Fiore di poesia
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Fiore di poesia

1951-1997

  1. 272 pagine
  2. Italian
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Fiore di poesia

1951-1997

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Informazioni sul libro

«Sono affascinato dalle lucidità della Merini, spesso ironiche, dal suo vigore poetico e ritengo che Alda sia uno dei nostri poeti piú veri, una voce che si lascia parlare dall'ignoto, che procede dalle oscurità piuttosto che dalle troppe sapienze della mente, che sa trascorrere tra i dolori e i deliri senza cedere al compiacimento...». Franco Loi *** Questa antologia, che comprende anche un'ampia scelta di aforismi, raccoglie una scelta dei versi della Merini dagli esordi ai giorni nostri, dando corpo a una delle voci poetiche piú forti e personali del nostro secolo.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2014
ISBN
9788858413333
Argomento
Literature
Categoria
Poetry

Fiore di poesia

1951-1997

I.

Da Poetesse del Novecento

(1951)

Il gobbo

Dalla solita sponda del mattino
io mi guadagno palmo a palmo il giorno:
il giorno dalle acque cosí grigie,
dall’espressione assente.
Il giorno io lo guadagno con fatica
tra le due sponde che non si risolvono,
insoluta io stessa per la vita
... e nessuno m’aiuta.
Ma viene a volte un gobbo sfaccendato,
un simbolo presago d’allegrezza
che ha il dono di una strana profezia.
E perché vada incontro alla promessa
lui mi traghetta sulle proprie spalle.
22 dicembre 1948

Luce

a G. S.
Chi ti descriverà, luce divina
che procedi immutata ed immutabile
dal mio sguardo redento?
Io no: perché l’essenza del possesso
di te è «segreto» eterno e inafferrabile;
io no perché col solo nominarti
ti nego e ti smarrisco;
tu, strana verità che mi richiami
il vagheggiato tono del mio essere.
Beata somiglianza,
beatissimo insistere sul giuoco
semplice e affascinante e misterioso
d’essere in due e diverse eppure tanto
somiglianti; ma in questo
è la chiave incredibile e fatale
del nostro «poter essere» e la mente
che ti raggiunge ove si domandasse
perché non ti rapisce all’Universo
per innalzare meglio il proprio corpo,
immantinente ti dissolverebbe.
Si ripete per me l’antica fiaba
d’Amore e Psiche in questo possederci
in modo tanto tenebrosamente
luminoso, ma, Dea,
non sia mai che io levi nella notte
della mia vita la lanterna vile
per misurarti coi presentimenti
emananti dai fiori e da ogni grazia.
22 dicembre 1949

II.

Da La presenza di Orfeo

(1953)

La vergine

Non avete veduto le farfalle
con che leggera grazia
sfiorano le corolle in primavera?
Con pari leggerezza
limpido aleggia sulle cose tutte
lo sguardo della vergine sorella.
Non avete veduto quand’è notte
le vergognose stelle
avanzare la luce e ritirarla?...
Cosí, timidamente, la parola
varca la soglia
del suo labbro al silenzio costumato.
Non ha forma la veste ch’essa porta,
la luce che ne filtra
ne disperde i contorni. Il suo bel volto
non si sa ove cominci, il suo sorriso
ha la potenza di un abbraccio immenso...
15 novembre 1947

Lettere

a Silvana Rovelli
Rivedo le tue lettere d’amore
illuminata, adesso, dal distacco;
senza quasi rancore...
L’illusione era forte a sostenerci;
ci reggevamo entrambi negli abbracci
pregando che durassero gli intenti,
ci promettemmo il «sempre» degli amanti,
certi nei nostri spiriti d’Iddii...
... E hai potuto lasciarmi,
e hai potuto intuire un’altra luce
che seguitasse dopo le mie spalle!
Mi hai suscitato dalle scarse origini
con richiami di musica divina,
mi hai resa divergenza di dolore,
spazio per la tua vita di ricerca
per abitarmi il tempo di un errore...
... E mi hai lasciato solo le tue lettere
onde ne ribevessi la mia assenza!
Gennaio 1949

Colori

S’io riposo, nel lento divenire
degli occhi, mi soffermo
all’eccesso beato dei colori;
qui non temo piú fughe o fantasie
ma la «penetrazione» mi abolisce.
Amo i colori, tempi di un anelito
inquieto, irresolvibile, vitale,
spiegazione umilissima e sovrana
dei cosmici «perché» del mio respiro.
La luce mi sospinge ma il colore
m’attenua, predicando l’impotenza
del corpo, bello, ma ancor troppo terrestre.
Ed è per il colore cui mi dono
s’io mi ricordo a tratti del mio aspetto
e quindi del mio limite.
22 dicembre 1949

La presenza di Orfeo

a Giorgio Manganelli
Non ti preparerò col mio mostrarmiti
ad una confidenza limitata,
ma perché nel toccarmi la tua mano
non abbia una memoria di presagi,
giacerò nell’informe
fusa io stessa, sciolta dentro il buio,
per quanto possa, elaborata e viva,
ridivenire caos...
Orfeo novello amico dell’assenza,
modulerai di nuovo dalla cetra
la figura nascente di me stessa.
Sarai alle soglie piano e divinante
di un mistero assoluto di silenzio,
ignorando i miei limiti di un tempo,
godrai il possesso della sola essenza.
Allora, concretandomi in un primo
accenno di presenza,
sarò un ramo fiorito di consenso,
e poi, trovato un punto di contatto,
ammetterò una timida coscienza
di vita d’animale
e mi dirò che non andrò piú oltre,
mentre già mi sviluppi,
sapienza ineluttabile e sicura,
in un gioco insperato di armonie,
in una conclusione di fanciulla...
Fanciulla: è questo il termine raggiunto?
E per l’addietro non l’ho maturato
e non l’ho poi distrutto
delusa, offesa in ogni volontà?
Che vuol dire fanciulla
se non superamento di coscienza?
Era questo di me che non volevo:
condurmi, trascurando ogni mia forma,
al vertice mortale della vita...
Ma la presenza d’ogni mia sembianza
quale urgenza incalzante di sviluppo,
quale presto proporsi
e piú presto risolversi d’enigmi!
E quando poi, dal mio aderire stesso,
la forma scivolò in un altro tempo
di piú rare e piú estranee conclusioni,
quando del mio «sentirmi» voluttuoso
rimane un’aderenza di dolore,
allora, allora preferii la morte
che ribadisse in me questo possesso.
Ma ci si può avanzare nella vita
mano che regge e fiaccola portata
e ci si può liberamente dare
alle dimenticanze piú serene
quando gli anelli multipli di noi
si sciolgono e riprendono in accordo,
quando la garanzia dell’immanenza
ci fasci di un benessere assoluto.
Cosí, nelle tue braccia ordinatrici
io mi riverso, minima ed immensa;
dato sereno, dato irrefrenabile,
attività perenne di sviluppo.
25 febbraio 1949

Il pericolo

Che s’io cosí mi decanto
sciogliendomi in tempo
dalla forma assoluta che «decide»,
non vedere, amor mio,
dentro la povertà della mia assenza
un assenso, un consenso o solamente
una parola
da richiamare sempre,
da oppormi quasi a specchio ed a condanna
d’ogni mio moto divenuto illecito!
Ho timore di questo:
che qualcuno ricavi dal passato
un simbolo, un accenno
che mi descriva incatenata sempre
ad un unico passo...
Mobile come sono,...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Fiore di poesia
  3. Introduzione di Maria Corti
  4. Bibliografia
  5. Fiore di poesia 1951-1997
  6. Il libro
  7. L’autore
  8. Dello stesso autore
  9. Copyright