Questioni private
eBook - ePub

Questioni private

Vita incompiuta di Beppe Fenoglio

  1. 296 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Questioni private

Vita incompiuta di Beppe Fenoglio

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

«Il piú solitario di tutti noi, Beppe Fenoglio, riuscí a fare il romanzo che tutti avevamo sognato, quando nessuno piú se l'aspettava, Una questione privata ». Quando Calvino scrive queste righe è il 1964. Fenoglio è morto un anno prima, a quarant'anni, dopo aver pubblicato tre libri: I ventitre giorni della città di Alba, La malora, Primavera di bellezza. Ma il destino un po' beffardo di essere un autore piú che altro postumo non è l'unico interesse di una vita cosí insolita nel mondo delle lettere italiane. Con questo libro, Piero Negri Scaglione non solo ricostruisce esattamente la cronologia della vita e delle opere di Fenoglio, ma delinea anche un vivido ritratto delle Langhe e di un'Italia remota. Tanto che, leggendo queste pagine, sembra di respirare la stessa atmosfera di un inedito romanzo dell'autore del Partigiano Johnny.Questa edizione contiene un nuovo capitolo sul ritrovamento, nel 2013, delle armi di Milton, una Colt M1911 A1 e una carabina M1, che erano state le armi di Beppe Fenoglio, una scoperta che potrebbe rischiarare quelle zone oscure che ancora resistono nella vita e nell'opera dello scrittore di Alba.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Questioni private di Piero Negri Scaglione in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Literatura e Crítica literaria. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
ISBN
9788858409626

1. Un Fenoglio integrale

Il 26 aprile 1796, il giorno 7 del mese Floreal dell’anno IV, seguendo la riva destra del Tanaro, il generale napoleonico Augereau entrò in città alla testa di duemila uomini, accolto in piazza del Duomo da una folta delegazione di cittadini e dall’albero della libertà innalzato in suo onore. Dalla direzione opposta, dalla valle del Belbo, lo raggiunse il generale La Harpe: assistiti dai francesi, i commissari della città di Alba costituirono la Municipalità e proclamarono la sovranità del popolo.
Tra quegli insorti, Beppe immaginava anche un suo antenato, ribelle e anticlericale come quasi tutti quelli del suo sangue, ideale punto di partenza per una saga familiare che progettava di scrivere. Ne parlò con suo cugino Sergio: dalla rivolta napoleonica fino alla generazione precedente la sua, i penultimi Fenoglio, avrebbe raccontato le storie di famiglia e attraverso queste le Langhe e la città di Alba. Di quel Fenoglio immaginario, naturalmente giacobino, suo cugino si ricorderà diversi anni dopo la morte di Beppe. Domanderà a uno storico locale, farà indagini d’archivio sui cinquantatre giorni di ribellione del 1796. Non troverà nulla. Non c’era alcun Fenoglio tra quelli che sulle Langhe s’infiammarono per gli ideali della rivoluzione francese, fino alla rivolta, alla delusione e al mesto rientro nei ranghi.
Beppe si sbagliava, dunque, ma non eccessivamente: quando arrivarono i francesi, il suo antenato Jacopo Amedeo Ravina, patriota e poeta, era ancora un bambino, e la sua storia incrociò quella dei Fenoglio solo diversi anni dopo quei fatti, quando sua sorella sposò Teobaldo Fenoglio, proprietario a Serravalle Langhe di una tessitura e di un’elegante palazzina.
A metà Ottocento, i Fenoglio e i Ravina erano famiglie benestanti in una terra, la Langa alta, che conosceva quasi solo miseria, e miseria vera. Famiglie importanti, soprattutto i Ravina, che nel paese di Gottasecca daranno il nome alla scuola e all’ospedale, e che nella discendenza conteranno anche un cardinale. A Jacopo Amedeo Ravina, Alba dedicherà una via del centro e Gottasecca un monumento in piazza: sarà consigliere di re Vittorio Emanuele I, autore dei Canti italici e poi esule in Spagna, a Londra, a Parigi. Tornerà in Italia, e poi in Piemonte, quando nel 1848 verrà eletto deputato al primo parlamento subalpino in quattro diversi collegi, tra i quali Alba e Torino. Progressista e cosmopolita, sarebbe certamente piaciuto al suo lontano discendente.
Nonna Ravina ha da Teobaldo Fenoglio quattro figli maschi, tra i quali Giuseppe, che sposa Luigia Gavarino, la cui famiglia gestisce una «censa», una tabaccheria, a Mombarcaro. Da loro, nel 1882 a Monforte, Bassa Langa, paese prima di eretici e poi di grandi vini, nasce Amilcare, il padre di Beppe, secondo di sei fratelli. Prima di lui è nato Teobaldo, dopo di lui vengono al mondo Virgilio, Ugo, Romolo e infine Alda. Gente umile, come le Langhe di quegli anni: gente che ha alle spalle una tradizione piú commerciale che contadina. Perfino il nome familiare sembra alludere al mestiere di chi, in epoca medievale, vende finocchi o semi di finocchio, che in antico piemontese si chiamavano fënúl.
I Fenoglio dei primi decenni del Novecento dell’uomo senza terra hanno quasi tutti l’ironia, l’arguzia, la capacità di rendere commedia ogni tragedia della vita. Sono, per piú d’un verso, una famiglia esemplare delle Langhe di quegli anni, o almeno cosí appariranno al loro discendente.
I vecchi Fenoglio, che stettero attorno alla culla di mio padre, tutti vestiti di lucido nero, col bicchiere in mano e sorridendo a bocca chiusa. Che sposarono le piú speciali donne delle langhe, avendone ognuno molti figli, almeno uno dei quali segnato. Cosí senza mestiere e senza religione, cosí imprudenti, cosí innamorati di sé.
Diario
Tra i sei fratelli Fenoglio, il piú coerente con la descrizione di Beppe è Romolo, figura picaresca che riesce a vivere senza mai lavorare, che porta con sé una ventata di «simpatia esplosiva»: i parenti ritroveranno qualcosa di lui nel protagonista di Ma il mio amore è Paco, il commerciante di bestiame («Un Fenoglio integrale») che perde tutto al gioco e, affacciato sul pozzo nel quale si sta per gettare, rinvia il suicidio per accettare l’offerta di un caffè.
Amilcare Fenoglio è stato alpino alla Prima guerra mondiale, quando ha già piú di trent’anni: l’età contribuisce a fargli guadagnare il grado di sergente e gli risparmia la vita di trincea. È un’esperienza fondamentale, che gli offre materia per infiniti racconti e spunto per riflessioni quasi sempre accolte dai figli con l’impazienza dei giovani. Dalla guerra, torna vagamente socialista. Un socialista turatiano, moderato, certo non un rivoluzionario. È, come quasi tutti i fratelli, convintamente laico, addirittura anticlericale. Negli anni in cui la breccia di Porta Pia è una ferita ancora aperta, in una terra, Alba come le Langhe, in cui i preti esercitano un ferreo controllo sociale, Amilcare Fenoglio è uno di quegli uomini che non mettono piede in chiesa. Neanche ai funerali. È un conversatore brillante, e ama parlare soprattutto di Torino prima della guerra grande. C’è andato con suo fratello Teobaldo, a cercare fortuna, o almeno un mestiere: hanno fatto i garzoni in una macelleria di via Nizza, importante arteria commerciale appena fuori dal centro.
Amilcare ricorderà per sempre quegli anni come un’età dell’oro, tra clienti dal gusto internazionale e donne bellissime, e rievocherà con gusto la folla di via Nizza, che a lui parrà degna di una metropoli, di una capitale. Ma poi torna nelle Langhe, e rimane in città, ad Alba: dopo la guerra riprende a lavorare in una macelleria di corso Savona, nel punto in cui la strada che porta in collina abbandona il centro storico e va verso il santuario della Moretta.
I Faccenda hanno un po’ di terra a Mombirone, nei pressi di Canale d’Alba, una vigna sulla quale il destino picchia con l’ostinazione di una piaga biblica: all’inizio del secolo, sette anni di grandine rendono la famiglia ancora piú povera e costringono i sei figli a fare presto i conti con la dura realtà del lavoro. Tornano sui campi anche quello che studia da prete e quello che si è diplomato maestro. Due, un maschio e una femmina, scelgono la vita religiosa, per morire poi di tubercolosi, mentre Margherita finisce con la sorella Maria a Marsiglia, operaia in una filanda per un marengo la settimana.
Margherita nasce il 18 novembre 1896, registrata in ritardo al municipio di Canale perché la neve impedisce per tre giorni a suo padre di uscire di casa. Monsú Faccenda ha una sorta di vivaio, commercia piantine di pesco a cinque soldi l’una, sua moglie vende filati nei mercati della zona: i nipoti la vedranno, anche in età avanzata, tenere un banchetto di «rista», di canapa, al mercato di Alba, al sabato.
Fin da piccola tutti riconoscono a Margherita Faccenda un carattere deciso e un forte senso della giustizia: abbandona la scuola in terza elementare, indignata per le preferenze che la maestra accorda alle bambine delle famiglie ricche. Qualche anno piú tardi, a Marsiglia, soffre come un sopruso l’obbligo di inviare a casa l’intera paga settimanale, e racconta con orgoglio che il padrone della filanda la vuole sempre in prima fila nello schieramento delle operaie per le visite delle autorità: è una bella ragazza di 16 anni che non vede l’ora di tornare a casa.
Finisce, invece, a fare la donna di servizio a Padova, a casa di un pretore. Si occupa di una bambina chiamata Fanny e si sente apprezzata: dirà poi che in quella casa ha imparato a vivere, scoperto uno stile, una signorilità che vagheggerà per sempre. Ma dopo i vent’anni torna finalmente ad Alba a fare lo stesso mestiere, presso una famiglia della buona borghesia imparentata con i Calissano, importante dinastia di produttori di vino e uomini politici.
Amilcare le si propone dall’alto del bancone della macelleria di corso Savona: le dice, in dialetto, qualcosa come «Signorina, mi piacerebbe rivederla». Piove, quel giorno fatale, lei agita l’ombrello, lo minaccia e se ne va. Ma le cose cambiano, se poche settimane dopo cominciano a incontrarsi al Rondò, dove ferma la linea pubblica da Canale.
È impossibile non voler bene a quell’uomo brillante, forse un po’ «lingera», come si dice ad Alba, un po’ ribaldo, però buono, mite. La guerra e la Spagnola hanno reso preziosi i maschi in età da matrimonio, ma Margherita Faccenda è attraente e ha il singolare privilegio di poter contare su quattro pretendenti. Prega Dio di illuminarla nella scelta. Sceglie Amilcare Fenoglio, forse proprio perché è la sua antitesi perfetta, forse perché, come dirà lei, le piace fisicamente, ha un lavoro e «porta bene l’età». Se lei è organizzata e concreta, pronta ad affrontare di petto ogni problema, lui è sentimentale e divertente, capace di sdrammatizzare con una battuta le situazioni piú complesse. Come quando, in Municipio, lei si rende improvvisamente conto che tra loro c’è una differenza di età di 14 anni, tre piú di quanti lui le ha lasciato credere. «Non ho mentito», si scusa lui, «quando mi ha chiesto se avevo già 35 anni e ho risposto che sí, li avevo già compiuti. È vero: li ho compiuti tre anni fa».
Due anni dopo la prima dichiarazione fatta dall’alto del bancone di macelleria, sono marito e moglie. È il dicembre del 1920.
Da subito, con Amilcare Fenoglio, Margherita Faccenda sposa anche il suo mestiere: per sempre e per tutti, da quel momento lei è Madama Milcare, e i figli scopriranno di chiamarsi Fenoglio solo a scuola, in prima elementare. Monsú Milcare e Madama Milcare rilevano una delle cinque macellerie albesi, quella di piazza Rossetti 1, compresa tra il Duomo e il Municipio, nel centro perfetto di Alba, reale e simbolico, a un passo dalla Cattedrale e a pochi metri dal Comune. Una macelleria piccola ma di classe, di marmo bianco, degna della clientela signorile del borgo piú antico e prestigioso della città.
Nel 1922, il 1° marzo, arriva il primo figlio: Giuseppe, che tutti, o quasi, chiameranno Beppe. L’anno seguente è quello di Walter. Entrambi vengono al mondo all’imbocco di corso Savona, nell’appartamento che i Fenoglio affittano dai Morra, proprietari dell’Albergo Langhe. Poco dopo, la famiglia si trasferisce in via Coppa, al 6, in una delle strade che portano alla piazza del Duomo, nella casa del fotografo Albesiano che dà su vicolo dell’Arco. I compagni di giochi di quei tempi ricordano Beppe come un bambino «buono, serio, triste e un po’ chiuso». Dicono anche che i genitori, e intendono la madre, sono molto severi con lui. Walter è piú vivace, Beppe piú riflessivo, Walter un «diavoletto» Beppe un «angioletto», e i litigi tra i due sono frequenti, precoci segni di un rapporto complesso, denso di sentimenti contrastanti, tutti molto forti.
Quando nasce Walter, nel 1923, Beppe viene affidato ai nonni Fenoglio, a Monchiero. Ha cominciato a camminare da una settimana, ed è già capace di pronunciare qualche parola. È stato svezzato piuttosto bruscamente all’età di cinque mesi, quando sua madre ha scoperto di essere nuovamente incinta.
Dopo pochi giorni, però, da Monchiero un cognato scrive a Margherita Fenoglio per chiederle di andare a riprendersi Beppe. Il piccolo rifiuta il cibo, piange ininterrottamente, si è coperto di misteriose croste: Madama Milcare è costretta a lasciarlo ancora dai nonni, ma non saprà mai perdonarselo. È questo trauma, dirà poi lei, è l’esperienza precoce dell’abbandono a segnare il destino del figlio maggiore e a spiegare quel carattere difficile, testardo, chiuso, e quell’inciampo della parola che si manifesterà qualche anno dopo. Non un balbettio, piuttosto un blocco improvviso che diventa evidente soprattutto in condizioni di forte emozione, di stress, oppure di scarsa consuetudine con gli interlocutori. Beppe che non riesce piú a parlare e Walter che lo incita («Forza Beppe, su»): è una scena che si ripete lungo tutta l’infanzia dei due Fenoglio. Presto, prestissimo, Margherita Fenoglio capisce che quel ragazzo sarà impegnativo. Fin dall’inizio, fin da quella separazione forzata dell’estate 1923, il rapporto con il figlio primogenito si sviluppa nel segno dell’apprensione.
Abitano per poco in via Coppa. Presto attraversano la piazza e si trasferiscono in piazza Rossetti 1, esattamente sopra la macelleria. L’appartamento, come il negozio, è piccolo e irregolare, ma centralissimo. Lí, nel febbraio 1933, undici anni dopo Beppe, dieci dopo Walter, nasce Marisa.
«Il nostro alloggio, situato sopra il negozio, non aveva vista sulla piazza perché stava scombinato su due livelli, uniti all’interno da una scaletta di legno. In tutto l’alloggio c’era un’unica stufa e un unico rubinetto, tutti e due in cucina. Le nostre camere, ghiacciaie d’inverno, fornaci d’estate, emergevano di poco dalla spiovenza dei tetti di altre case, pigiatissime alla nostra, e di cui non potevamo vedere gli abitanti. Guardando dalle finestre l’occhio si posava, ovunque volgesse, su torri, coppi e vecchi mattoni»: cosí Marisa descrive l’interno dell’abitazione familiare in un brano autobiografico del suo libro Casa Fenoglio. Un appartamento piccolo e irregolare, su piú livelli, con vista sul Municipio, le finestre delle camere da letto che gelano ai primi freddi e si sghiacciano solo con la primavera, la sala nella quale si svolge la vita familiare e quella sociale («Vi si tenevano i rapporti ufficiali, qualche pranzo che mia madre dava sempre avendo in mente un disegno preciso», scriverà Marisa Fenoglio), e nella quale, sono sempre parole di Marisa Fenoglio, «dopo la fine della guerra, quasi sempre di notte, ci scriveva mio fratello Beppe»: casa Fenoglio diviene, nei fatti e piú ancora nella memoria, il luogo degli affetti e del destino, eccezionale (o almeno insolita) come si dimostrerà la famiglia che l’abita.
Chiusa nei quattro caselli daziari, stretta nella cerchia dei viali che hanno sostituito le mura medievali, Alba è una cittadina di 14 mila abitanti al centro di un territorio (le colline delle Langhe verso Sud, quelle del Roero sulla riva opposta del fiume Tanaro) che vive di un’agricoltura povera ed estremamente frammentata. Nei sessanta anni compresi tra il 1871 e il 1931, la popolazione della zona diminuisce del 15 per cento, soprattutto a causa delle forti emigrazioni verso le Americhe, del Nord e piú ancora del Sud. È, quella della Langhe, un’economia di sussistenza, soprattutto nella Langa alta, al di là della linea della vite, dove poco o nulla cresce e manca quasi tutto, l’acqua, le strade, la corrente elettrica.
La città è immobile da secoli, la piazza del Duomo costruita sul Foro, il Duomo sui resti di un tempio forse anticamente dedicato ad Apollo, la via principale, via Maestra, che ricalca il Decumano romano. Da decenni Alba prospera sui mercati del sabato, distribuiti sulle piazze del centro, occasione di commercio per i contadini e di incontro per tutti: i maggiori datori di lavoro sono la distilleria, la fabbrica di chiodi, lo stabilimento enologico Calissano e le quattro fornaci che producono piú di cinque milioni di mattoni l’anno. Subito dopo la Prima guerra mondiale viene chiuso il tribunale, garanzia di prestigio e posti di lavoro (verrà riaperto negli anni Trenta), e nei primi anni Venti si abolisce anche la sottoprefettura, ultima traccia del periodo glorioso in cui Alba è stata capoluogo di provincia. Nel 1933 si arriva a chiudere il Teatro Sociale, costruito ottanta anni prima e già pericolante. In città si sparge la voce che verrà presto soppresso anche il regio liceo-ginnasio Govone, a sancire un declino politico-culturale che pare irrimediabile. La città si sente trascurata dal potere centrale. Negli anni Dieci la giunta comunale protesta per la scarsa efficienza dei collegamenti ferroviari e nel documento che invia al Governo espone con amarezza i pochi motivi di vanto della città: «Se ad Alba abbiamo qualcosa lo dobbiamo a noi stessi: la ferrovia, il Liceo, la Scuola Enologica, la caserma militare sono sorti a spese del Comune».
L’economia non dà segnali diversi: di industrie non ce ne sono e non ne nascono. Non esiste una classe operaia, il tessuto sociale è fatto di commercianti, professionisti, impiegati, quello delle Langhe di piccolissimi proprietari e mezzadri. Non vi sono tracce, perciò, di lotte sociali e sindacali, di scioperi o scontri, nemmeno nel biennio rosso 1919-20, che arriva e se ne va senza increspature sulla superficie di una assoluta pace sociale. È impossibile immaginare per Alba un futuro diverso dall’ultimo mezzo secolo di declino. La Chiesa continua a raccogliere il consenso e a gestirlo: nel 1919 il neonato Partito popolare, sostenuto apertamente dal clero e dal settimanale diocesano «Gazzetta d’Alba», manda in Parlamento il giovane avvocato Teodoro Bubbio e batte tutti già alle prime elezioni politiche a cui partecipa.
Fino al 1925, quando il fascismo si impone con la forza anche ad Alba, il Partito popolare locale vince tutte le elezioni. Il Partito fascista non ha radici profonde, e non riesce a conquistare, se non in minima parte, la vecchia classe dirigente albese né a crearne una nuova. I suoi esponenti principali sono ex liberali ed ex popolari della corrente clerico-moderata, e il mondo cattolico gli sarà sempre estraneo, se non ostile.
Ad Alba tra il 1919 e il 1921 i fascisti sono 2. A Bra se ne contano 6, 14 a Cuneo, 16 a Busca, 24 a Vinadio. Nel settembre 1922 «Gazzetta d’Alba» scrive, parlando del fascismo: «È lo sforzo di pochi che vogliono a ogni costo conquistare il potere e stabilire la dittatura oligarchica. Noi ci troviamo di fronte non delle idee, ma dei soldati con bastoni e rivoltelle». Ci sono violenze, scazzottate, anche rivoltellate. Ma poche settimane dopo la Marcia su Roma, quando si presenta alla Camera il primo governo Mussolini, al quale partecipano anche i popolari, l’albese Teodoro Bubbio, il figlio del popolo che viene dalla malfamata via Macrino, è uno dei due deputati del suo partito (su 106) a non votare la fiducia.
Forse, nella sua decisione, conta quanto è avvenuto qualche giorno prima ad Alba, quando squadre fasciste, composte anche da militanti giunti da Asti e dal Monferrato, occupano il Consiglio comunale per costringerlo alle dimissioni: guidati dal sindaco Giovanni Vico e ispirati da Bubbio, i consiglieri lasciano il palazzo comunale e si riuniscono a casa di Vico, in via Mazzini. Al motto di «San Lorenzo e libertà», resistono e vincono: gli occupanti, guidati dall’industriale vinicolo Giovanni Calissano e sconfessati dallo stesso Mussolini, che con un fonogramma gli chiede di ritirarsi, se ne devono andare senza ottenere alcun risultato significativo. Conclusa l’occupazione del Comune, Alba è retta per tre anni da un’alleanza (nei fatti, ant...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Questioni private
  4. 0. The End
  5. 1. Un Fenoglio integrale
  6. 2. Oh, to be at School Now
  7. 3. Dream-Boy
  8. 4. Quell’incomparabile inverno
  9. 5. In quale alto luogo ti trovi
  10. 6. Racconti barbari
  11. 7. Consummatum Est!
  12. 8. L’uomo al muro
  13. 9. Il gorgo
  14. 10. Sportmanship
  15. 11. Lu lass là
  16. 12. Bisogna essere disponibili
  17. Epilogo. Cinquant’anni dopo
  18. Bibliografia
  19. Appunti privati
  20. Elenco dei nomi e dei luoghi
  21. Il libro
  22. L’autore
  23. Dello stesso autore
  24. Copyright