Il popolo che manca
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Il popolo che manca

  1. 256 pagine
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Il popolo che manca

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In un inedito racconto corale Il popolo che manca presenta le testimonianze piú suggestive - dal valore letterario e antropologico insieme - della antica vita agropastorale raccolte da Nuto Revelli.
Erano gli anni dell'industrializzazione accelerata e dello spopolamento di intere aree delle campagne del Nordovest e delle montagne alpine in cui si consumò un vero e proprio «genocidio culturale», come è stato definito, distruggendo in poco tempo mondi secolari, comunità, tradizioni e paesaggi. Di quel cosmo che appare cosí remoto queste voci costituiscono l'unico, flebile e struggente tramite. Nel percorso tracciato dal Popolo che manca si è scelto di riunire le memorie piú profonde (talune integralmente inedite) dell'insieme dei protagonisti dell'epopea revelliana (i contadini del Mondo dei vinti ma anche le donne dell' Anello forte ), con l'intento di fissare, entro una maglia piú larga possibile, l'intera gamma delle forme (talvolta anche crudeli) della vita quotidiana del tempo: segnata da poveri sogni di esistenze dominate dalla precarietà alimentare e dalla paura, e tuttavia forte, in parallelo, di saperi e di elaborate pratiche di sopravvivenza consolidate nei secoli.
Sono racconti stranianti che ricostruiscono il mondo del lavoro, la medicina popolare, il gioco d'azzardo, il regime alimentare, il parto e le pratiche matrimoniali consegnandoci, insieme, un universo di valori e convinzioni etiche popolato non meno di visioni ultraterrene, sacre e profane: disseminato, come è, di streghe, le masche, preti stregoni con i «libri del comando» e folletti dai nomi colorati (il ciulest ).
Nel rimescolarsi delle storie, sospesi quasi fra la terra e il cielo, i mondi naturali si animano, i morti vagano nelle notti autunnali, uomini e donne si trasformano in capre, lupi, cani. È un universo periodicamente nomade in cui folle di ragazzini valicano ogni anno il confine, per «affittarsi» nella vicina Francia: chi, le ragazzine, a raccogliere le violette per il mercato di Londra e Parigi vendute dalle romantiche fioraie di Chaplin, chi, i giovani, a lavorare nelle biancheggianti saline di Hyères, dove il contatto con la pelle brucia la pianta dei piedi e di notte, nelle baracche, si odono cantare les Italiens. *** «La Spoon River contadina di Nuto Revelli». Corrado Stajano

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
ISBN
9788858410844

Fede e magia

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Santuario di Castelmagno (1661 m), alta Valle Grana, agosto 1978.

Religione.
La religione e la superstizione sono temi senza un confine preciso, in cui il sacro e il profano si sfiorano e si confondono […]. Meno ricco di certezze è il discorso sul clero. Del parroco giusto, valido, le testimoni dicono un gran bene: dicono che era l’unica persona di cui potevano fidarsi, e non è poco. Del prete scombinato dicono un gran male, ma sempre evitando che i giudizi negativi intacchino la Chiesa e la religione […]. Esistevano i preti validi e i preti non validi, i preti colti e i preti ignoranti. Il prete valido era un grande personaggio, e lavorava in terra di missione: era maestro, medico, pastore di anime, era un uomo povero tra i poveri. Le comunità li ricordano i preti giusti, i preti buoni […]. A San Pietro del Gallo, frazione di Cuneo, venerano don Brondello, l’ex cappellano militare della guerra del ’15, «un buon prete, un bravo medico, che concedeva ai poveri piú di quanto non chiedeva. Don Brondello possedeva soltanto una bicicletta, e quando è morto quella bicicletta era vecchia come lui, perdeva i pezzi». Le comunità ricordano anche i preti sbagliati, i preti troppo esosi, i preti alcolizzati, i preti lazzaroni: «I preti solo in chiesa». Ricordano i preti erotici, che approfittavano delle ragazze, «che erano troppo lesti con le donne». Alcuni dei preti erotici sono finiti male, ammazzati: un ruzzolone dall’alto di un sentiero di montagna, e l’omicidio diventava disgrazia! […]
All’inizio del secolo i preti erano cosí numerosi che i vescovi riuscivano a stento a collocarli. I vescovi inventavano sempre nuovi incarichi, sempre nuove cappellanie, ma gli organici del clero risultavano irrimediabilmente straboccanti. In un paesino delle Langhe vivevano undici preti: il parroco, i due curati, e otto preti disoccupati. I preti senza impiego organizzavano bevute e pranzi a non finire: trascorrevano le notti giocando a tarocchi e schiamazzando. La gente li giudicava severamente, li spiava. Pianté ’n clero voleva dire fare chiasso, organizzare una bisboccia: pianté ’n clero era un po’ l’equivalente ’d bati la catolica. In un altro paesino delle Langhe, dove si contava un prete ogni venti abitanti, il parroco entrò in crisi perché doveva fornire troppo vino da messa ai suoi preti disoccupati: «Usano il vino da messa per organizzare abbondanti libagioni», scrisse quel parroco al vescovo di Alba. Il livello morale e intellettuale di non pochi preti era modesto, cosí l’anticlericalismo piú acido, piú feroce, trovava mille spunti per prosperare.
Se sono religiosi o superstiziosi i nostri contadini? Come giudicano il prete? Parlo degli anziani e dei vecchi, ormai non ne esistono piú contadini giovani. Era gente che credeva, quello che diceva il prete veniva dal cielo. Prima di dare inizio alla semina il contadino si faceva il segno della croce. Le famiglie dicevano il rosario tutte le sere. La messa era un dovere sacrosanto, credevano proprio in Dio. Al Malandré c’era don Massa come parroco, un bravo prete che ha lasciato un buon ricordo. È morto tanti anni fa, ma la gente continua a essere religiosa nel suo ricordo. Ed è giusto che sia cosí, perché don Massa la aiutava la gente povera. (Giuseppe Macario)
In primavera i primi soldi erano sempre quelli dei bigat1. Compravamo il seme, lo portavamo a benedire dal prete, poi al prete regalavamo ’l ramaset, un mazzo di rami di erica con sopra i bozzoli piú belli, cosí la partita piú ricca del paese era sempre quella del prete. Era uno importante il prete, ’n piota2. La gente diceva: «I preve sun mac bun a pié3, orate per me e per gli altri se ce n’è». In molte case carne non ne vedevano mai. (Bartolomeo Spada)
Se il prete era un personaggio importante? Sí, era importante. Verso la fine dell’altro secolo Marmora era senza parroco, allora il parroco di Canosio, don Bernardin, andava là a dire la messa. Una volta quelli di Marmora gli hanno messo un cane morto nell’acqua benedetta, per fargli dispetto. Un altro parroco di Canosio l’hanno invece picchiato, è riuscito a scappare, si è poi rifugiato sul nostro campanile della parrocchia. La gente di Canosio era religiosa, tutte le sere nelle case si diceva il rosario. La gente andava tanto in chiesa, piú che adesso. La domenica il piazzale era sempre pieno, solo dal Colle scendevano cinquanta persone. Oggi ne scende ancora una, Toni ’d Catalina. (Giovanni Battista Ponzo)
Mio nonno aveva studiato un po’ da prete, poi ha trovato una che studiava da monaca, le ha detto: «Sa, fuma mac che rangela mi e ti»4, l’ha sposata e ha avuto dodici figli. Mio padre scuole ne aveva fatte poche ma era uno sveglio, era sempre in mezzo ai preti, lo faceva anche per tenerseli buoni per l’eredità, aveva due fratelli preti, preti poveri non ce n’erano, uno dei fratelli era canonico e l’eredità era importante. Nella nostra famiglia ci sono sempre stati dei preti. Ca senta cuma l’era l’afare5. Una volta diventavano preti solo quelli che erano di famiglia benestante, che avevano un certo reddito: sia per non fare il soldato e le guerre, sia per vocazione, erano tanti i contadini che volevano farsi prete. Ma c’era una legge ecclesiastica la quale impediva che il prete fosse povero. Oh, facevano in fretta a farli diventare preti: che saveise lese ’l latin, che lu capiisa na fervaia i’era ’n preve6. Noi ne abbiamo avuti tre di quella razza lí. Oh, tante famiglie contadine ci tenevano ad avere il figlio prete, era un orgoglio, era un balzo sociale. Preti ce n’erano di tutte le qualità. Io non sono contrario al prete perché io la religione la tengo, che sia giusta o non giusta a me hanno messo in testa questa religione e sono un credente. Non credo che il mondo si sia fatto da solo, e poi la religione è dappertutto. Ma credere in Dio e credere nei preti è un’altra cosa. Io in politica ho sempre fatto tutto quello che ho potuto per andare contro i preti. Io sono un fondatore del Partito dei Contadini d’Italia e me ne vanto. (Giuseppe Bassignana)
Tenevamo i bigat , erano la nostra risorsa principale. Quando andavano male era un disastro. Per difenderli dalla malattia accendevamo la candela fiuría7 e benedetta.
Lui era sempre lurd, lui beveva tutto, dun Bert. A benedizione dicevamo il rosario e lui andava giú con la testa, dormiva. I bambini che avevano il campanello lo suonavano e canticchiavano:«Dun Bert, dun Bert, là là là».Poi ci diceva: «Andate a casa, andate a casa» […] L’era ’n prete bravo, un pover diau, un vecchio. La gente rideva.
Don Oberto andava ad Alba dal vescovo a prendere l’olio santo, poi si fermava a bere, lasciava l’olio santo all’osteria e arrivava a casa senza…
Faceva delle prediche… Diceva: «Se mare che lassu nen tant ste matote sule dausin a si matot, perché, perché, quand ch’i j’abu fèit lon cha j’an vulü´ i ficu la cua ’n mes al gambe e i lassu lí cume i sun»8, davanti a tutti, bambini, donne […] Era bravo.
Il giorno di Natale, all’Annunziata lui stava lí. Lí stava una donna con un uomo, che aveva già due o tre bambini. Ne ha avuto uno la sera di Natale. Lui al mattino presto era già là in piazza: «Di’ un poĉ, cosa ci ha portato il Bambino a noi?»… Gli ha messo nome Natalino.
Mia mamma veniva da Monticello e raccontava che c’era una a Pocapaglia, la masca Miciulina. Passava sempre da loro, dai vicini, li aiutava nei lavori in campagna, ma era proprio una masca. Diceva ai bambini: «U fas la göba»9. Poi l’hanno bruciata, è proprio la verità. Un panettiere l’ha messa sopra un fasiné, l’ha bruciata viva, perché faceva del male, faceva rompere le gambe, dicevano che era lei, l’hanno bruciata. Ma lei l’ha conosciuta ancora. (Maria Laneri)*
E a Natale? Ci portavano due cuchet, due giapunèise10. Ci svegliavamo, e uno chiedeva all’altro: «Cosa ti ha portato Gesú Bambino?» «A me niente…» Allora piangevamo. E nostra mamma a dirci: «Oh, non piangete, l’ha portato in tasca a me». E tirava fuori le due noccioline o magari due caramell...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il popolo che manca
  3. Genesi di Antonella Tarpino
  4. Nota alla presente edizione
  5. Il popolo che manca
  6. Nel mondo dei vinti di Nuto Revelli
  7. Corpi. Nascere, vivere, morire
  8. Lavorare, «affittarsi», emigrare
  9. Uomini e donne
  10. Fede e magia
  11. Guerre
  12. Solitudini
  13. Il libro
  14. L’autore
  15. Dello stesso autore
  16. Copyright