Nuova storia della filosofia occidentale. Vol. III
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Nuova storia della filosofia occidentale. Vol. III

Filosofia moderna

  1. 400 pagine
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Nuova storia della filosofia occidentale. Vol. III

Filosofia moderna

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Come nei volumi precedenti, a una prima parte in cui l'Autore racconta in tre capitoli la vita dei maggiori pensatori e l'ambiente intellettuale in cui essi erano immersi, fa seguito una seconda sezione, composta di sette capitoli, nei quali la filosofia moderna viene analizzata nelle sue principali articolazioni disciplinari: conoscenza, natura dell'universo fisico, metafisica, mente e anima, natura e contenuto della morale, filosofia politica e infine teologia filosofica. Questo libro offre, oltre a una narrazione avvincente, un'indispensabile guida per chiunque abbia interesse a capire come è nata e come si è sviluppata la comprensione che l'uomo moderno ha saputo costruire di se stesso e del mondo.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
ISBN
9788858411704

NUOVA STORIA DELLA FILOSOFIA OCCIDENTALE
III. FILOSOFIA MODERNA

Capitolo primo
La filosofia nel XVI secolo

Umanesimo e Riforma.
Il secondo decennio del Cinquecento può considerarsi a buon diritto come il culmine del Rinascimento. In Vaticano, mentre Raffaello stava affrescando le pareti degli appartamenti papali, Michelangelo ricopriva dei suoi dipinti la volta della Cappella Sistina. A Firenze la famiglia dei Medici, concluso l’esilio iniziato all’epoca del riformatore Savonarola, tornò al potere e alla ricostruzione della propria clientela. Uno dei funzionari che aveva servito la precedente repubblica, Niccolò Machiavelli, ora agli arresti domiciliari, utilizzò il suo ozio forzato per scrivere un classico della filosofia politica, Il principe: un testo che si proponeva di offrire ai governanti dei suggerimenti piuttosto schietti su come acquisire e mantenere il potere. L’arte e le idee del Rinascimento viaggiarono verso nord, fino a raggiungere la Germania e l’Inghilterra. Uno dei collaboratori di Michelangelo progettò la tomba di Enrico VII nell’abbazia di Westminster, mentre nei primi anni del regno del figlio di questi, Enrico VIII, l’olandese Desiderio Erasmo da Rotterdam (1466 o 1469 - 1536), il piú rinomato studioso dell’epoca, insegnava a Cambridge. Erasmo era spesso ospite della casa di Tommaso Moro (1478-1535), un giurista in procinto di iniziare una carriera politica che in breve tempo lo avrebbe reso l’uomo piú potente d’Inghilterra, secondo solo al re.
Erasmo, Moro e i loro sodali propugnavano nell’Europa del Nord le idee dell’umanesimo, radicatesi in Italia nel corso del secolo precedente. A quell’epoca il termine «umanesimo» non indicava il desiderio di sostituire i valori religiosi con valori umani e secolari: Erasmo era un prete che scriveva opere di argomento devoto capaci di riscuotere grande successo, e Moro piú tardi sarebbe stato martirizzato a causa delle sue convinzioni religiose. Gli umanisti, piuttosto, erano persone che credevano nel valore educativo delle «umane lettere» (literae humaniores) dei classici greci e latini. Studiavano e imitavano lo stile degli autori classici, dei quali si era recentemente riscoperto un gran numero di testi – che si andavano man mano pubblicando grazie anche allo sviluppo dell’arte della stampa di recente invenzione. Erano convinti che la loro erudizione, applicata agli antichi testi pagani, avrebbe restituito all’Europa le arti e le scienze a lungo trascurate; mentre applicata alla Bibbia e agli antichi scrittori ecclesiastici, essa avrebbe aiutato la cristianità a ottenere una comprensione piú pura e autentica della verità cristiana.
Gli umanisti attribuivano molta piú importanza alla grammatica, alla filologia e alla retorica che allo studio specialistico della filosofia, nel quale invece si erano cimentati i pensatori nel corso del Medioevo. Disprezzavano il latino che era servito da lingua franca nelle università medievali, assai distante per stile dalle opere di Cicerone e di Livio. Erasmo era rimasto deluso dagli studi che aveva fatto alla Sorbona, mentre Moro si faceva beffe della logica che gli era stata insegnata a Oxford. In ambito filosofico, entrambi guardavano indietro, a Platone, piuttosto che ad Aristotele e ai suoi numerosi ammiratori medievali.
Nel 1516 Moro rese omaggio a Platone pubblicando un progetto immaginario di uno stato ideale. Nella sua Utopia, come nella Repubblica platonica, la proprietà costituisce un bene comune e le donne prestano servizio nell’esercito a fianco degli uomini. Moro, che scriveva in un’epoca di esplorazione e di scoperta, finse che lo stato da lui presentato esistesse realmente al di là dell’oceano. Al pari di Platone, utilizzò la descrizione di una nazione immaginaria come strumento per criticare la società contemporanea e per riflettere sui temi della filosofia politica1.
Erasmo era piú scettico circa l’opportunità di servirsi di Platone come guida in materia di politica. Nel suo Elogio della follia, uno scritto di tono canzonatorio che egli aveva dedicato a Moro nel 1511, Erasmo si fa beffe dell’affermazione platonica secondo cui lo stato piú felice sarebbe quello governato da re-filosofi. La storia – dice Erasmo – ci insegna «che i capi di una repubblica non furono mai piú pestiferi che quando il governo incappò in qualche filosofastro» (EF 24. 71). Quando tuttavia pubblicò la sua Educazione del principe cristiano, nello stesso anno dell’Utopia di Moro, Erasmo non fece pressoché altro che limitarsi a ripetere idee già presenti in Platone e in Aristotele. Per questa ragione il suo trattato di filosofia politica non raggiunse mai la fama di quelli di Machiavelli e di Moro.
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Ritratto di Erasmo da Rotterdam eseguito da Hans Holbein il Giovane.
Piú che alla filosofia, Erasmo era interessato all’indagine sulla divinità, e anche in questo ambito aveva piú a cuore gli studi biblici che la teologia speculativa. Gli scolastici come Scoto e Ockham, lamentava, avevano semplicemente ingombrato di rovi i sentieri spianati dai pensatori precedenti. Tra i grandi maestri cristiani del passato il suo prediletto era san Girolamo, che aveva tradotto la Bibbia dall’ebraico e dal greco in latino. Erasmo lavorò per alcuni anni a glossare la versione latina del Nuovo Testamento; poi decise di produrne una in proprio, sempre in latino, per correggere le alterazioni penetrate nel testo comunemente accettato (la cosiddetta «Vulgata») e, ove necessario, perfezionare la stessa versione di Girolamo. Pubblicò la sua nuova versione latina nel 1516, corredandola delle proprie annotazioni. Quasi a guisa di appendice vi annetté inoltre un testo del Nuovo Testamento in greco – il primo a essere mai dato alle stampe. In nome della fedeltà all’originale greco, nella sua nuova traduzione latina egli non esitò a modificare anche testi tra i piú solenni e cari ai fedeli. Le prime parole del quarto Vangelo, che nella Vulgata suonavano In principio erat Verbum, divennero In principio erat Sermo: in principio non era «il Verbo», bensí «il Discorso».
La traduzione latina di Erasmo non fu generalmente adottata, anche se alcuni dei passi in essa contenuti si possono leggere tutt’oggi sulle vetrate della cappella del King’s College, a Cambridge. Il testo greco da lui pubblicato serví invece da base per le grandi traduzioni in volgare dei Vangeli condotte nel XVI secolo, a cominciare dalla monumentale versione in tedesco pubblicata nel 1522 da Martin Lutero (1483-1546).
Lutero era un monaco agostiniano, e tale era stato anche Erasmo finché una bolla papale non lo aveva dispensato dagli impegni monastici. Al pari di Erasmo, Lutero si era dedicato allo studio approfondito della Lettera ai Romani di san Paolo. Ciò lo aveva condotto a mettere radicalmente in dubbio i principî morali del cattolicesimo rinascimentale. L’anno successivo alla pubblicazione del Nuovo Testamento di Erasmo, Lutero promulgò presso l’Università di Wittenberg una pubblica condanna degli abusi dell’autorità papale, rivolta in particolare contro la scandalosa offerta di indulgenza (ovvero di remissione delle punizioni dovute al peccato) in cambio di contributi per la costruzione della nuova e maestosa chiesa di San Pietro a Roma.
Anche Erasmo e Moro erano preoccupati per la corruzione che affliggeva gran parte dell’alto clero, ed entrambi l’avevano denunciata attraverso la stampa: Erasmo in maniera pungente, in una satira su papa Giulio II2; Moro con ironica circospezione, nell’Utopia. Tutti e due però furono spiazzati quando Lutero si spinse oltre, condannando gran parte del sistema cattolico dei sacramenti, e insegnando che l’unica cosa necessaria alla salvezza è la fede, ossia confidare nei meriti di Cristo. Nel 1520 papa Leone X condannò quarantuno articoli tra quelli professati da Lutero, e dopo che questi ebbe bruciato la bolla di condanna papale procedette a scomunicarlo. Re Enrico VIII, in parte con l’ausilio di Moro, pubblicò la Difesa dei sette sacramenti, che gli fece guadagnare il titolo di «difensore della fede», conferitogli dal papa stesso.
Erasmo tentò inutilmente di smorzare i toni della controversia. Cercò dunque di convincere Lutero a moderare il suo linguaggio e a sottoporre le sue opinioni al giudizio di una commissione imparziale di studiosi. Sull’altro fronte, espresse dubbi sull’autentico valore della bolla papale di condanna, e convinse l’imperatore Carlo V a concedere udienza a Lutero alla Dieta di Worms, nel 1521. Ma Lutero rifiutò di ritrattare, e venne pertanto bandito dall’impero. Papa Leone morí, e gli succedette un olandese, compagno di studi di Erasmo, che assunse il nome di Adriano VI. Il nuovo papa esortò Erasmo a impugnare la penna contro i riformatori. Questi accettò, seppur con molta riluttanza; ma il suo libro contro Lutero non apparve che nel 1524, quando papa Adriano era ormai defunto.
Peccato, grazia e libertà.
Il campo di battaglia che Erasmo scelse per il confronto furono le idee di Lutero in materia di libero arbitrio. Il tema era stato oggetto di una delle novantacinque tesi affisse alla porta della cattedrale di Wittenberg, nel 15173. Tra le proposizioni condannate da Leone X vi era quella che recitava: «Dopo il peccato il libero arbitrio è solo una vuota accezione» (DB, 1486). In risposta, Lutero rafforzò la propria asserzione: «Il libero arbitrio è veramente una finzione e un’etichetta senza realtà, poiché non è in potere dell’uomo pianificare il bene o il male» (WA VII, 144).
Nel suo De libero arbitrio Erasmo raccoglie una mole di testi provenienti dall’Antico e dal Nuovo Testamento, dai dottori della Chiesa e dai decreti, allo scopo di mostrare che gli esseri umani possiedono appunto libertà di arbitrio. L’argomento cui ricorre insistentemente è quello secondo cui tutte le esortazioni, le promesse, gli ordini, le minacce, i rimproveri e le maledizioni contenuti nelle Scritture perderebbero completamente di significato, qualora le azioni buone e cattive fossero determinate dalla necessità anziché dalla libertà di scegliere. Le questioni di esegesi biblica dominano tanto il libro di Erasmo quanto la risposta di Lutero, assai piú prolissa, intitolata De servo arbitrio.
Da un punto di vista filosofico, Erasmo non è particolarmente sottile né originale. Si rifà al dialogo di Valla sul libero arbitrio, senza peraltro perfezionarlo. Ripete luoghi comuni che avevano popolato secoli di dibattiti scolastici, e che però ora costituivano risposte inadeguate al problema di come riconciliare prescienza divina e libertà umana. Ad esempio, Erasmo insiste sul fatto che anche gli uomini conoscono molte cose che accadranno nel futuro, come le eclissi di sole; ma una teoria del libero arbitrio che non ci rende piú liberi di quanto lo siano le stelle nel loro corso non costituisce tutto sommato una risposta molto efficace a Lutero. Erasmo però è ansioso di evitare complicazioni filosofiche. Indagare se la prescienza divina sia contingente o necessaria, come facevano gli scolastici, è un esempio di sacrilega curiosità.
Pur non essendo un ammiratore degli scolastici, agli occhi di Lutero questo atteggiamento era a dir poco stravagante. «Se, come dici, è una inutile e sacrilega curiosità», si chiede dunque, «che cosa mai sarà religioso? Che cosa importante? Che cosa utile a conoscersi?» (WA XVIII, 610; LOS VI, 89). Dio, sostiene Lutero, non prevede niente in modo contingente. Egli «prevede, prestabilisce e compie ogni cosa con immutabile, eterna e infallibile volontà. Il libero arbitrio è completamente abbattuto da questo fulmine» (WA XVIII, 615; LOS VI, 95).
Lutero fa propria l’opinione che il Concilio di Costanza aveva attribuito a Wyclif: tutto accade per necessità. Egli peraltro distingue due sensi del termine «necessità». La volontà umana è soggetta alla «necessità di immutabilità»: non ha il potere di distogliersi dal proprio innato desiderio del male. Non è però soggetta a un altro tipo di necessità, la coazione: un essere umano privo della grazia fa dunque il male spontaneamente e volontariamente. La volontà umana è come una bestia da soma: se Dio la monta, essa vuole e va dove Dio vuole che voglia e vada; se invece a montarla è Satana, essa va dove vuole Satana. Essa non è però libera di scegliere il proprio cavaliere.
Lutero preferisce abbandonare completamente il termine «libero arbitrio»; altri scrittori, prima e dopo di lui, hanno ritenuto che la spontaneità – ammessa dallo stesso Lutero – sia peraltro l’unico possibile significato genuino di quell’espressione4. Lutero mirava principalmente a negare il libero arbitrio nelle questioni decisive tra salvezza e dannazione. In altri casi egli sembra ammettere la possibilità di un’autentica scelta tra progetti d’azione alternativi. Gli esseri umani non possiedono il libero arbitrio in relazione alle cose superiori, bensí relativamente a quelle inferiori. Il peccatore, ad esempio, può scegliere tra un gran numero di peccati (WA XVIII, 638; LOS VI, 128).
La Bibbia, come Erasmo aveva ampiamente mostrato, contiene numerosi passi che implicano la libertà delle scelte umane, ma anche molti altri in cui si proclama che il destino degli uomini è determinato da Dio. Nel corso dei secoli i teologi scolastici avevano cercato di riconciliare queste affermazioni contraddittorie, operando attente distinzioni. «Si è faticato e si è fatto tanto per scusare la bontà di Dio e accusare la volontà dell’uomo; e a tale proposito si sono inventate le distinzioni tra la volontà ordinata e la volontà assoluta di Dio, tra la necessità condizionale e la necessità assoluta, e molte altre cose simili. Ma con tutto ciò non si è ottenuto altro se non di ingannare gli ignoranti con la vacuità delle parole» (WA XVIII, 719; LOS VI, 288-89). Secondo Lutero non dovremmo perdere tempo a cercare di risolvere le contraddizioni tra i vari testi biblici; dovremmo invece spingerci all’estremo: negare completamente il libero arbitrio e attribuire tutto a Dio.
L’avversione per le sottigliezze della scolastica non era un tratto peculiare del solo Lutero: anche Erasmo e Moro la condividevano. Moro entrò a propria volta nel dibattito sul libero arbitrio attraverso la controversia che lo oppose a un ammiratore inglese di Lutero, il traduttore della Bibbia William Tyndale. Per controbattere al determinismo luterano, Moro ricorre a una strategia che risale alle discussioni della filosofia stoica riguardanti il fato:
Uno della loro setta ricevette pan per focaccia quando, nell’Almayne, dopo aver rapinato un uomo, fu condotto di fronte al giudice e non negò l’azione, ma disse che era suo destino compierla, e che quindi non potevano incolparlo; usando la sua stessa dottrina gli risposero che se rubare fosse stato il suo destino, e se pertanto dovevano scusarlo, allora il loro destino era impiccarlo, e quindi anche lui doveva ritenerli scusati allo stesso modo (DH 10).
Lutero rifiuterebbe senz’altro l’affermazione secondo cui se il determinismo è vero allora tutto è scusabile, dacché egli credeva che Dio punisse giustamente i peccatori che non potevano fare altro che peccare.
Da un punto di vista filosofico, questi dibattiti su libertà e determinismo del primo periodo della Riforma non fanno altro che ribadire argomenti che, nella filosofia antica e medievale, già costituivano luoghi comuni. Essi comunque mettono in risalto il lato negativo dell’educazione umanista. I dibattiti scolastici, benché talvolta aridi, di norma erano stati sobri e civili. Tommaso d’Aquino, ad esempio, si preoccupava di fornire sempre la miglior interpretazione possibile delle tesi di coloro che dissentivano da lui. Erasmo, in qualche misura, condivide con Tommaso questo spirito irenico; Moro e Lutero invece si attaccano a vicenda con accanimento, e l’elegante latino con cui ta...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Nuova storia della filosofia occidentale. Vol.III
  3. Elenco delle illustrazioni
  4. Nota del curatore
  5. Introduzione
  6. Carta geografica dei luoghi della filosofia moderna
  7. NUOVA STORIA DELLA FILOSOFIA OCCIDENTALE - III. FILOSOFIA MODERNA
  8. Appendice
  9. Il libro
  10. L’autore
  11. Dello stesso autore
  12. Copyright