La caduta di Adamo è il velo sul volto dell’amore. L’universo, come anche tutte le cose che ne fanno parte, è esso stesso un velo. Il volto di Dio è nascosto dietro ciascuno di questi veli, proprio come la Sua bellezza pervade ogni forma, ogni oggetto d’amore, ogni desiderio. Se potessimo scorgere attraverso i veli vedremmo che non vi è forza causale se non la misericordia, e che non vi è alcun oggetto d’amore se non Dio, perché: «Non c’è nulla di vero all’infuori del Vero». Tutti i veli sono come mestoli che versano gli attributi e la bellezza di Dio nelle nostre coppe. Tutti manifestano i segni di Dio secondo il proprio grado dell’esistenza. Essi ci appaiono come l’orizzonte occidentale, ma in realtà l’occidente è l’oriente.
In ultima analisi, «tutti i veli sono Lui», eppure, «nessuno è Lui». il paradosso sta nella concomitanza tra identità e diversità. Il velo, la cosa, la creatura, non è Dio eppure, nello stesso tempo, è Dio. Quel che conta maggiormente è che non vi è alcun modo per trovare Dio, alcun modo per vederLo, se non nel velo, che sempre Lo nasconderà. Il vero sole sorgerà sempre esattamente dove è tramontato. Dio non può mai essere trovato, eppure Egli viene trovato in ogni cosa, perché non c’è nulla che non sia un Suo svelamento. Jāmī scrive:
Dissi alla mia amata dalle guance di rosa: «O tu con la bocca simile a un germoglio,
perché continui a nascondere il tuo volto come le ragazze che civettano»?
Lei rise e disse: «A differenza delle bellezze del tuo mondo,
nel velo sono visibile, ma senza di esso sono nascosta»1.
Il paradosso del velo è semplicemente che le cose non sono Dio, ma che Dio è presente in tutte le cose. Per coloro che vedono, il velo è il volto. La dialettica che caratterizza gli insegnamenti sufi – l’affermare e il negare, il clamore ebbro e la sobria circospezione, lo strappare i veli e il dispiegarne di nuovi, l’esprimere ciò che non può essere espresso – tutto questo è il volto che appare nei veli. Tutto questo ci dice che il nome non è null’altro che la realtà, ma che la realtà si trova infinitamente oltre il nome. Per trovare la realtà dietro al nome abbiamo bisogno di parlare del nome con consapevolezza. Per essere consapevoli, dobbiamo conoscere noi stessi e il nostro Signore. Sé e Signore sono intrecciati inscindibilmente, come nome e realtà, velo e volto.
Il sufismo, nel ritenere che la vera comprensione consiste nella rimozione dei veli che ottenebrano il volto del cuore, si differenzia dalle altre prospettive del pensiero islamico. Come è stato già detto, il termine piú comune e diffuso per questo tipo di comprensione è kashf, la cui traduzione piú appropriata è «svelamento». La parola che dunque svolge un ruolo cosí centrale negli insegnamenti sufi implica l’esistenza dei veli.
Il termine kashf deriva dal Corano, dove è utilizzato quattordici volte come verbo, e può essere tradotto nel significato piú proprio di «rimuovere». Di solito il soggetto del verbo è Dio, ed Egli rimuove il «male» (in sette versetti), il «castigo» (in quattro versetti) e le cose dolorose in generale. Per quanto riguarda l’uso sufi del termine, nel piú significativo di questi passaggi Dio si rivolge all’anima che è appena morta: «Di questo eri disattenta e perciò Noi ti abbiamo rimosso la copertura, e ora la tua vista è acuta!» (50:22). La «copertura» (ghiṭā’) – termine che viene inteso come uno dei tanti sinonimi di «velo» (ḥijāb) – sarà sollevata al momento della morte. Dopo di che gli uomini vedranno in modo chiaro.
Questo versetto è da solo sufficiente a indicare perché la ricerca di una morte volontaria sia uno dei temi principali della letteratura sufi. I sufi suffragano questa ricerca non solo con le interpretazioni coraniche, che dedicano particolare attenzione a sfumature e allusioni, ma anche con il presunto ḥadīth: «Morite prima di morire» e con il detto del Vangelo che nella versione araba suona: «Nessuno entrerà nel regno dei cieli finché non sarà nato due volte» (Giovanni, 3:3). La morte volontaria è chiamata anche con diversi altri nomi, il piú comune dei quali è «estinzione», della quale abbiamo già diffusamente trattato.
1. La barriera.
Parlare di un velo significa parlare di una barriera, che impedisce a colui che guarda di vedere cosa c’è al di là di essa. Una delle prime definizioni di velo come termine tecnico sufi è fornita da Abū Naṣr al-Sarrāj: «Il velo è qualsiasi barriera che trattiene l’iniziato dall’obiettivo che egli si prefigge e persegue»2. Ciò che egli si prefigge e persegue è Dio, o il volto di Dio.
La discussione sul velo è strettamente legata a quella sulla visione di Dio. Gli esperti di Kalām convengono sul fatto che Dio non può essere visto con l’occhio esteriore in questo mondo, sebbene egli possa essere compreso in una certa misura con la mente razionale. I teologi asha’riti aggiunsero, tuttavia, che Egli può essere visto con l’occhio fisico nell’altro mondo, mentre i loro rivali, i teologi mu’taziliti, esclusero qualsivoglia visione. Come regola generale, quanto piú rigorosamente i pensatori musulmani applicarono i principî razionali, tanto piú fermamente negarono la possibilità di vedere Dio.
Quanto ai sufi, nonostante parlassero della visione di Dio sia in questo mondo che nell’altro, la maggior parte di loro era d’accordo con quei teologi e filosofi per i quali Dio stesso non può essere visto con gli occhi o compreso con la mente razionale. Nondimeno essi insistevano sul fatto che Egli può essere visto dal cuore liberato dal velo e che questo svelamento ha luogo, come suggerisce il Corano, al momento della morte. Perciò, quando i sufi raggiungono la morte e l’estinzione del piú basso sé già in questa vita, essi raggiungono anche la visione di Dio, qui e ora. Questo è il comune punto di vista sufi ma, non appena analizziamo piú attentamente i testi, capiamo che i sufi ci presentano una discussione molto piú sottile, e che per suggerire la sua sottigliezza fanno spesso ricorso al paradosso del velo.
Degli otto riferimenti coranici alla parola velo, due si riferiscono al velo che separa gli esseri umani da Dio. Il primo è spesso citato dai teologi per provare che Dio non può essere visto in questo mondo: «A nessun uomo Dio può parlare altro che per Rivelazione, o dietro un velame, o invia un Messaggero» (42:51). Il secondo p...