La prima parte di questo libro è costituita dal testo della Lezione Levi che ho tenuto il 26 ottobre 2011 nell’Aula Magna «Primo Levi» della Facoltà di Scienze dell’Università di Torino.
Ho ripreso alcuni dei temi di quella Lezione nella seconda parte, in cui diversi incontri con Primo Levi si susseguono a staffetta, a partire da un testo semi-inedito di Giampaolo Dossena (ho potuto prima leggerlo e poi impiegarlo per impreziosire la presente edizione grazie alla cortesia e all’amicizia di Pinuccia Ferrari Dossena, Giovanna Dossena e Paolo Dossena).
Chiude il libro un’appendice su un avverbio leviano.
L’efficiente staff del Centro Studi Internazionali «Primo Levi» e il suo direttore, Fabio Levi, mi sono stati vicini: la collaborazione è stata molto piacevole oltre che per me molto proficua. Ringrazio per il loro paziente ascolto gli studenti delle due classi che ho incontrato al liceo classico Cavour di Torino e che spero abbiano potuto farsi un’idea di un Levi un po’ diverso, perché meno paludato, dallo scolastico.
Il mio lavoro su Primo Levi, incominciato da quindici anni, è stato a piú riprese incoraggiato e sostenuto da Marco Belpoliti e Domenico Scarpa. Senza il primo amico non so se avrei pensato di poterlo neppure intraprendere; senza il secondo non so se l’avrei portato sino a qui.
Ringrazio Carla Anna, Caterina e Francesca per le serate leviane di un’estate che non dimenticherò.
Dedico questo lavoro ai chimici enigmisti; a «La amerai invan»; alla cara memoria di Paolo Fossati.
I riferimenti all’opera di Levi rinviano all’edizione Einaudi curata da Marco Belpoliti (Opere, 2 voll., Einaudi, Torino 1997). Ogni citazione è seguita da un rimando abbreviato all’opera originale, il numero del tomo e il numero di pagina: «Squ, I.113» sta per: «Se questo è un uomo, vol. I, p. 113».
Am: | L’altrui mestiere |
Aoi: | Ad ora incerta |
Ap: | Altre poesie |
Cs: | La chiave a stella |
L: | Lilit e altri racconti |
Ps: | Pagine Sparse (sezione di ognuno dei due volumi delle Opere che raccoglie testi di Levi mai apparsi in volume precedentemente) |
Res: | Racconti e saggi |
Rr: | La ricerca delle radici |
Ses: | I sommersi e i salvati |
Sn: | Storie naturali |
Snoq: | Se non ora, quando? |
Sp: | Il sistema periodico |
Squ: | Se questo è un uomo |
T: | La tregua |
Vf: | Vizio di forma |
1. Il senso del tempo.
Una delle differenze principali fra vivere e scrivere è che nella vita non si sceglie da dove incominciare e verso dove proseguire; nella narrazione la scelta non è solo possibile ma è anche necessaria. I diaristi partono dall’oggi e proseguono, giorno dopo giorno, nulla dies sine linea. I memorialisti iniziano da un punto del passato e di lí raggiungono il presente. I romanzieri sono liberi di variare.
Primo Levi non pensava che la linea del tempo avanzi con il movimento inesorabile, continuo, costante delle lancette degli orologi: spesso ha parlato di rallentamenti, accelerazioni, sospensioni. Per fare solo un esempio, i giorni della vita da deportato, interminabili, diventano brevissimi, nel ricordo, appena sono passati.
I dí protrar torpidi è una frase «reversibile», ovvero palindromica, composta prima del 1951 da don Anacleto Bendazzi, un sacerdote di Ravenna che era anche un grande funambolo della lingua. Io penso che a Primo Levi questo palindromo sarebbe piaciuto, e per diversi motivi. Per il senso, poiché «torpidi» è un aggettivo che Levi stesso ha usato a proposito di ore, giorni, mesi1. Per la sua forma, perché anche Levi era un cesellatore di frasi «reversibili», cosí le chiamava, e questa è particolarmente raffinata dal punto di vista tecnico. Ma gli sarebbe piaciuta anche per la combinazione di senso e forma, perché vedeva un legame fra palindromi e tempo, e sottolineava l’uso degli antichi romani di scrivere frasi palindromiche attorno alle meridiane. Questo avviene in un racconto tutto dedicato ai palindromi, dove ci si chiede: le frasi reversibili sono forse vere, come «sentenze d’oracolo»2? Levi lo nega, ma pare quasi contraddirsi aggiungendo subito un riferimento all’alone «magico e rivelatorio» emanato dall’esattezza dei palindromi. Alone che ritroviamo anche nella serie consonantica ebraica che per Levi era la «parola-chiave» del romanzo, che ha ben due avverbi di tempo nel titolo, e il cui protagonista è un orologiaio: Se non ora, quando? La parola-chiave è VNTNV, V’natnu, Ed essi restituiranno: «Lo vedi, si legge da destra a sinistra e da sinistra a destra: vuol dire che tutti possono dare e tutti possono restituire»3. Anche la comunicazione economica di dare e avere è a due sensi, come lo scambio di battute in una conversazione, la sequenza di lettere nei palindromi o (in un’altra accezione della parola comunicazione) come una strada.
Il tempo sembra davvero invertirsi nel racconto di palindromi Calore vorticoso. Il protagonista si chiama Ettore, come lo sconfitto del duello omerico; il suo nome sarà stato determinato a sua volta da esigenze di gioco, ma nel suo rovescio leggiamo «e rotte», il che non fa che ribadire l’evocazione di una sconfitta cifrata. Nel caldo, nel torpore o (ancor piú palindromicamente) nell’afa di un’estate romana, Ettore teme che i palindromi che ama fare (o che non riesce a fare a meno di fare) abbiano determinato un’inversione della freccia del tempo. Martin Amis, conoscitore e ammiratore dell’opera leviana, forse non ha mai letto il racconto Calore vorticoso. Nel suo romanzo La freccia del tempo, il protagonista è un assistente di Josef Mengele che vive il tempo al contrario, dal futuro retrocede al passato. Per lui il cibo non entra ma esce dalla bocca; si diventa piccoli invecchiando; ad Auschwitz non si stermina nessuno, bensí si crea dalla cenere una nuova razza4.
Sempre a proposito di tempo, il piú famoso e innovativo palindromo leviano è bilingue: «In arts it is repose to life: è filo teso per siti strani»5. Nella parte inglese, l’arte risulta essere di riposo, di sospensione alla vita. Una sospensione, questa, desiderabile: opposta cioè alla stagnazione inumana del tempo prigioniero («Sapete come si dice “mai” nel gergo del campo? Morgen früh, domani mattina»6) o alle lungaggini della vita russa, in cui non è torpida solo l’estate. In russo il termine per riferirsi al primo giorno del futuro è «assai meno definito e perentorio del nostro “domani”, e, in armonia con le abitudini russe, vale piuttosto “un giorno fra i prossimi”, “una volta o l’altra”, “in un tempo non lontano”» (questo aggiunge Levi «per uno di quegli slittamenti semantici che non sono mai senza perché»7). La Russia, «Paese senza tempo»8, sentenzia Libertino Faussone, detto Tino: e, riferendocelo, Levi pare volerci avvisare del fatto che il tempo è una variabile che dipende sempre dal soggetto: «Non c’è tempo piú lungo di quello che si passa ai semafori»9. Quando il suo soggetto è un atomo di carbonio allora «per lui il tempo non esiste, o esiste solo sotto forma di pigre variazioni di temperatura, giornaliere e stagionali». Un racconto dell’agosto 1986, e dovrebbe essere l’ultimo racconto «fantabiologico» di Levi, si intitola Scacco al tempo e ci introduce alle scabrose delizie del Paracrono, l’iniezione di maleato di rubidio nel quarto ventricolo cerebrale, che consente al paziente «di intervenire volontariamente sul proprio senso soggettivo del tempo»10. Il sogno, o la pretesa, di Faust diventa cosí realtà tramite la letteratura.
La scrittura è essa stessa un Paracrono capace di fermare il tempo, un palindromo che lo inverte nel continuo viaggio fra l’oggi e il passato della storia, della mitologia, della memoria individuale, o lo proietta verso il futuro della scienza o quello della profezia. Né diarista, né memorialista, vorrei definire Primo Levi uno scrittore paracronico, o paracronista, nel senso della sua invenzione del Paracrono.
2. Lo scrittore liberato.
La scrittura di Levi ha infatti la capacità di riportarlo indietro nel tempo. Si fonda sempre sull’esperienza individuale e la riconsidera dando il giusto peso a ogni dettaglio: fermando l’attimo per il tempo, ovvero per l’estensione di testo, che merita.
Tra le esperienze che Levi mette sotto auto-osservazione è compresa anche l’attività di scrittore. Proprio parlando della propria scrittura Primo Levi ha potuto riferirsi a Se questo è un uomo come «libro liberatore»11, frase che sospetto venga spesso mal interpretata. È vero che assieme all’esigenza del mangiare (umana in quanto l’uomo è animale) i deportati al ritorno sentivano altrettanto imperiosamente l’esigenza del narrare (umana, in quanto l’uomo non è animale). È anche vero che il racconto della sua esperienza ad Auschwitz è cominciato non appena Levi si è trovato fra persone ignare, sul primo treno civile che da Verona lo riportava a Torino: «Ognuno di noi reduci, appena tornato a casa, si è trasformato in un narratore infaticabile, imperioso, maniaco»12. Ma una volta raccontati i fatti oralmente, una volta scritto e pubblicato il libro non si può proprio dire che Levi si sia «liberato» da qualcosa: la memoria è rimasta; l’impulso, la volontà e il puntiglio di narrarla sono rimasti; è rimasto il segno dell’esperienza subíta.
Invece che liberarsene, Levi vedrà ritornare Se questo è un uomo a distanza di dieci anni, per tutta la vita: scritto nel 1945-46; riveduto per la seconda edizione nel 1955-56; adattato per il teatro, con testo pubblicato nel 1966; fornito di una importante appendice (risposte di Levi alle piú ricorrenti domande del suo pubblico) nel 1976; e infine completato nel 1986 da I sommersi e i salvati, il libro che riprende il titolo originale del volume, il titolo di un suo capitolo e l’eredità tematica. In mezzo, ovviamente, ci sono le edizioni in lingua straniera, i viaggi per presentarle, i dibattiti, i carteggi, tutti i racconti sulla vita di Lager, i bozzetti aneddotici, i ritratti, che costituiranno la «galassia» del libro maggiore13.
O a Levi è parso di poter definire il suo libro come liberatore a causa dell’illusione di un momento, ma non era uno sprovveduto capace di mettere su carta opinioni poco ponderate (su quel tema, poi). Oppure stava parlando di un’altra liberazione. Io penso che Se questo è un uomo abbia liberato nello stesso Levi lo scrittore potenziale che fino a quel momento (per la precisione fino ad Auschwitz) aveva sentito su di sé una vocazione letteraria impedita dalla sfiducia sulla rilevanza delle proprie esperienze narrabili. La Mater-materia faceva difetto; e ci sono passi in cui Levi mostra quasi di credere che la materia-matrice fosse ad Auschwitz per aspettarlo.
Le testimonianz...