Metafisica
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Metafisica

Concetto e problemi

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Metafisica

Concetto e problemi

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Questo libro, che raccoglie le lezioni di Adorno all'Università di Francoforte nel semestre estivo del 1965, si connette strettamente alla sua opera maggiore, la Dialettica negativa, pubblicata nel 1966. L'ultima parte del corso ripercorre infatti, nella forma chiara e colloquiale che caratterizza l'esposizione didattica adorniana, i temi che saranno svolti, a un livello di maggiore complessità stilistica ed espressiva, in quella parte della Dialettica che s'intitola Meditazioni sulla metafisica. Nel corso sulla metafisica Adorno affronta le questioni ultime alle quali la filosofia non può sottrarsi: la difficoltà di pensare dopo Auschwitz, il modo in cui questo evento trasforma l'interrogazione sul senso e rende obsoleta ogni filosofia affermativa, le domande radicali sulla morte e sulla finitezza del singolo, la natura paradossale della trascendenza, che non si lascia né affermare né negare. Nelle lezioni qui pubblicate, però, emerge anche un altro aspetto della riflessione adorniana, sconosciuto e sorprendente: il confronto diretto e puntuale con il pensiero di Aristotele, inteso come l'originario momento fondativo della tradizione metafisica dell'Occidente.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
ISBN
9788858409992

Metafisica

Prima lezione
11 maggio 1965

Signore e Signori, ho annunciato «Metafisica» con il sottotitolo «Concetto e problemi»: questo sottotitolo non è stato scelto alla leggera – proprio perché nella metafisica già il suo concetto presenta notevoli difficoltà. E, per anticiparvelo subito: è mia intenzione in primo luogo parlarvi del concetto di metafisica e poi, e non potrebbe essere altrimenti, illustrarvi in modo paradigmatico singoli problemi metafisici, nel contesto in cui questi problemi mi si pongono nel mio personale lavoro dialettico1. Si può certo dire che il concetto di metafisica è lo scandalo della filosofia. Infatti, da una parte, la metafisica è ciò per cui in fondo esiste la filosofia; quindi, se eccezionalmente devo adottare il luogo comune filosofico (solo per poi forse sostituirlo con qualcos’altro), la metafisica tratta delle cosiddette cose ultime per cui in fondo gli uomini hanno cominciato a filosofare. D’altra parte, però, alla metafisica succede che è quanto mai difficile non solo poter definire che cosa sia veramente il suo oggetto; non soltanto nel senso che l’esistenza di questo oggetto è problematica ed è essa stessa il problema cardinale della metafisica, ma anche nel senso che è molto difficile anche soltanto dire che cosa sia veramente la metafisica, indipendentemente dall’essere o non-essere del suo oggetto. Oggi in quasi tutto il mondo non tedesco la metafisica viene usata addirittura quasi come un insulto, nello stesso senso di vana speculazione, di semplice follia mentale e chissà di quali altri vizi intellettuali.
Quindi non solo è difficile, diciamo, anticiparvi che cosa sia la metafisica, come in fondo la conoscete dalle singole scienze in quanto fate parte di quel mondo; ma, come ho già detto, è molto difficile anche solo definire in qualche modo il suo oggetto. Ricordo la mia prima esperienza personale, quando da giovane liceale mi imbattei nella lettura di Nietzsche, che picchia di santa ragione sulla metafisica, come tutti sicuramente sapete, per quanto vi sia familiare o in qualche modo conosciate Nietzsche; e come mi risultava difficile allora anche solo in certo qual modo orientarmi sul concetto di metafisica. E quando perciò chiesi consiglio a uno molto piú grande di me, mi fu risposto che non potevo ancora capire la cosa, ma che un giorno l’avrei capita. La risposta alla domanda sull’oggetto della metafisica fu quindi accantonata. Questa è una casualità biografica, ma se poi si osservano gli stessi metafisici o le stesse filosofie, a volte non si può resistere al sospetto che in loro le cose non vadano tanto diversamente da ciò che aveva espresso quel consiglio: cioè che in primo luogo anche tutto l’enorme sforzo del lavoro filosofico, per quanto si intende come lavoro preparatorio o propedeutico alla metafisica, si rende autonomo e si sostituisce ad essa; o che, se poi alla fine si tratta di metafisica, allora, come per esempio in Kant2, si è tenuti a bada all’infinito con le possibili risposte alle domande metafisiche; e che, invece di ottenere una risposta a queste stesse domande – anzi, se devo formulare la cosa partendo dalla metafisica, devo dire: invece della risposta alle domande metafisiche subentrano allora delle considerazioni se si abbia poi il diritto di porre queste domande metafisiche. Quindi questo modo ingenuo di accantonare ed esitare, di cui allora feci esperienza, non è poi cosí casuale, perché sembra che abbia qualcosa a che fare con la cosa stessa e soprattutto col metodo con cui in generale la filosofia si rapporta alla metafisica – e questo anche nella forma kantiana di un progressus ad infinitum, di un infinito progresso della conoscenza o di un progresso della conoscenza che continua indefinitamente, dal quale poi, per cosí dire, alle calende greche, alla fine si può anche sperare che si risolvano i problemi metafisici fondamentali.
Ho parlato di Nietzsche. Il concetto di metafisica in Nietzsche si trova spesso in forma di spiritosaggine, che comunque contiene una prima approssimazione di ciò che si deve intendere per metafisica; egli parla cioè di «retromondo» e quelli che si occupano di metafisica, oppure ne pensano e insegnano una, li chiama «coloro che abitano un retromondo»3, alludendo al termine molto usato in quel periodo – era poco dopo la guerra civile americana – di «coloro che abitano dietro le foreste»: coloro che abitano lontano dal mondo, nei backwoods, quindi nella piú oscura provincia del Midwest, da dove notoriamente proveniva anche Lincoln, molto d’attualità in quel periodo. Ciò dipende dal fatto che la metafisica è una dottrina che suppone un mondo che sta dietro il mondo che conosciamo e possiamo conoscere; che dietro il mondo dei fenomeni – e cosí questa definizione nietzscheana entra ironicamente in rapporto con la tradizione platonica – è nascosto un mondo di entità, che è quello veramente reale, durevole, in sé, immutabile, che la filosofia ha il compito di decifrare e svelare. Detto piú concretamente, la metafisica quindi sarebbe la quintessenza della dottrina filosofica di tutto ciò che è al di là o – come suona la denominazione filosofica specifica di ciò che è al di là dell’esperienza – una scienza del trascendente in contrapposizione alla sfera dell’immanenza. Allo stesso tempo però in quella formula nietzscheana del «retromondo» c’è pure – nello spirito di illuminismo, nello spirito di un illuminismo nominalistico – la derisione appunto della superstizione e, a suo avviso, del provincialismo legato necessariamente alla supposizione di un tale retromondo. Credo perciò che sia sensato preoccuparci un momento proprio di questa teoria di Nietzsche che ironicamente equipara – poiché ben sapeva che naturalmente ciò non è vero in senso letterale – la metafisica all’occultismo. Storicamente non solo la metafisica non ha niente a che fare con l’occultismo, ma non si esagera affermando che è stata pensata in espressa contrapposizione al pensiero occulto, come è del tutto manifesto, per esempio, in uno dei piú grandi pensatori metafisici in senso specifico dell’età moderna, cioè in Leibniz; benché naturalmente, parlando dal punto di vista genetico – e con esso avremo sempre a che fare nel corso delle nostre considerazioni – della metafisica non si possa contestare il fatto che essa stessa sia un fenomeno di secolarizzazione di un pensiero mitico e magico, e che perciò non sia cosí totalmente distaccata da tutte le rappresentazioni superstiziose, come essa stessa si intende e si è rappresentata dal punto di vista storico-filosofico. Del resto a questo proposito è molto interessante notare che le organizzazioni di occultisti – e in tutto il mondo, per quanto posso valutare – hanno sempre una certa tendenza a chiamarsi «Società metafisiche», Metaphysical Associations o simili. Questo è interessante da diversi punti di vista: da una parte, perché l’occultismo, per cosí dire, questa forma di superstizione apocrifa e scandalosa nella buona società intellettuale, può ottenere una piú alta considerazione per una cosa che comunque ha dalla sua l’aureola di Aristotele, di Tommaso d’Aquino e di chissà quanti altri; dall’altra, però, anche perché (e questo mi sembra ancora piú interessante) proprio gli occultisti, chiamandosi metafisici, sentono qualcosa che è molto intimamente legato all’occultismo – cioè che esso sta in una certa contrapposizione alla teologia; e sentono che le cose da loro praticate, proprio nella loro contrapposizione alla teologia, sono ancora piú vicine alla metafisica che alla teologia alla quale del resto si riferiscono altrettanto volentieri quando appunto fa loro comodo. Ma comunque a spiegazione si può qui citare il detto di quel seguace dell’astrologia, uno di quelli che furono sottoposti al test nell’ambito della nostra ricerca sulla «authoritarian personality», che affermò di credere all’astrologia perché non credeva in Dio4. Per il momento qui lo accenno soltanto; credo che questa prospettiva porti molto lontano, ma ora posso davvero solo preannunciare queste cose.
Ad ogni modo in primo luogo bisogna dire che nessuna metafisica filosofica ha mai a che fare con gli spiriti come se questi spiriti fossero creature esistenti; e precisamente perché la metafisica fin dall’inizio, quindi a partire da Platone o Aristotele – e molto presto dovrò dirvi qualcosa sulla questione se la metafisica cominci con Platone o Aristotele5 – perché, dicevo, fin da questo suo inizio essa protesta e si pone contro la rappresentazione di un ente nel senso della cruda fatticità, nel senso delle singole cose sparse, che in Platone si dicono τὰ ὄντα. Se vi sono tendenze metafisiche che si chiamano spiritualistiche, come per esempio quella di Berkeley o (ma con una forte limitazione) quella di Leibniz – benché la monade di Leibniz non sia cosí assolutamente separata dall’effettiva esistenza spaziale, come ha insegnato soprattutto la comprensione neokantiana di Leibniz –, se quindi nella filosofia, nella metafisica vi sono tendenze spiritualistiche, e se proprio del vescovo inglese Berkeley, come dire, al tempo stesso molto empirista e molto metafisico, si è detto che in fondo insegna solo la realtà degli spiriti, allora naturalmente questi spiriti non sono da intendersi come «spirits», ma come entità puramente intellettuali, puramente determinate dallo spirito, che sono il fondamento di ogni fatticità e alle quali perciò non si può attribuire precriticamente o preriflessivamente quella specie di fatticità, come fanno l’occultismo e lo spiritismo nelle loro diverse tendenze. Credo, quindi, che dall’inizio facciate bene a escludere dal concetto di metafisica ogni concetto di entità effettivamente esistenti, da esperire al di là del nostro mondo empirico, spazio-temporale – e comunque a escluderle per quanto riguarda la tradizione filosofica della metafisica.
La metafisica – e cosí vengo forse alla definizione di ciò che potete pensare con il termine metafisica, o almeno mi ci avvicino un po’ di piú – tratta sempre di concetti. La metafisica è quella forma di filosofia il cui oggetto sono dei concetti, e precisamente concetti in senso enfatico: cioè quasi sempre in modo che ai concetti si attribuisca la priorità e perciò un grado superiore di sostanzialità rispetto agli enti da essi compresi, rispetto ai fatti da essi compresi, dai quali si ricavano i concetti. La controversia proprio su questo punto, la famosa disputa sul nominalismo che ha occupato il Medioevo e che, come vi mostrerò fra poco6, ha avuto una sorta di campo di battaglia immediatamente già nella Metafisica di Aristotele nel conflitto tra motivi aristotelici; questa stessa disputa, quindi, se i concetti siano semplici segni o abbreviazioni di una realtà effettiva da essi compresa, o se siano indipendenti, se si addica loro un in-sé essenziale, sostanziale – questa disputa è uno dei cosiddetti grandi temi della metafisica occidentale7 a partire da Platone e Aristotele. E proprio perché la questione dell’essenza del concetto – che è certamente uno strumento della conoscenza – è fin da principio una questione sia metafisica sia teorico-conoscitiva, potete farvi un’idea del fatto che la metafisica, da quando c’è qualcosa del genere, cioè da quando c’è la riflessione sul concetto, è intrecciata con i problemi di logica e di teoria della conoscenza in una maniera molto singolare, che è poi culminata nella dottrina hegeliana per cui la logica e la metafisica sono in realtà la stessa cosa8. Ora, avendovi accennato al rapporto che la metafisica ha da un lato con l’occulto e dall’altro con la religione, vengo a una dimensione storica che forse non è insignificante per orientarsi sul concetto stesso di metafisica. Tra l’altro, è mia opinione che nella filosofia in genere – molti di voi lo hanno già sentito ad nauseam da me; vi prego di scusarmi se qui lo ripeto ancora una volta per quelli che non hanno ancora ascoltato la mia predica – dicevo, non credo che nella filosofia si proceda solo con definizioni verbali; che quindi non si progredisce semplicemente definendo dei concetti; che semmai essa termina nelle definizioni, ma non può cominciare con esse; e che per comprendere, quindi per conoscere il contenuto stesso dei concetti filosofici – e in nessun caso soltanto come in una superficiale storia dello spirito o storia della filosofia – è necessario che si sappia come i concetti sono nati e cosa significano secondo la loro origine e la loro dimensione storica.
Per venire a questa dimensione, che qui mi interessa in modo molto particolare, la scuola dei positivisti – e precisamente nella forma in cui il positivismo si è dapprima presentato con questo nome: cioè come una concezione per cui la sociologia è la vera scienza suprema e la vera filosofia – viene posta in esplicito contrasto con la teologia; espressamente in Auguste Comte e sostanzialmente già nel suo maestro Saint-Simon, anche se i termini non sono ancora cosí affini. Questi due pensatori elaborano delle teorie degli stadi: una filosofia della storia che si sviluppa in tre grandi fasi, in cui al primo posto c’è la fase teologica, al secondo quella metafisica e al terzo infine quella scientifica o, come quei pensatori amavano chiamarla centocinquanta o quasi duecento anni fa, quella «positiva»9. Essi hanno cosí segnato un momento che nella metafisica è quello essenziale, secondo il suo proprio concetto, che contribuisce cioè a chiarire quanto vi ho esposto qualche minuto fa quando vi ho fatto notare che la metafisica ha essenzialmente a che fare con concetti, enfaticamente con concetti, con concetti enfatici. Cioè, secondo questa teoria degli stadi dei positivisti, le divinità naturali, nonché il Dio dei monoteisti, sono stati secolarizzati in concetti, che poi, ciò nonostante, sarebbero stati ritenuti anch’essi un ente-in-sé, una realtà oggettiva, come un tempo gli antichi dèi. Ora è molto interessante notare che proprio i positivisti erano particolarmente contrari alla metafisica perché essa ha a che fare con concetti e non con fatti, mentre le teologie positive hanno caratterizzato le loro divinità come entità reali, esistenti. E in realtà proprio negli scritti dei positivisti troverete piú invettive contro la metafisica che contro la teologia; questo vale molto particolarmente per Auguste Comte che nella sua tarda fase ebbe la fissazione di fare della stessa scienza una sorta di culto e qualcosa di simile a una religione positiva.
Ora, questo però bisogna aggiungerlo, la coscienza popolare spesso associa la metafisica alla teologia; e sicuramente anche tra voi ci sono non pochi che tendono a non distinguere tanto nettamente tra i concetti della teologia e della metafisica e a versare il tutto nel grande calderone della trascendenza. A questo punto, dovendo quindi occuparci specificamente di questi concetti, per quanto in queste questioni possiate comportarvi con una certa ingenuità, vorrei qui indurvi a distinguere – visto che in genere il progresso del pensiero filosofico è essenzialmente un progresso nel fare distinzioni. Credo che si possa indicare addirittura come un dogma, che la visione filosofica diventa tanto piú feconda quanto piú è in grado di distinguere tra i suoi oggetti; e che in realtà l’indifferenziato, che fa di ogni erba un fascio, incarna precisamente quella condizione dello spirito rozzo e, se cosí posso dire, non istruito, che in realtà la filosofia, se posso pensare al suo aspetto soggettivo e pedagogico, dovrebbe superare o, direi piuttosto, eliminare negli uomini. Ora è sicuramente vero che la metafisica ha anche qualcosa a che fare con la teologia nel modo in cui tende a elevarsi al di sopra dell’immanenza, al di sopra del mondo dell’esperienza. Ma, detto piú rozzamente, l’equiparazione molto diffusa di metafisica e teologia, che si compie se non si riflette espressamente su questi concetti, risale semplicemente a qualcosa che è disponibile nella formazione di tutti noi e ci domina anche se non ci riflettiamo espressamente, e cioè che l’edificio dottrinale della Chiesa cattolica è inscindibilmente legato alla...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Metafisica
  3. Elenco delle abbreviazioni usate nelle note al testo
  4. Introduzione. Adorno, ovvero del pensare aperto di Stefano Petrucciani
  5. Metafisica
  6. Indice dei nomi
  7. Il libro
  8. L’autore
  9. Dello stesso autore
  10. Copyright