riguardanti le posizioni (Ermanno Buzzi e altre quindici persone) oggetto della prima istruttoria; le due sentenze (giudizio d’appello in sede di rinvio; Cassazione) relative alle posizioni (già oggetto della prima istruttoria) investite dal parziale annullamento della prima sentenza d’appello da parte della Corte di cassazione; le tre sentenze (I grado, II grado e Cassazione) riguardanti alcune delle posizioni (Cesare Ferri; Alessandro Stepanoff; Sergio Latini) oggetto della terza istruttoria; le due sentenze (I e II grado) relative alla quinta istruttoria. Tutte le sentenze, con la sola, parziale, eccezione della prima, sono state sfavorevoli all’accusa.
La prima istruttoria, formalizzata il 14 giugno 1974 (procedimento penale n. 319/74-A) giunge a conclusione il 17 maggio 1977, data dell’ordinanza-sentenza con la quale il Giudice istruttore dottor Domenico Vino, accogliendo in toto le richieste formulate dal pubblico ministero dottor Francesco Trovato, proscioglie dall’imputazione di strage Cesare Ferri per non avere commesso il fatto e dispone il rinvio a giudizio dinanzi alla Corte d’assise di Brescia di sedici persone, tra cui imputati per strage (ex art. 422 c.p.) sono Ermanno Buzzi, Angelino e Raffaele Papa, Cosimo Giordano, Fernando (detto Nando) Ferrari, Arturo Gussago, Andrea Arcai, Marco De Amici. Buzzi e Nando Ferrari sono imputati anche per l’omicidio volontario di Silvio Ferrari. Il dibattimento del c.d. «processo Buzzi» si apre il 30 marzo 1978 e si conclude in primo grado, dopo sei giorni di camera di consiglio, con la sentenza del 2 luglio 1979. L’impianto accusatorio esce fortemente ridimensionato dal vaglio dibattimentale. Gli unici condannati per strage (sulla base della confessione di Angelino Papa, della «testimonianza» Bonati e degli esiti della perizia sui messaggi del 21 e 27 maggio 1974 pervenuti ai due quotidiani locali, «Giornale di Brescia» e «Bresciaoggi»), sono Ermanno Buzzi e lo stesso Angelino Papa. Raffaele Papa viene assolto dall’accusa di strage per insufficienza di prove, tutti gli altri con formula piena. Per la morte di Silvio Ferrari viene riconosciuto colpevole – ma di omicidio colposo e non volontario – il solo Nando Ferrari. Con la sentenza, inoltre, Ugo Bonati passa dalla posizione di testimone a quella di soggetto da perseguire per concorso in strage e a tal fine viene disposta la trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica. Viene subito emesso ordine di cattura nei confronti del Bonati, che però già dal 2 luglio è sparito dalla circolazione. Da allora è svanito nel nulla.
La seconda istruttoria, detta «istruttoria Bonati» (procedimento penale n. 566/79-A) è assegnata al dottor Michele Besson, che in precedenza si era occupato della strage di piazzale Arnaldo del 16 dicembre 1976 (un morto, Bianca Gritti Daller, e dieci feriti, fra cui i carabinieri Giovanni Lai e Carmine Delli Bovi; imputati Giuseppe Piccini e Italo Dorini, noti pregiudicati bresciani legati ad ambienti dell’eversione nera) e produce il definitivo sgretolamento dell’impianto accusatorio della prima istruttoria. Si conclude con la sentenza del 17 dicembre 1980 che proscioglie Bonati per non aver commesso il fatto, ma certifica che fu un teste falso.
Il giudizio di secondo grado del «processo Buzzi» inizia nel novembre 1981 e si svolge senza il principale imputato: Ermanno Buzzi è assassinato il 13 aprile dello stesso anno nel supercarcere di Novara da Pierluigi Concutelli, comandante militare del Movimento politico Ordine nuovo, e Mario Tuti, capo del Fronte nazionale rivoluzionario. Con la sentenza della Corte d’assise d’appello di Brescia del 2 marzo 1982, dell’impianto accusatorio della prima istruttoria non resta in piedi nulla. Tutti gli imputati sono assolti per non aver commesso il fatto, Buzzi è definito «un cadavere da assolvere». La morte di Silvio Ferrari da omicidio colposo è derubricata a mero «infortunio sul lavoro», imputabile a imperizia e negligenza del defunto (nel cui sangue, del resto, era stato riscontrato un tasso alcolemico dello 0,8 g/l, piú che sufficiente a determinare uno stato di ebbrezza).
Con la sentenza n. 1607 del 30 novembre 1983, tuttavia, la Corte di cassazione, in accoglimento del ricorso del procuratore generale di Brescia, annulla la predetta sentenza, per difetto di motivazione (sotto il profilo del travisamento dei fatti e dell’intrinseca contraddittorietà), con rinvio degli atti alla Corte d’assise d’appello di Venezia, nei confronti di Nando Ferrari, Angelino e Raffaele Papa e Marco De Amici per il reato di strage. Il giudizio di appello in sede di rinvio presso la Corte d’assise d’appello di Venezia si conclude con la sentenza del 19 aprile 1985 che, pur assolvendo gli imputati (per insufficienza di prove Angelino Papa, Nando Ferrari e Marco De Amici, con formula piena Raffaele Papa), si contrappone nettamente a quella della Corte d’assise d’appello bresciana (e a quella del giudice istruttore Besson che l’aveva preceduta) e riabilita in larga misura l’originaria impostazione accusatoria. Anche contro la seconda sentenza d’appello vengono proposti ricorsi per Cassazione, ma questa volta la Suprema corte non ravvisa vizi di alcun genere nell’impugnata decisione e la stessa passa, quindi, in giudicato, con la sentenza della Corte di cassazione, prima sezione penale, del 25 settembre 1987, presieduta da Corrado Carnevale.
All’esito della vicenda, i ruoli si invertono: gli accusati diventano accusatori e viceversa. Prende avvio a Milano un procedimento per calunnia a carico del giudice istruttore, Domenico Vino, del pubblico ministero, Francesco Trovato, di Angelino Papa, Ugo Bonati e altri, ma il Tribunale di Milano, con sentenza in data 2 luglio 1990, assolve tutti gli imputati con formula piena «perché il fatto non sussiste» (riabilitando gli inquirenti e il loro operato).
Il 23 marzo 1984 l’ufficio istruzione del tribunale di Brescia apre la terza istruttoria a seguito di una serie di rivelazioni di esponenti della destra carceraria (Angelo Izzo, Sergio Calore, Sergio Latini), che avevano imboccato la strada della collaborazione con l’autorità giudiziaria (nella specie, il dottor Pierluigi Vigna della Procura della Repubblica di Firenze, da tempo impegnato in un’indagine su attentati ferroviari verificatisi lungo la linea Bologna-Firenze negli anni 1974-83), su richiesta del pubblico ministero dottor Michele Besson. Inizialmente l’incarico è affidato a un pool di tre magistrati, ma sarà poi svolto e portato a compimento dal dottor Giampaolo Zorzi. Imputati per concorso in strage (d’ora in poi ex art. 285 c.p.) sono Cesare Ferri (che, già indagato nel 1974, era stato prosciolto), il suo amico Alessandro Stepanoff, Giancarlo Rognoni (leader del gruppo ordinovista milanese La Fenice, con filiale a Brescia denominata Riscossa, facente capo a Marcello Mainardi) e Marco Ballan (leader di Avanguardia nazionale a Milano). L’apporto di nuovi collaboratori di giustizia porta sul banco degli imputati per concorso in strage anche Fabrizio Zani, Marilisa Macchi e Luciano Benardelli. Agli inizi del 1986 l’incombente scadenza del termine di custodia cautelare di Ferri (già prorogato dal Tribunale su richiesta del giudice istruttore) impone di scindere le posizioni processuali. Si giunge cosí, il 23 marzo 1986, al rinvio a giudizio di Cesare Ferri e di Alessandro Stepanoff per concorso in strage, nonché dello stesso Ferri e di Sergio Latini per concorso (morale) nell’omicidio di Ermanno Buzzi. Le altre posizioni (non ancora compiutamente istruite) vengono stralciate e confluiscono in un nuovo fascicolo processuale (n. 181/86-A).
Il dibattimento del c.d. «processo Ferri» (n. 218/84) si conclude in primo grado con la sentenza del 23 maggio 1987 che assolve Ferri e Stepanoff per insufficienza di prove. Il giudizio di secondo grado si conclude con la sentenza della Corte d’assise d’appello di Brescia del 10 marzo 1989 che assolve gli imputati con formula piena per non aver commesso il fatto. In data 13 novembre 1989 la prima sezione penale della Corte di cassazione, ancora il giudice Corrado Carnevale, liquida la strage di Brescia (esaminata insieme ad altre sei nella stessa udienza) con una pronuncia di inammissibilità del ricorso del procuratore generale di Brescia per manifesta infondatezza, formulando nei confronti dell’impugnata sentenza di assoluzione piena una valutazione di perfetta «aderenza alle risultanze processuali e a tutti gli elementi emersi» (peraltro non noti nella loro totalità al Supremo consesso, visto che ben cinquantadue faldoni di atti non si sono mossi da Brescia).
Nel frattempo, a partire dal 23 marzo 1986, le posizioni stralciate nel fascicolo n. 181/86-A sono oggetto della quarta istruttoria, condotta ancora da Giampaolo Zorzi. Si conclude con la sentenza-ordinanza del 23 maggio 1993, che proscioglie dall’accusa di strage per non aver commesso il fatto (come richiesto dallo stesso pubblico ministero dottor Francesco Piantoni, subentrato al dottor Besson) Fabrizio Zani, Giancarlo Rognoni, Marco Ballan, Marilisa Macchi e Luciano Benardelli. Il giudice istruttore dispone lo stralcio del filone d’indagine relativo alla testimonianza resa da Maurizio Tramonte, di recente identificato con la fonte Tritone del Sid, nel marzo del 1993.
Il 24 maggio dello stesso anno prende avvio la quinta istruttoria (in realtà ora, secondo il nuovo codice di procedura penale entrato in vigore nel 1989, si chiama «indagine preliminare»), affidata ai pubblici ministeri Francesco Piantoni e Roberto Di Martino. L’indagine acquisisce i rilevanti contributi probatori forniti dai «pentiti» Carlo Digilio (deceduto il 12 dicembre 2005), Martino Siciliano e Maurizio Tramonte (quest’ultimo sbloccatosi dall’iniziale reticenza) e imbocca decisamente la strada che porta a imputare per concorso in strage, insieme a Tramonte, i vertici di Ordine nuovo nel Triveneto, Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi. Per loro, il 3 aprile 2007 la Procura della Repubblica bresciana presenta richiesta di rinvio a giudizio per concorso in strage; l’imputazione colpisce anche Pino Rauti, l’investigatore della prima istruttoria Francesco Delfino e il suo infiltrato Gianni Maifredi, mentre a Gaetano Pecorella, Fausto Maniaci e Martino Siciliano è imputato il favoreggiamento di Delfo Zorzi, accusato di aver comprato, con la complicità dei due legali, il silenzio del collaboratore Martino Siciliano (il 14 febbraio 2008 gli atti sono trasferiti per incompetenza territoriale da Brescia a Milano, dove l’inchiesta è archiviata). Il 15 maggio 2008, a conclusione dell’udienza preliminare, il Gup emette decreto che dispone il giudizio di Zorzi, Maggi, Tramonte, Rauti, Delfino e Maifredi (quest’ultimo muore prima del giudizio di primo grado).
Per il dibattimento è accolta la costituzione di parte civile dei famigliari delle vittime, di alcuni feriti, del comune di Brescia, della Presidenza del consiglio dei ministri, dei sindacati confederali Cgil, Cisl, Uil. Il collegio di parte civile è composto dagli avvocati Luigi Abrandini, Alessandra Barbieri, Michele Bontempi, Fausto Cadeo, Paolo De Zan, Elena Frigo, Massimo Bonvicini, Pietro Garbarino, Silvia Guarneri, Alessandro Magoni, Francesco Menini, Renzo Nardin, Andrea Ricci, Giovanni Salvi, Andrea Vigani, Pier Giorgio Vittorini, tutti del Foro di Brescia; Valter Biscotti del Foro di Perugia; Federico Sinicato del Foro di Milano; Riccardo Montagnoli dell’avvocatura distrettuale dello Stato. Il dibattimento apertosi il 22 gennaio 2009 si conclude in primo grado con la sentenza del 16 novembre 2010, che manda assolti tutti gli imputati. Stesso esito in secondo grado, con la sentenza della Corte d’assise d’appello di Brescia del 14 aprile 2012.
Sisifo attende il giudizio – l’undicesimo – della Quinta sezione della Corte di cassazione, fissato in data 20 febbraio 2014.
Note.
Il poeta Pierluigi Cappello mi ha generosamente concesso di porre in esergo una «libera ricomposizione» di versi tratti da poesie diverse, nell’ordine in cui li ho incontrati e mi hanno parlato del viaggio che stavo compiendo. La prima strofa proviene dall’excipit di Dentro Gerico; la seconda da Interno giorno; la terza da Bambini; l’ultima da I vostri nomi.
Nella prima parte di Nero, tutte le parole pronunciate da Raho e Battiston provengono dalla trascrizione dell’intercettazione ambientale del 25 settembre 1995 curata dal perito Fabio Marangoni per la Corte d’assise bresciana, datata 1º marzo 2010 (atti proc. 91/97). La descrizione del contesto, frutto d’immaginazione, è modellata fedelmente sulla base del sonoro catturato dalla registrazione.
In realtà, le uniche due stragi completamente impunite sono quelle del 1974, piazza Loggia e l’Italicus. Come promemoria, soprattutto pensando a chi non c’era, una brevissima sintesi dell’esito processuale delle principali stragi di matrice terroristica della storia repubblicana, cui si fa riferimento nel capitolo (e in altri passaggi del libro).
12 dicembre 1969, la strage alla Banca dell’agricoltura di piazza Fontana, a Milano, uccide diciassette persone. Lo stesso pomeriggio, quasi in contemporanea, un ordigno viene trovato, inesploso, nella sede centrale della Banca commerciale in piazza Scala, a Milano, mentre a Roma scoppiano tre bombe, una nel sottopassaggio di una filiale della Banca nazionale del lavoro, le altre due sull’Altare della Patria – senza vittime, per fortuna. Il collaboratore di giustizia Carlo Digilio, l’armiere di Ordine nuovo, ha confessato il proprio ruolo nella preparazione dell’attentato milanese, ottenendo la prescrizione per il prevalere delle attenuanti riconosciutegli per il suo contributo. Il generale Gian Adelio Maletti e il capitano Antonio Labruna del Sid sono stati condannati in via definitiva per aver aiutato a fuggire all’estero (ossia «esfiltrato») alcuni neofascisti protagonisti della prima inchiesta, ostacolando cosí le indagini (mi soffermerò piú oltre sulle posizioni di Freda e Ventura).
31 maggio 1972, la strage di Peteano uccide tre carabinieri. È stato condannato come esecutore materiale l’ordinovista reo confesso Vincenzo Vinciguerra e, per aver depistato le indagini, gli ufficiali dei carabinieri Mingarelli, Chirico e Napoli e, successivamente, il perito Marco Morin e l’ex comandante del nucleo padovano dell’Arma Manlio Del Gaudio.
17 maggio 1973, la strage alla Questura di Milano uccide quattro persone. Il sedicente anarchico Gianfranco Bertoli viene colto in flagrante (ha gettato una bomba a mano). I processi degli anni Novanta fanno emergere suoi collegamenti pregressi col gruppo di Ordine nuovo.
4 agosto 1974, la strage sul treno Italicus Roma-Monaco uccide dodici persone. L’ordigno esplode di notte nei pressi della stazione di San Benedetto Val di Sambro, vicino a Bologna. Il volantino di rivendicazione di Ordine nero viene smentito. Gli imputati per strage Mario Tuti e Luciano Franci, estremisti di destra appartenenti all’ambiente toscano del Fronte nazionale rivoluzionario, sono assolti in primo grado, condannati in appello e nuovamente assolti dopo l’ultimo grado di giudizio in Cassazione. Nella relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2 (1984), però, leggiamo: «Si può affermare che gli accertamenti compiuti dai giudici bolognesi, cosí come sono stati base per una sentenza assolutoria per non sufficientemente provate responsabilità personali degli imputati, costituiscono altresí base quanto mai solida, quando vengano integrati con ulteriori elementi in possesso della Commissione, per affermare: che la strage dell’Italicus è ascrivibile ad una organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana; che la Loggia P2 svolse opera di istigazione agli attentati e di finanziamento nei confronti dei gruppi della destra extraparlamentare toscana; che la Loggia P2 è quindi gravemente coinvolta nella strage dell’Italicus e può ritenersene anzi addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale».
2 agosto 1980, la bomba che esplode nella sala d’attesa della stazione di Bologna uccide ottantacinque persone. Condannati in via definitiva Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, dei Nuclei armati rivoluzionari, organizzazione terroristica spontaneista d’estrema destra. Condannati per aver depistato le indagini Licio Gelli, il faccendiere Francesco Pazienza e due ufficiali del Sismi, il generale Pietro Musumeci e il colonnello Giuseppe Belmonte, entrambi iscritti alla P2.
Nel sito della «Rete degli archivi per non dimenticare» (http://www.memoria.san.beniculturali.it) è possibile trovare i nomi di tutte le vittime di queste stragi, insieme a molti altri documenti e informazioni.
Le straordinarie riflessioni di Arendt sul «male radicale», senza pensiero e senza radici, si trovano in Responsabilità e giudizio (Einaudi, Torino 2004), pp. 80-81.
Il capitolo Livia legge poesie è costruito a partire dalle lettere e annotazioni a margine pubblicate, a cura dell’Aied di B...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Una stella incoronata di buio
  3. Nero
  4. Livia legge poesie
  5. Maledetta primavera
  6. 28 maggio 1974
  7. Non è successo niente
  8. Marx e il Gattopardo
  9. Cantata
  10. Cos’è questo golpe?
  11. Fabbriche
  12. Fascisti
  13. Granchio d’ombra sulla terra
  14. La bomba fantasma
  15. Ragionevoli dubbi?
  16. Anatomia del depistaggio
  17. Sisifo
  18. Il peso del cuore
  19. Nell’arca
  20. Note e fonti
  21. Crediti delle illustrazioni
  22. Ringraziamentii
  23. Il libro
  24. L’autore
  25. Dello stesso autore
  26. Copyright