Mi riprometto di chiedere spiegazioni a Eva quando passerà a riportare a casa Zarina, ma come tante cose che noi umani ci ripromettiamo, neanche questa va a buon fine, perché Eva riporta a casa Zarina in un modo che si può definire soltanto FURTIVO. Mentre sono impegnata a rifilare a Jezz quello che ho trovato in un pentolino sul fornello, sento un allegro trapestio in giardino, e quando mi affaccio vedo Zarina che scava sotto il pitosforo. Mi congratulo con lei, il pitosforo non c’entra niente con Borgo Vanchiglietta, esso sta bene sulle terrazze di Portofino, qui da noi largo alle ortensie, ma mentre mi compiaccio delle mie meschine competenze botaniche mi rendo conto che Eva se n’è andata e non potrò piú chiederle spiegazioni fino a quando non tornerà chissà a che ora.
– Fame, – dice Jezz. Caspita, un’intera parola comprensibile.
– Ehi. Tocca aprire una bottiglia di Krugg. Com’è che parli?
– Fame, – ripete lei.
– Non saprei cos’altro darti. Ti sei appena ingozzata mezzo chilo di semolino. Dovresti essere piena come un otre.
Poi vedo una scatola di formaggini sul tavolo, ed esulto. I formaggini sono buon cibo per bambine piccole. I formaggini… l’altra me, quella della precedente vita, provava sempre un leggero batticuore alla vista di un formaggino, perché quel triangolo spessotto avvolto nella carta argentata o dorata è un oggetto davvero grazioso. I formaggini sono per me un cibo gioiello, mi piace vederne tanti che scintillano alla luce raccolta della cucina, ma adesso lo sbuccio senza tante storie e lo porgo a Jezz, che però fa no no no.
– Fame, – ripete, e questa volta, rendendosi evidentemente conto di avere a che fare con un’adulta di scarsa intelligenza, aggiunge un gesto esplicativo, e strattona Guercio per un braccio.
– Lui? Lui ha fame?
Jezebel annuisce, e sorride. – Ui!
– Senti cocca, tu te lo scordi che io mi metta a imboccare un bambolotto. Non sono mica Nonna Papera.
Lei mi prende di mano il formaggino senza insistere, e lo spiaccica sulla faccia di Guercio.
– Aspetta! Cosí lo sporchi e basta.
Ed è mentre pulisco Guercio, e faccio vedere a Jezz come s’imbocca un bambolotto: – Cosí, ecco, un pezzetto piccolissimo di formaggio… aaaaahhmm… e dopo lo mangi tu se no non arriviamo da nessuna parte… ecco fatto… adesso gliene dai un altro… – che sento bussare sui vetri, e quando alzo gli occhi e vedo Cristiano fermo al quasi buio provo un sentimento affine a quello di Macbeth alla vista di Banquo, o di altri alla vista di altri spettri.
– AAAHHHH!
Vado ad aprire la porta.
– Cosa vuoi! Come sei entrato!
– Il cancelletto era aperto.
Il cancelletto era aperto? Mi prende un colpo: e Zarina? E se è uscita? Se è uscita, è arrivata fino in corso Belgio e l’ha stirata il 68? O ci è salita sopra? Perché una volta il cane di una mia amica è scappato e ha preso il tram e l’hanno poi ritrovato al capolinea.
– Zarina! Vieni fuori!
Il nostro cortile è cosí piccolo che chiamarla è veramente inutile. Non c’è. Aiuto!
– Il cane! È uscito!
– Bene. Ecco che te ne sei finalmente liberata.
– Sta’ zitto, idiota! Vai dentro, stai con Jezz, io vado a cercarla!
Mentre corro lungo il fiume urlando Zarina, faccio una serie di voti alla Madonna, sempre piú impegnativi man mano che non la trovo: non mangio cioccolata per un mese, non prendo piú di due caffè al giorno per tre mesi, vado a piedi fino a Oropa, vado a piedi fino a Compostela, non mangio cioccolata per tre anni e vado a piedi a Compostela, non mangio cioccolata, vado a piedi e comincio a bere e fumare… Quando non funziona neanche il voto di diventare oblata brigidina come la zia Teresa, mi arrendo: ormai è un’ora buona che giro urlando per il quartiere. Zarina è scomparsa. Piangendo a piú non posso, mi chiedo se quella deficiente che si accompagna a mio marito le abbia mai fatto un tatuaggio, ma anche se l’ha fatto, a che serve, non risaliranno mai a me, la spedirebbero a Minsk o Dio sa dove…
Piango, piango come una capra, senza chiedermi che senso ha piangere per un cane che non voglio, e che appena possibile porterò al canile di Rho. Ho smesso di cercare di governare la mia vita con la logica, è evidente che per il momento devo fare affidamento su qualcos’altro. E cosí quando arrivo singhiozzando e vedo Cristiano, Jezebel e Zarina che mi aspettano davanti a casa, prima mi precipito ad abbracciare Zarina, poi la sgrido, e per finire mi avvento contro Cristiano insultandolo perché non mi ha avvertita che era tornata.
– L’avrei fatto, se tu avessi avuto con te il telefono. Invece l’hai lasciato sul tavolo.
Quando siamo tutti dentro al sicuro, mi asciugo il naso e gli occhi con uno Scottex, e torno me stessa. Non degno neanche di uno sguardo quello stupido cane disteso davanti alla stufa, sbuccio una mela per Jezz, e chiedo a Cristiano se vuole finalmente decidersi a dirmi cosa è venuto a fare.
– Sono venuto a prenderti. Tommaso ha riportato il medaglione a mia madre. Cosí adesso se vuoi puoi ricattarla. Mettiti una maglia che fa freddo.
Tommaso! È a casa di Cristiano. Questa mi sembra la pietra angolare del suo discorso. Ma. Non posso andare.
– Non posso venire. Eva è al lavoro, devo stare con Jezz.
– Portiamola con noi.
Jezebel ha già gli occhi a mezz’asta, si è sdraiata sul tappeto vicino a Zarina e Guercio, e sembra pronta a schiantarsi di sonno. Povera piccoletta, trascinarla fuori a quest’ora. Beh, mi spiace, ma tocca farlo.
Avrei potuto fare a meno di dispiacermi perché, bene avvolta in un plaid (patchwork), Jezz si addormenta nel momento stesso in cui la macchina si mette in moto. Sto dietro con lei dato che questa macchina non ha seggiolini, e vedo la nuca di Cristiano che guida. Nessuno dei due parla molto. Provo a mettere insieme le evasive notizie che mi ha dato Eva e le incomplete informazioni che mi ha dato Cristiano. Tommaso nel pomeriggio si è presentato a casa nostra, non si sa a fare cosa, ma tranquillizzando Eva sul conto del medaglione, e in seguito a questa visita Eva è certa che voglia vedermi. Poco dopo Tommaso ha portato il medaglione a sua madre. E cioè?
Quando arriviamo a casa Castelli, noto subito nel parco la Renault bruttissima di Tommaso, e ho un piccolo colpo al cuore: sono una donna materiale, e quindi è della materia che mi fido, e soltanto adesso mi convinco fino in fondo che Manuel De Sisti non esiste, e che l’amore della mia vita è davvero Tommaso Castelli.
Ed eccolo, l’amore della mia vita, lo vedo attraverso una porta finestra che dà sul terrazzo, sdraiato su un divano con le cuffie in testa. Lui non vede me, invece, perché ha gli occhi chiusi. Passando davanti alla porta finestra, Cristiano, che ha Jezz in braccio, si ferma.
– Prima lui o la mamma?
– Prima la mamma.
Proseguiamo, entriamo, e filiamo dritti in una stanza che mi sembra risponda perfettamente alla definizione di «boudoir». Non avevo mai visto un boudoir in carne e ossa, cioè, voglio dire vivo, un boudoir vivo in una casa dove qualcuno lo usasse. Li ho sempre e solo visti nei Palazzi che si visitano, tipo Palazzo Madama. E invece eccolo qua, il boudoir vivente, in cui Clotilde Castelli sta guardando qualcosa sul computer. Cristiano bussa pro forma sulla porta aperta, e lei solleva lo sguardo. Noto subito che ha il medaglione di Eva al collo.
– Buona sera, – le dico. – Scusi l’ora, ma sono venuta a portare a termine la nostra trattativa.
– Ancora lei? Cristiano, perché l’hai fatta entrare?
– Non l’ho fatta entrare. Sono andato a prenderla e l’ho portata qui.
– Allora sei davvero un deficiente.
– Non strilli che sveglia la bambina.
Jezz dorme in braccio a Cristiano, che la posa piano su un divano. Clotilde non è d’accordo.
– Sei pazzo? Cos’è quel bambino? Levalo subito di lí.
– Guardi, signora, ci mettiamo un minuto. Suo figlio? Questa volta lo facciamo restare o ci parliamo in privato?
Clotilde Castelli, devo ammetterlo, è fantastica. Non mi dà retta per niente. Continua a smanettare sul computer e mi risponde con sufficienza:
– Ma cosa vuole che me ne importi. Questa storia è assurda, io non so chi sia lei, e non capisco perché si accompagni con Cristiano. Forza, su, mi faccia ’sto ricatto e si tolga dai piedi.
Cristiano non accenna a muoversi, e io non vedo l’ora di sbrigare questa faccenda e correre da Tommaso.
– Okay. Allora. Io lavoro in casa dell’avvocato Biancone e la sera della festa sono andata alla stireria perché dovevo prendere una cosa. Arrivando ho sentito dei bisbigli e mi sono fermata. I bisbigli appartenevano a lei, signora Castelli, e al conte Umberto Gambursier, e da questi bisbigli si evince che avete una relazione. Se non mi ridà il medaglione di Eva, i bisbigli in questione saranno riportati all’avvocato Biancone.
Clotilde Castelli continua a picchiettare sul computer che, noto con disprezzo, non è un Mac. Vorrei capire cosa detiene con tanta fermezza la sua attenzione anche mentre cerco di ricattarla, e mi avvicino. Sta compulsivamente sfogliando un catalogo online nel sito «Luxury and Extreme Wealth». Al momento, è fissa su una brutta borsa che costa dodicimila dollari. Ma alla fine alza lo sguardo con aria vagamente distratta.
– Stupidaggini. Tutto inventato.
– Ho registrato col cellulare –. Figuriamoci se è vero. Ma nei film i bluff funzionano.
– Ah sí? Sentiamo.
– Se lo scorda. Cosí suo figlio mi salta addosso e mi strappa il cellulare. Si fidi. Ho registrato.
– Guarda, Adele, io non ti salto addosso e non ti strappo niente, almeno per il momento, ma se potessi evitare di sentire mia madre che tresca con il marito di Marta, preferirei.
– Allora? Mi dà il medaglione?
Clotilde alza gli occhi, con espressione stupita. – Eh? Il medaglione? Ma figurati se te lo do. Di’ quello che vuoi a Marta, falle sentire quello che ti pare, non me ne importa proprio niente, tra l’altro ero già anche abbastanza stufa di Umberto.
Sono veramente confusa. Cioè, va bene essere callose, ma mandare all’aria un’antica amicizia per una collanina, mi sembra veramente esagerato. Anche a Cristiano sembra esagerato.
– Mamma, scusa, ma Marta ci resterà veramente malissimo. Siete amiche da trent’anni. Sei sicura che ne valga la pena?
– Vale, vale eccome. Marta avrebbe dovuto capirlo da sola già da tempo, ma è troppo infatuata di quel babbeo.
– Sa cosa, signora Castelli? Lei andrebbe d’accordissimo con mio cognato e sua moglie. Ruggero e Guenda Molteni. Li conosce?
– Ah, ma certo! I biellesi. Li ho conosciuti alla festa di Marta. Simpaticissimi. Sono suoi cognati? Com’è possibile?
– Glielo racconto un’altra volta.
– Non credo che avremo occasione di rivederci.
– Beh, si sbaglia.
Esco dal boudoir, sempre seguita da Cristiano con Jezebel in braccio, che nel frattempo si è svegliata e piagnucola.
– E adesso che farai? Racconterai tutto a Marta?
– Certo! – sbraito. – Ma non subito. Prima devo parlare con tuo fratello.
E qui le nostre strade...