Scuote l'anima mia Eros
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Scuote l'anima mia Eros

  1. 136 pagine
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Scuote l'anima mia Eros

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Scuote l'anima mia Eros è il racconto di uno scontro che avviene in ogni attimo della nostra vita tra le passioni e la ragione; il racconto dell'innocenza perduta, delle trasgressioni, della brama egoistica del potere e la generosità verso gli altri, dell'amore romantico e di quello libertino. Il protagonista di questa storia fatta di cadute e di vittorie è Eros, signore degli uomini e degli dèi, fonte inesausta di tutti i desideri.
Con una riflessione che abbraccia la musica e la letteratura, la religione e la storia, Eugenio Scalfari, in questo suo libro piú intimo e appassionato, esplora le declinazioni del desiderio d'amore e di potere, schiudendo le porte della sua vita emotiva e accompagnando il lettore in un viaggio nei luoghi dell'anima, alla scoperta di quella «curvatura erotica dell'essere» che contraddistingue la specificità della condizione umana.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
ISBN
9788858409916

L’amore andaluso

Il finale lo dedico ad un poeta che ha conosciuto Eros di faccia e non di profilo. Mi sembra la giusta conclusione d’un libro che ha per titolo quel verso di Saffo che tutti ci riguarda e tutti ci ha coinvolti.
Morí fucilato una mattina d’agosto del 1936 a Fuente Grande, dalle parti di Granada. Non sono molti che oggi leggono le sue canzoni, le sue ballate, il suo Cante Jondo e il suo Romancero Gitano. È stato un buon poeta, dicono con l’aria d’un riconoscimento dovuto ad una poetica già fuori tempo, ad appena settant’anni dalla sua morte.
Io non voglio qui smentire questa sufficienza data a denti stretti, dal bordo d’un secolo ancora assai scarso di poesia. Non voglio discutere se Federico García Lorca sia stato un grande poeta.
Voglio solo dire che la sua è stata l’ultima autentica testimonianza della potenza, della tenerezza, del languore, della melanconia, della lussuria e del sentimento di morte, di Eros, «torbido, spietato, arso di demenza».
La poesia di tutti i tempi e in tutto il mondo ha celebrato il sentimento amoroso filtrandolo con l’ideale, purificandolo con la memoria, brandendolo a simbolo di bellezza e di purezza, ma quelli che si sono abbandonati alla furia delle sue carezze e della sua pena sono pochi e sta in questo la loro grandezza. Saffo, coronata di viole, ha reso questa testimonianza. Shakespeare, Baudelaire, Beethoven, Chopin.
Lorca viene per ultimo e chiude questo esiguo corteo.
Non faccio confronti tra loro, sarebbe ridicolo oltre che impossibile. Eros ha celebrato le sue epifanie attraverso la loro fantasia e le loro passioni. Le ha messe a durissima prova perché non si torna indenni da quelle esperienze ma si ottiene il dono di esprimere poesia al piú alto livello che ciascuno può raggiungere.
Gli istinti sono natura ed anche Eros, il loro principe, è natura. Natura naturante, diceva Spinoza; natura in divenire, natura trasgressiva. Non è dunque un caso se l’esiguo corteo si apre e si chiude con due omosessuali. Si potrebbe aggiungere Auden e la sfilata sarebbe completa.
Lorca ebbe fin da giovanissimo un’ossessione: il presentimento della morte. Ne parla di continuo, non c’è componimento poetico in cui quell’immagine e quella parola non compaiano.
Una delle fascinazioni della sua poesia è proprio nel binomio vita-morte, anzi morte-vita. Aveva capito che la morte è un atto di vita perché dà senso alla vita e ne guida l’intero percorso.
Noi commettiamo spesso l’errore di non cogliere il significato di questo percorso che ha una direzione esattamente inversa alla scansione degli orologi. Il senso della vita comincia dalla fine e risale verso l’inizio. Federico García l’aveva capito ed è quello il fascino delle sue canzoni.
Un altro fascino è la colorazione del linguaggio. Non è un poeta che scriva in bianco e nero, scrive con tutti i colori dell’arcobaleno, scrive in azzurro, in rosso fiamma, in verde, in indaco, in rosa, in giallo, in turchino, in ogni verso e in ogni immagine. «Verde que te quiero verde», i gigli e le rose, il nero delle mantiglie, il rosso del sangue, il viola della cancrena, l’indaco della melanconia.
La sua poesia è tutta di cose e di persone. Di baci, di seni, di cosce di donna, di torso di maschi ma anche di passeri, di pioppi, di aghi di pino, di sole e di neve. E di caproni, di vacche mansuete e di tori irruenti.
Il nero toro di Spagna è un richiamo costante, icona d’un popolo di contadini e di toreri, di gitani, di spade e di banderillas.
Qualcuno dei suoi critici ha scritto che la sua identificazione tra gitani e Andalusia è sbagliata. Non credo affatto che sia sbagliata. È poetica. Coglie la doppia radice del contadino di tutti i luoghi e di tutti i tempi: è fiero, il contadino, geloso, ospitale, silenzioso, triste; un po’ idalgo e un po’ bandito.
Le varie andalusie erano ai suoi tempi ancora terra contadina come le andalusie di tutto il mondo. Ora sono terre di mercanti e di impiegati dello Stato, i loro dialetti si sono imbastarditi. Un tempo nel Sud dei paesi latini la parlata dialettale era scandita in esametri.
I gitani di Lorca hanno sangue zingaro, arabo, sefardita e spagnolo tra Cordova e Granada, tra Siviglia e Málaga, tra Toledo e Cádiz. Discendono dai cavalieri palatini di Roncisvalle e dai cavalieri berberi di Cordova, in una mistura che tocca il culmine poetico nel personaggio maschile di Antoñito el Camborio e in quello femminile della «moglie infedele».
La sintesi di questa mistura è il maschio dominatore e la femmina che lo contrasta con le movenze del ballo flamenco, tacchi che ritmano l’orgoglio di Spagna e visi alteri che rifiutano sudditanze amorose.
«Io me la portai al fiume
credendo che fosse ragazza
e invece aveva marito…
Passati i rovi di more
i giunchi e i biancospini,
sotto il suo cespuglio di capelli
ho fatto una buca nel limo.
Io mi sono tolto la cravatta,
lei si è tolta il vestito.
Io il cinturone con la pistola,
lei i suoi quattro corpetti…
Le sue cosce mi sfuggivano
come pesci spaventati,
la metà pesci di fuoco,
la metà pesci di freddo.
Quella notte ho percorso
il migliore dei sentieri
in sella a una puledra di madreperla
senza briglie e senza staffe…
Sporca di baci e di sabbia
me la portai indietro dal fiume…
Mi sono comportato da quello che sono,
come un vero gitano.
Le ho regalato un cesto grande
per il cucito di raso giallo
e non mi sono voluto innamorare
perché pur avendo marito
mi disse che era ragazza».
Ma c’è anche la notte del pianto e dell’amore insonne:
«Notte sopra noi due con luna piena
io mi sono messo a piangere e tu ridevi,
il tuo disprezzo era un dio, i miei lamenti
attimi e colombe alla catena…»
C’è l’amore in attesa di un «sí» che non arriva:
«¡Ay qué trabajo me cuesta
quererte como te quiero!
Por tu amor me duele el aire,
el corazón y el sombrero».
La tristezza è un’altra cosa. La sua è una tristezza esistenziale che non ha nulla da spartire con l’amore. Eros, lo sappiamo, è anche tristezza quando è solo.
Lorca ha due icone: il toro per la forza, la chitarra per la tristezza.
«Comincia il pianto
della chitarra.
Si rompono i calici
dell’alba.
Comincia il pianto
della chitarra.
È inutile
calmarla.
È impossibile
calmarla.
Piange monotona
come piange l’acqua
come piange il vento
sulla neve.
È impossibile
calmarla.
Piange per cose
lontane.
Sabbia del Sud
rovente
che chiede camelie bianche.
Piange freccia senza bersaglio,
la sera senza domani,
e il primo uccello morto sul ramo.
Oh chitarra!
Cuore trafitto
da cinque spade».
Quando lessi la prima volta La chitarra provai anch’io una tristezza che non poteva avere consolazione.
Avevo vent’anni. C’eravamo rifugiati in Calabria, i miei genitori ed io, dopo otto mesi di fame e di paura a Roma, con i tedeschi e i fascisti che battevano la città in cerca di giovani da spedire nei campi nazisti.
Era estate. La nostra casa era a cento metri dal mare, una spiaggia di sabbia fine che entrava nell’acqua e continuava fino a cento metri da riva. A sinistra, in lontananza, si vedeva la cima di Stromboli e un pennacchio di fumo che saliva fino alle nuvole bianche. La sera stelle lucenti e mare d’argento con le lampare al largo che gettavano le reti.
I profumi del Sud la notte t’inebriano di sogni e di melanconie inconcrete. C’erano due lucerne sul balcone affacciato sul mare. Lessi: «Piange per cose | lontane. | Sabbia del Sud | ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Scuote l'anima mia Eros
  3. La caverna di Psiche
  4. Il potere è triste
  5. La grazia e l’allegria
  6. Sentimento del tempo
  7. L’animale infelice
  8. Entra in scena Eros
  9. L’amore romantico
  10. Le trasgressioni
  11. Le rose di Dafne
  12. La passione del Nazareno
  13. La Sonata di Beethoven
  14. Il triangolo sentimentale
  15. L’amore andaluso
  16. Ringraziamenti.
  17. Il libro
  18. L’autore
  19. Dello stesso autore
  20. Copyright