Stato, governo, società
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Stato, governo, società

Frammenti di un dizionario politico

  1. 196 pagine
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Frammenti di un dizionario politico

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Scrive Bobbio a proposito delle quattro voci dell' Enciclopedia Einaudi, scritte fra il 1978 e il 1981, che compongono questo libro: «Potrebbero essere considerate come i primi frammenti di un dizionario politico. Una enciclopedia non si legge dalla prima pagina all'ultima. Si consulta. Chi se ne serve intende soddisfare una curiosità momentanea oppure formarsi la prima idea di un argomento. Ricerca perciò nozioni chiare e distinte, esposte in modo sintetico e disposte in un ordine semplice, facilmente comprensibile, piú che dotte disquisizioni; uno sguardo d'insieme sull'intero argomento piú che analisi particolari; concetti generali piú che dati di fatto; [...] lo scopo di un simile lavoro è essenzialmente didattico. Chi vi si accinge è fortunato se riesce a percorrere le linee maestre del territorio. Non deve pretendere di descriverne l'intera mappa. E ora giudichi il lettore».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
ISBN
9788858411681

Stato, governo, società

1.

La grande dicotomia: pubblico/privato

1. Una coppia dicotomica
Attraverso due commentatissimi passi del Corpus iuris [Institutiones, I, 1, 4; Digesto, I, I, 1, 2], che definiscono con identiche parole rispettivamente il diritto pubblico e il diritto privato – il primo «quod ad statum rei romanae spectat», il secondo «quod ad singulorum utilitatem» –, la coppia di termini pubblico/privato ha fatto il suo ingresso nella storia del pensiero politico e sociale dell’Occidente, quindi, attraverso un uso costante e continuo, senza sostanziali mutamenti, ha finito per diventare una di quelle «grandi dicotomie» di cui una o piú discipline, in questo caso non soltanto le discipline giuridiche ma anche quelle sociali e in genere storiche, si servono per delimitare, rappresentare, ordinare il proprio campo d’indagine, come, per restare nell’ambito delle scienze sociali, pace/guerra, democrazia/autocrazia, società/comunità, stato di natura / stato civile. Si può parlare correttamente di una grande dicotomia quando ci si trova di fronte a una distinzione di cui si può dimostrare l’idoneità: a) a dividere un universo in due sfere, congiuntamente esaustive, nel senso che tutti gli enti di quell’universo vi rientrano, nessuno escluso, e reciprocamente esclusive, nel senso che un ente compreso nella prima non può essere contemporaneamente compreso nella seconda; b) a stabilire una divisione che è insieme totale, in quanto tutti gli enti cui attualmente e potenzialmente la disciplina si riferisce debbono potervi rientrare, e principale, in quanto tende a far convergere verso di sé altre dicotomie che diventano rispetto ad essa secondarie. Nel linguaggio giuridico la preminenza della distinzione fra diritto privato e diritto pubblico su tutte le altre distinzioni, la costanza dell’uso nelle diverse epoche storiche, la sua forza inclusiva sono state tali da aver indotto un filosofo del diritto di indirizzo neokantiano a considerare i due concetti di diritto privato e di diritto pubblico addirittura come due categorie a priori del pensiero giuridico [Radbruch 1932, pp. 122-27].
I due termini di una dicotomia possono essere definiti uno indipendentemente dall’altro, oppure uno solo di essi viene definito mentre l’altro viene definito negativamente (la ‘pace’ come ‘non-guerra’). In questo secondo caso si dice che il primo è il termine forte, il secondo il termine debole. La definizione di diritto pubblico e di diritto privato su riportata è un esempio del primo caso, ma dei due termini il piú forte è il primo, in quanto accade spesso che ‘privato’ venga definito come ‘non-pubblico’ («privatus qui in magistratu non est», Forcellini), raramente il contrario. Inoltre si può dire che i due termini di una dicotomia si condizionano a vicenda, nel senso che si richiamano continuamente l’uno con l’altro: nel linguaggio giuridico, la scrittura pubblica rinvia immediatamente per contrasto alla scrittura privata e viceversa; nel linguaggio comune, l’interesse pubblico si determina immediatamente in relazione e in contrasto con l’interesse privato e viceversa. Infine, all’interno dello spazio che i due termini delimitano, dal momento che questo spazio viene totalmente occupato (tertium non datur), essi alla loro volta si delimitano a vicenda, nel senso che la sfera del pubblico arriva fin dove comincia la sfera del privato e viceversa. Per ognuna delle situazioni cui conviene l’uso della dicotomia, le due rispettive sfere possono essere diverse, ciascuna ora piú grande ora piú piccola, o per l’uno o per l’altro dei due termini. Uno dei luoghi comuni del dibattito secolare sul rapporto tra la sfera del pubblico e quella del privato è che, aumentando la sfera del pubblico, diminuisce quella del privato, aumentando la sfera del privato, diminuisce quella del pubblico: una constatazione che è generalmente accompagnata e complicata da contrapposti giudizi di valore.
Quali che siano l’origine della distinzione e il momento della sua nascita, la dicotomia classica fra diritto privato e diritto pubblico riflette la situazione di un gruppo sociale in cui è ormai avvenuta la differenziazione fra ciò che appartiene al gruppo in quanto tale, alla collettività, e ciò che appartiene ai singoli membri, o piú in generale fra la società globale ed eventuali gruppi minori (come la famiglia), oppure ancora fra un potere centrale superiore e i poteri periferici inferiori che rispetto ad esso godono di una relativa autonomia, quando non ne dipendono totalmente. Di fatto alla originaria differenziazione fra il diritto pubblico e il privato si accompagna l’affermazione della supremazia del primo sul secondo, com’è attestato da uno dei principî fondamentali che reggono ogni ordinamento in cui vale la grande divisione, il principio secondo cui «ius publicum privatorum pactis mutari non potest» [Digesto, 38, 2, 14] o «privatorum conventio iuri publico non derogat» [ibid., 45, 50, 17]. Nonostante il secolare dibattito, provocato dalla varietà di criteri in base ai quali è stata giustificata, o si è creduto di poter giustificare, la divisione delle due sfere, il criterio fondamentale resta quello dei diversi soggetti cui si può riferire la nozione generale di utilitas: accanto alla singulorum utilitas della definizione citata, non si dimentichi la celebre definizione ciceroniana di res publica, secondo cui essa è una «cosa del popolo» quando per ‘popolo’ s’intenda non una qualsiasi aggregazione di uomini ma una società tenuta insieme, oltre che da un vincolo giuridico, dalla «utilitatis comunione» [De re publica, 1, 41, 48].
2. Le dicotomie corrispondenti.
La rilevanza concettuale e anche classificatoria nonché assiologica della dicotomia pubblico/privato si rivela nel fatto che essa comprende, o in essa convergono, altre dicotomie tradizionali e ricorrenti nelle scienze sociali, che la completano e possono anche surrogarla.
Società di uguali e società di disuguali.
Essendo il diritto un ordinamento di rapporti sociali, la grande dicotomia pubblico/privato si duplica primamente nella distinzione di due tipi di rapporti sociali: fra uguali e fra disuguali. Lo Stato, e qualsiasi altra società organizzata, dove vi è una sfera del pubblico, non importa se totale o parziale, è caratterizzato da rapporti di subordinazione fra governanti e governati, ovvero fra detentori del potere di comando e destinatari del dovere di obbedienza, che sono rapporti fra disuguali; la società naturale, quale è stata descritta dai giusnaturalisti, oppure la società di mercato nella idealizzazione degli economisti classici, in quanto vengono di solito elevate a modello di una sfera privata contrapposta alla sfera pubblica, sono caratterizzate da rapporti fra uguali o di coordinazione. La distinzione tra società di uguali e società di disuguali è non meno classica della distinzione tra sfera privata e sfera pubblica. Cosí Vico: «Omnis societas omnino duplex, inaequalis et aequalis» [1720, cap. LX]. Fra le prime la famiglia, lo Stato, la società fra Dio e gli uomini; fra le seconde, la società tra fratelli, parenti, amici, cittadini, ospiti, nemici.
Dagli esempi si vede che le due dicotomie pubblico/privato e società di uguali / società di disuguali non si sovrappongono del tutto: la famiglia appartiene convenzionalmente alla sfera privata contrapposta alla sfera pubblica, o meglio viene ricondotta alla sfera privata là dove è sovrastata da un’organizzazione piú complessa, quale è appunto la città (nel senso aristotelico della parola) o lo Stato (nel senso degli scrittori politici moderni); ma rispetto alla differenza delle due società è una società di disuguali, anche se dell’appartenenza convenzionale della famiglia alla sfera privata resta la prova nel fatto che il diritto pubblico europeo che accompagna la formazione dello Stato costituzionale moderno ha considerato privatistiche le concezioni patriarcalistiche o paternalistiche o dispotiche del potere sovrano, che assimilano lo Stato a una famiglia in grande oppure attribuiscono al sovrano gli stessi poteri che appartengono al patriarca, al padre, o al padrone, signori a vario titolo e con diversa forza della società familiare. D’altra parte, il rapporto fra nemici, che Vico considera nell’ambito dei rapporti di uguali, rettamente del resto perché la società internazionale è astrattamente considerata una società di enti formalmente uguali tanto da essere stata assimilata, da Hobbes a Hegel, allo stato di natura, viene fatto rientrare abitualmente nella sfera del diritto pubblico, se pure del diritto pubblico esterno regolante i rapporti fra stati distinto dal diritto pubblico interno regolante i rapporti fra governanti e governati di uno stesso stato.
Con la nascita dell’economia politica da cui segue la differenziazione della sfera dei rapporti economici da quella dei rapporti politici, intesi i rapporti economici come rapporti sostanzialmente di disuguali per effetto della divisione del lavoro ma formalmente uguali nel mercato, la dicotomia pubblico/privato si ripresenta sotto forma di distinzione fra società politica (o di disuguali) e società economica (o di uguali), o dal punto di vista del soggetto caratteristico di entrambe, fra la società del citoyen che attende all’interesse pubblico e quella del bourgeois che cura i propri interessi privati in concorrenza o in collaborazione con altri individui. Dietro la distinzione tra sfera economica e sfera politica riappare l’antica distinzione fra la «singulorum utilitas» e lo «status rei publicae», con cui era apparsa per la prima volta la distinzione fra la sfera del privato e quella del pubblico. Cosí pure la distinzione giusnaturalistica fra stato di natura e stato civile si ricompone, attraverso la nascita dell’economia politica, nella distinzione fra società economica, e in quanto tale non politica, e società politica; successivamente, fra società civile, intesa hegelianamente, o meglio marxianamente, come sistema dei bisogni, e stato politico: dove è da notare che la linea di separazione fra stato di natura, sfera economica, società civile, da un lato, stato civile, sfera politica, stato politico, dall’altro, passa sempre fra società di uguali (almeno formalmente) e società di disuguali.
Legge e contratto.
L’altra distinzione concettualmente e storicamente rilevante che confluisce nella grande dicotomia è quella relativa alle fonti (nel senso tecnico-giuridico del termine) rispettivamente del diritto pubblico e del diritto privato: la legge e il contratto (o piú in generale il cosiddetto «negozio giuridico»). In un passo di Cicerone che fa testo, è detto che il diritto pubblico consiste nella lex, nel senatus consultus e nel foedus (il trattato internazionale); il diritto privato, nelle tabulae, nella pactum conventum e nella stipulatio [Partitiones oratoriae, 37, 131]. Come si vede, qui il criterio di distinzione fra diritto pubblico e privato è il diverso modo con cui l’uno e l’altro vengono ad esistenza in quanto insieme di regole vincolanti della condotta: il diritto pubblico è tale in quanto è posto dall’autorità politica, e assume la forma specifica, e sempre piú prevalente con l’andar del tempo, della «legge», nel senso moderno della parola, cioè di una norma che è vincolante perché posta dal detentore del supremo potere (il sovrano) e abitualmente rafforzata dalla coazione (il cui esercizio esclusivo appartiene in proprio al sovrano); il diritto privato o, come sarebbe piú esatto dire, il diritto dei privati, è l’insieme delle norme che i singoli stabiliscono per regolare i loro reciproci rapporti, i piú importanti dei quali sono i rapporti patrimoniali, mediante accordi bilaterali, la cui forza vincolante riposa primamente, e naturaliter, cioè indipendentemente dalla regolamentazione pubblica, sul principio di reciprocità (do ut des).
La sovrapposizione delle due dicotomie, privato/pubblico, contratto/legge, rivela tutta la sua forza esplicativa nella dottrina moderna del diritto naturale, per la quale il contratto è la forma tipica con cui i singoli individui regolano i loro rapporti nello stato di natura, cioè nello stato in cui non esiste ancora un potere pubblico, mentre la legge, definita abitualmente come l’espressione piú alta del potere sovrano (voluntas superioris), è la forma con cui vengono regolati i rapporti dei sudditi fra di loro, e fra lo Stato e i sudditi, nella società civile, cioè in quella società che è tenuta insieme da un’autorità superiore ai singoli individui. A sua volta, la contrapposizione fra stato di natura e stato civile come contrapposizione tra sfera dei liberi rapporti contrattuali e sfera dei rapporti regolati dalla legge è recepita e convalidata da Kant, nel quale giunge a conclusione il processo d’identificazione delle due grandi dicotomie della dottrina giuridica, diritto privato / diritto pubblico, da un lato, diritto naturale / diritto positivo, dall’altro: il diritto privato o dei privati è il diritto dello stato di natura, i cui istituti fondamentali sono la proprietà e il contratto; il diritto pubblico è il diritto che promana dallo Stato, costituito sulla soppressione dello stato di natura, e pertanto è il diritto positivo nel senso proprio della parola, il diritto la cui forza vincolante deriva dalla possibilità che venga esercitato in sua difesa il potere coattivo appartenente in maniera esclusiva al sovrano.
La miglior conferma del fatto che la contrapposizione fra diritto privato e diritto pubblico passa attraverso la distinzione fra contratto e legge si trae dalla critica che gli scrittori post-giusnaturalisti (in primis Hegel) muovono al contrattualismo dei giusnaturalisti, cioè alla dottrina che fonda lo Stato sul contratto sociale: per Hegel un istituto di diritto privato come il contratto non può essere assunto a fondamento legittimo dello Stato almeno per due ragioni, strettamente connesse alla natura stessa del vincolo contrattuale distinto dal vincolo che deriva dalla legge: in primo luogo, perché il vincolo che unisce lo Stato ai cittadini è permanente e inderogabile da parte di questi mentre il vincolo contrattuale è derogabile dalle parti; in secondo luogo, perché lo Stato può pretendere dai suoi cittadini, se pure in circostanze eccezionali, il sacrificio del maggior bene, la vita, che è un bene contrattualmente indisponibile. Non a caso per tutti i critici del giusnaturalismo il contrattualismo viene respinto in quanto concezione privatistica (e per questo inadeguata) dello Stato, il quale, per Hegel, trae la sua legittimità, e quindi il diritto di comandare e di essere ubbidito, o dal mero fatto di rappresentare in una determinata situazione storica lo spirito del popolo oppure di essersi incarnato nell’uomo del destino (l’«eroe» o «l’uomo della storia universale»), in entrambi i casi in una forza che trascende quella che può derivare dall’aggregarsi ed accordarsi di volontà individuali.
Giustizia commutativa e giustizia distributiva.
La terza distinzione che confluisce nella dicotomia pubblico/privato, e può illuminarla ed esserne illuminata, è quella che riguarda le due forme classiche della giustizia: distributiva e commutativa. La giustizia commutativa è quella che presiede agli scambi: la sua pretesa fondamentale è che le due cose che si scambiano siano, affinché lo scambio possa essere considerato «giusto», di ugual valore, onde in una compravendita è giusto il prezzo che corrisponde al valore della cosa comprata, nel contratto di lavoro è giusta la mercede che corrisponde alla qualità o quantità del lavoro compiuto, nel diritto civile è giusta l’indennità che corrisponde all’entità del danno, nel diritto penale la giusta pena è quella in cui vi è corrispondenza fra il malum actionis e il malum passionis. La differenza fra questi quattro casi tipici è che nei primi due ha luogo la compensazione di un bene con un altro bene, negli ultimi due, di un male con un male. La giustizia distributiva è quella cui s’ispira l’autorità pubblica nella distribuzione di onori o di oneri: la sua pretesa è che a ciascuno sia dato ciò che gli spetta in base a criteri che possono cambiare secondo la diversità delle situazioni oggettive, oppure dei punti di vista: i criteri piú comuni sono «a ciascuno secondo il merito», «a ciascuno secondo il bisogno», «a ciascuno secondo il lavoro». In altre parole, la giustizia commutativa è stata definita come quella che ha luogo fra le parti, la distributiva come quella che ha luogo fra il tutto e le parti. Questa nuova sovrapposizione fra sfera privata e luogo della giustizia commutativa da un lato, e sfera del pubblico e luogo della giustizia distributiva dall’altro, è avvenuta attraverso la mediazione della distinzione, già menzionata, fra società di uguali e società di disuguali. Un chiaro esempio di tale mediazione lo offre lo stesso Vico per il quale la giustizia commutativa, che egli chiama equatrix, regola le società di uguali, mentre la giustizia distributiva, chiamata rectrix, regola le società di disuguali, come la famiglia e lo Stato [1720, cap. LXIII].
Ancora una volta occorre avvertire che tutte queste corrispondenze debbono essere accolte con cautela perché la coincidenza dell’una con l’altra non è mai perfetta. Anche in questa sede i casi-limite sono la famiglia e la società internazionale: la famiglia in quanto vive nell’ambito dello Stato è un istituto di diritto privato, ma è insieme una società di disuguali e retta dalla giustizia distributiva; la società internazionale, che è al contrario una società di uguali (formalmente) ed è retta dalla giustizia commutativa, è di solito attribuita alla sfera del pubblico, per lo meno ratione subiecti, in quanto i soggetti della società internazionale sono gli Stati, gli enti pubblici per eccellenza.
3. L’uso assiologico della grande dicotomia.
Oltre al significato descrittivo, illustrato nei due paragrafi precedenti, i due termini della dicotomia pubblico/privato hanno anche un significato valutativo. Siccome si tratta di due termini che nell’uso descrittivo comune fungono da termini contraddittori, nel senso che nell’universo da entrambi delimitato un ente non può essere insieme pubblico e privato, e neppure né pubblico né privato, anche il significato valutativo dell’uno tende ad essere opposto a quello dell’altro, nel senso che, quando viene attribuito un significato valutativo positivo al primo, il secondo viene ad acquistare un significato valutativo negativo, e viceversa. Ne derivano, da questo punto di vista, due concezioni diverse del rapporto fra pubblico e privato che possono essere definite, del primato del privato sul pubblico, la prima, del primato del pubblico sul privato, la seconda.
Il primato del privato.
Il primato del diritto privato si afferma attraverso la diffusione e la recezione del diritto romano in Occidente: il diritto cosiddetto delle Pandette è in gran parte diritto privato, i cui istituti principali sono la famiglia, la proprietà, il contratto e i testamenti. Nella continuità della sua durata e nell’universalità della sua estensione il diritto privato romano acquista il valore di diritto della ragione, cioè di un diritto, la cui validità viene ad essere riconosciuta indipendentemente dalle circostanze di tempo e di luogo da cui ha tratto origine ed è fondata sulla «natura delle cose» attraverso un processo non diverso da quello per cui, molti secoli piú tardi, la dottrina dei primi economisti, poi chiamati classici (come furono chiamati classici i grandi giuristi dell’età aurea della giurisprudenza romana), verrà considerata come l’unica economia possibile perché scopre, rispecchia, descrive, rapporti naturali (propri del dominio della natura o «fisiocrazia»). In altre parole, il diritto privato romano, pur essendo stato all’origine un diritto positivo e storico (codificato dal Corpus iuris di Giustiniano), si trasforma attraverso l’opera secolare dei giuristi, glossatori, commentatori, sistematici, in un diritto naturale, salvo trasformarsi di nuovo in diritto positivo con le grandi codificazioni dell’inizio del secolo XIX, specie quella napoleonica (1804), in un diritto positivo cui peraltro i suoi primi commentatori attribuiscono una validità assoluta, considerandolo come il diritto della ragione.
Per secoli dunque il diritto privato è il diritto per eccellenza. Ancora in Hegel Recht senz’altra aggiunta significa diritto privato, il «diritto astratto» dei Lineamenti di filosofia del diritto (Grundlinien der Philosophie des Rechts, 1821), mentre il diritto pubblico è indicato, per lo meno nei primi scritti, col nome di Verfassung ‘costituzione’. Anche Marx, quando parla di diritto e svolge la critica (che oggi si direbbe ideologica) del diritto, si riferisce sempre al diritto privato, il cui istituto principale, preso in considerazione, è il contratto fra enti formalmente (anche se non sostanzialmente) uguali. Il diritto che attraverso Marx s’identifica col diritto borghese è essenzialmente il diritto privato, mentre la critica del diritto pubblico si presenta sotto forma di critica, non tanto di una forma di diritto, ma della concezione tradizionale dello Stato e del potere politico. Il primo e maggior teorico del diritto sovietico, Pašukanis, dirà [1924] che «il nucleo piú solido della nebulosa giuridica... sta... nel campo dei rapporti di diritto privato», giacché il presupposto fondamentale della regolamentazione giuridica (qui avrebbe dovuto aggiungere «privata») è «l’antagonismo degli interessi privati», onde si spiega perché «le linee fondamentali del pensiero giuridico romano abbiano conservato valore fino ai nostri giorni restando la ratio scripta di ogni società produttrice di merci» (trad. it. pp. 122-27). Infine, criticando come ideologica, e pertanto non scientifica, la distinzione fra diritto privato e diritto pubblico, Kelsen ha osservato [1960] che i rapporti di diritto privato possono essere definiti «come “rapporti giuridici” tout court, come rapporti “di diritto” nel senso piú proprio e stretto del termine, per contrapporre loro i ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Stato, governo, società
  3. Premessa alla presente edizione
  4. Premessa
  5. Stato, governo, società
  6. Elenco delle opere citate
  7. Il libro
  8. L’autore
  9. Dello stesso autore
  10. Copyright