Odessa
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Odessa

Splendore e tragedia di una città di sogno

  1. 344 pagine
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Odessa

Splendore e tragedia di una città di sogno

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A partire dalla sua fondazione, nel 1794, fino a oggi, Odessa ha lottato per sopravvivere tra i due opposti poli del successo e dell'autodistruzione. Come molte altre vivaci città portuali e come molti tessuti urbani multiculturali, essa ha sempre liberato i suoi demoni piú vitali, quegli spiritelli che incarnano le muse palpitanti della società metropolitana e i creatori instancabili dell'arte e della letteratura. Spesso, tuttavia, ha lasciato emergere anche i lati piú oscuri, quelli che stanno in agguato nei vicoli e bisbigliano parole di odio religioso, invidia di classe e vendetta etnica. Quando tutto andava per il meglio, Odessa era in grado di formare artisti e intellettuali il cui talento seppe illuminare il mondo. Quando invece tutto crollava, il nome della città divenne sinonimo di fanatismo, antisemitismo e bieco nazionalismo.
Questo libro segue l'arco della storia di Odessa sin dagli albori della sua esplosione urbanistica, passando dalle tragedie che hanno costellato il XX secolo, fino a quella che si può considerare la sua consacrazione al regno del mito e della leggenda. Intende tracciare la storia attraverso cui generazioni di odessiti, nativi o trapiantati, hanno costruito una città con un assetto unico nel suo genere, un luogo chiamato a diventare il porto piú ambito della Russia e la fonte di ispirazione di scrittori come Aleksandr Puskin e Isaak Babel¿. La storia della città si intreccia con quella di alcune vite individuali emblematiche, celebri od oscure, che l'hanno resa la patria prediletta di ebrei, russi, ucraini e molti altri.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
ISBN
9788858410882
Argomento
Storia

Parte seconda

La dimora della crudeltà

Capitolo sesto

Ombre e complotti

Lejba Davidovič Bronštein [il vero nome di Lev Trockij] imparò le sue prime lezioni sul tradimento e sulle manipolazioni a Odessa, in particolare nella sua classe del collegio San Paolo in via Uspenskaja. Il collegio San Paolo era una Realschule, cioè una scuola secondaria specializzata in matematica, scienze e lingue moderne piuttosto che in storia e lingue classiche, insegnamenti che venivano impartiti nella scuola piú tradizionale e prestigiosa, il ginnasio. I suoi genitori, nel 1888, dalla fattoria di famiglia nella provincia rurale di Cherson, avevano mandato Lev a Odessa a vivere con un lontano parente (un editore ebreo di successo, Mosei Spentzer) perché potesse godere delle opportunità educative offerte dalla città.
Il collegio San Paolo era stato fondato dai luterani, ma l’organico degli insegnanti era costituito da un misto di religioni e nazionalità diverse, che impartivano le lezioni in russo e tenevano sotto stretta sorveglianza i loro chiassosi allievi. «La percentuale dei tipi strani tra gli uomini è grande, ma è grandissima tra i maestri», ricorda Bronštein nelle sue memorie1. Era soggetto a una disciplina severa e fu sospeso piú volte, ma riuscí a diplomarsi con il massimo dei voti. Da questa sua esperienza trasse due lezioni fondamentali. Una fu che la città (come d’altronde il vasto impero di cui faceva parte) era nel contempo indisciplinata e sottoposta a una pressione statale eccessiva, un luogo nello stesso tempo «commerciale, multirazziale, variopinto e rumoroso», ma anche «forse la piú famigerata città poliziesca nella poliziesca Russia»2.
L’altra lezione che imparò era che in un luogo simile ci si poteva fidare di ben poca gente. Le autorità scolastiche consideravano Bronštein come il capobanda di un gruppo di piccoli scavezzacollo la cui specialità era quella di disturbare le lezioni. Fu denunciato, perché uno dei suoi compagni aveva fatto la spia. Scrisse: «I gruppi sorti in quell’occasione erano: gli invidiosi e i delatori da una parte, i giovani franchi e valorosi dall’altra, e la massa neutrale incerta, amorfa, nel mezzo. Questo raggruppamento l’ho incontrato anche piú tardi, nelle piú svariate circostanze»3.
Bronštein lasciò la città nel 1896 e vi ritornò raramente. Ma lo strato di vernice politica che applicò su queste sue prime esperienze lo condusse a intraprendere il cammino del rivoluzionario di professione. Non molto tempo dopo aver abbandonato Odessa, uní le lezioni di vita apprese al collegio San Paolo ai principî del marxismo. Ben presto fu arrestato dal governo zarista come agitatore politico e venne esiliato in Siberia. Alla fine cambiò nome e dedicò la sua vita – con l’appellativo di Lev Trockij – a tentare di risvegliare «la massa dei neutri e dei dubbiosi» che aveva scoperto per la prima volta tra i suoi compagni in uniforme, che si affollavano in via Uspenskaja con le tuniche e i berretti con la visiera.
Odessa ha sempre avuto due mondi sotterranei, uno in senso figurato, quello esplorato dal futuro Trockij, e uno in senso letterale, fatto di grotte e di passaggi scavati nel sottosuolo. Un labirinto di catacombe interseca la pietra porosa su cui poggia la città. Alcune delle gallerie sono naturali, mentre altre sono state scavate e scolpite attraverso i secoli, come magazzini, luoghi di rifugio e covi per la gente piú svariata, dagli scolari che marinavano la scuola a prostitute, agitatori politici e terroristi clandestini. Il calcare umido si sgretola al tocco nelle strette caverne che serpeggiano per centinaia di miglia sotto la città e i suoi sobborghi.
Scava in un qualsiasi cortile, dice l’odessita, e troverai una galleria sotterranea che porterà a un nascondiglio o a un covo di contrabbandieri. Ma quest’Ade di calcare era anche la metafora di una città d’ombra che esisteva accanto alla città vera e propria, sotterranea certo, ma alla luce del sole. Negli ultimi anni del XIX secolo, il demi-monde cittadino (un luogo di criminalità, malattia, cospirazione e rivoluzione) fu all’origine della sua leggendaria reputazione, ma anche dei suoi infiniti malanni. Il centro di questo mondo sotterraneo malavitoso si trovava a breve distanza dal collegio San Paolo, in un quartiere chiamato Moldavanka.
Il nome di questa borgata è un riferimento indiretto ai moldavi di lingua rumena, una minoranza etnica, che all’inizio si erano insediati in città per lavorare come mandriani e operai. Secondo alcune fonti, questo rione è antecedente alla fondazione della città. All’inizio fu eretto per ospitare temporaneamente i moldavi che lavoravano per costruire la fortezza ottomana di Yeni Dünya. Piú tardi divenne la zona di residenza di bulgari, albanesi, greci e altri, compresi i simpatizzanti dell’associazione Filikí Etería e i profughi che erano fuggiti dalla guerra dei Balcani del 1820.
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Figura 14.
Una passeggiata cittadina: via Richelieu, con una veduta sull’Opera, in una cartolina del XIX secolo.
Washington, Library of Congress, sezione stampe e fotografie.
Verso la metà del XIX secolo, tuttavia, il quartiere della Moldavanka ospitava piú ebrei poveri che moldavi e bulgari. Aveva una reputazione infamante di covo fatiscente di povertà, sbronze a buon mercato e piccola criminalità, in uno scenario in cui abbondavano le chiese cattoliche e ortodosse, le sinagoghe ebraiche e le case di preghiera. Per le strade vagavano bambini mendicanti, violenti e disperati, modiste e sartine che avevano perso il lavoro, stagnini ambulanti e carrettieri. Durante la notte, a dominare sui boulevard erano ragazzi di lingua yiddish che cercavano di menar le mani nella prima rissa che capitava oppure di fare irruzione in un ricevimento di nozze (uno di loro, Yankele Kulačnik, noto anche con l’appellativo inglese di Jake the Fist, fece fortuna e diventò il grande attore yiddish americano Jacob Adler)4. I delinquenti ebrei del quartiere erano al contempo vicini premurosi e assassini spietati. La polizia in genere stava alla larga, evitando di perseguire i criminali a meno di non avere una garanzia da parte dei «re» del crimine che, dai loro cortili ombreggiati, dispensavano giustizia e crudeltà. La linea di confine tra il quartiere della Moldavanka e il centro della città (che era definito dalla via chiamata Staroportofrankovskaja, ovvero via del Porto Vecchio, il confine interno della zona del porto franco ottocentesco) in epoca sovietica continuò a essere considerata come una sorta di frontiera. Anche oggi si capisce perfettamente di essere sul lato sbagliato della strada quando la si attraversa e si giunge in una sorta di grande villaggio disseminato di acacie e catalpe, dove le viti si arrampicano sulle basse casette diroccate e la vita di strada è assai piú pericolosa di quella dei grandi boulevard nel centro.
La maggior parte dei porti marini e fluviali ha la consolidata reputazione di essere un covo di filibustieri e città cosí diverse come Napoli, Londra e Rio de Janeiro, in vari momenti della loro storia, sono state la sede di bande di criminali famose per la loro vita clandestina e per il comportamento brutale. Il mondo malavitoso sotterraneo di Odessa invece suscitava un orgoglio collettivo nei confronti del lato oscuro della città e delle sue immediate vicinanze – un modo di vivere che faceva parte dell’identità cittadina, sia per gli odessiti che per gli stranieri. Mentre il XIX secolo si avvicinava alla fine, l’inquietante universo nascosto di Odessa diventò uno dei suoi caratteri piú significativi e piú duraturi. Nei viali e nelle case sovraffollate, nell’area dei moli e nei quartieri adiacenti soffocati dalla polvere, Odessa offriva la piú grande collezione di criminali, delinquenti e truffatori di tutto l’Impero, uomini e donne che avevano la vocazione di trasformare in una vera professione l’umile attività di goniff – in yiddish, maneggioni matricolati e astuti furbacchioni. L’Odessa sotterranea era il luogo dove vennero forgiate alcune delle qualità piú distintive della città e anche le piú terribili e tragiche.
Sin dalla nascita della città, bisognava diffidare dello stile di vita spregiudicato degli odessiti. «Dopo aver parlato della produttività della popolazione di Odessa, rimane ancora qualcosa da dire su alcuni elementi sgradevoli comuni a tutte le città nuove», riferiva uno dei primi storici della città, Gabriel de Castelnau, «cioè il fatto che gli avventurieri sono arrivati a frotte»5. Perfino il conte di Langéron, una volta terminata la sua missione di governatore generale, deplorava che la città fosse endemicamente indisciplinata, poiché conteneva «la feccia di Russia e d’Europa»6.
Il suo partner naturale al di là del mare – Costantinopoli – era il centro del commercio illecito. Gli ufficiali ottomani imponevano dazi esorbitanti, mentre i governi europei facevano in modo di strappare ai sultani privilegi commerciali ingiusti. Marinai e mercanti che viaggiavano nella capitale ottomana spesso non trovavano molti cambiamenti quando raggiungevano l’altra estremità del Mar Nero. Come dice un celebre adagio, gli imbroglioni imparano il mestiere a Pera – il quartiere medievale dei mercanti genovesi, situato sulle colline che sovrastano Costantinopoli –, ma lo praticano a Odessa. Nelle due città si trovavano coniugate all’italiana l’abitudine delle bustarelle, la corruzione e la ruffianeria, poiché l’Italia era il pilastro della cosiddetta cultura portuale degli stivatori e dei capitani di vascello.
La prosperità apparente della città in gran parte del XIX secolo catalizzava imbrogli e ruberie, ma ciò che davvero distingueva la reputazione goniff di Odessa era il suo mondo nascosto, costituito da una povertà profonda e radicata. Al di là delle strade centrali alla moda vicino al boulevard Nikolaevskij, Odessa accoglieva le baraccopoli, dove ebrei, ucraini, russi e altri abitanti esercitavano i loro traffici. Albergati in cortili sovraffollati o in casupole decrepite, di solito erano le prime e piú vulnerabili vittime della recessione nel commercio del grano o di una subitanea caduta del tasso di cambio. La popolazione della città aumentò del 3677 per cento dal 1800 al 1890, una cifra astronomicamente piú alta che in tutte le altre città imperiali in rapida espansione, come Mosca, San Pietroburgo, Varsavia e Riga7. All’epoca del censimento del 1897 (il primo computo della popolazione pienamente esaustivo nella storia dell’Impero), piú di 400 000 abitanti erano stipati nel vecchio quartiere centrale e nei rioni adiacenti di Peresyp´ a nord, della Slobodka-Romanovka a nord-ovest e della Moldavanka a ovest. Questo numero si sarebbe gonfiato fino a raggiungere le 650 000 anime allo scoppio della Prima guerra mondiale.
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Figura 15.
Due persone ritratte per le strade di Odessa dal fotografo Rudol´f Feodorovec, 1860-70.
Collezione Pavel Chorošilov. Per gentile concessione di Nic Iljine.
Irresistibilmente attratti dai lavori remunerati nel porto, molti rompevano i loro vincoli formali con la campagna, ma si portavano dietro abitudini e tradizioni rurali. «Potevamo forse abbellire con l’appellativo di città il luogo sinistro in cui eravamo e le strade che contemplavamo?», chiede un viaggiatore francese nel 1838. «È un immenso spazio aperto senza case, pieno di carri e di buoi che si rotolano nella polvere, in compagnia di una massa di contadini russi e polacchi, che dormono tutti insieme scaldandosi al sole»8. In realtà, i presunti contrasti tra Odessa e le regioni piú remote della Zona di Residenza spesso erano molto superficiali. Nello shtetl, una mendicante mangia la sua crosta di pane al buio, scherza lo scrittore yiddish Mendele Moykher-Sforim, ma a Odessa mangia la stessa crosta al suono della musica dell’organetto9.
Ben presto la città sviluppò il tratto peculiare che conoscono oggi i visitatori del mondo civilizzato: il costo eccessivo per un servizio di bassa qualità. I trasporti pubblici potevano venire effettuati in una carrozza chiusa, ma piú spesso i viaggiatori dovevano farsi strada nella polvere e nel fango su un drožki, un rozzo aggeggio che consisteva in quattro ruote collegate alla bell’e meglio e unite da un asse coperto di cuoio10. Anche cosí, non di rado il passeggero si accorgeva che il vetturino gli chiedeva il doppio della tariffa normale11. Quando arrivava all’albergo, un sordido edificio in cui, malgrado le allettanti indicazioni delle guide turistiche, bisognava portarsi da casa asciugamani e lenzuola, c’era una semplice stanza con un letto disadorno a un prezzo esorbitante12. La fiumana continua dei visitatori che si recavano in città (marinai, čumaki, servi della gleba in fuga, viaggiatori europei e nobili russi in villeggiatura) permetteva che i diversi quartieri e le classi sociali si adattassero a un’economia di dipendenza gerarchica, malgrado le origini fossero miste e le tradizioni effimere.
Alla fine degli anni Novanta il console americano ripor...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Odessa
  3. Tavola delle abbreviazioni
  4. Introduzione
  5. Ringraziamenti
  6. Odessa
  7. PARTE PRIMA - La città dei sogni
  8. PARTE SECONDA - La dimora della crudeltà
  9. PARTE TERZA - Nostalgia e ricordi
  10. Appendici
  11. Cronologia
  12. Bibliografia
  13. Elenco dei nomi
  14. Il libro
  15. L’autore
  16. Copyright