Cime tempestose
eBook - ePub

Cime tempestose

Emily Brontë, Monica Pareschi

  1. 400 pagine
  2. Italian
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Cime tempestose

Emily Brontë, Monica Pareschi

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È un paradosso biografico fin troppo noto che il piú grande romanzo passionale dell'Ottocento europeo, quello che con piú pervicacia esplora «gli abissi del Male» - secondo la definizione che ne diede un ammirato Bataille - e che crea il personaggio sadiano forse piú potente della letteratura di ogni tempo, sia opera della figlia virtuosa di un pastore protestante di origine irlandese, cresciuta e morta prematuramente in una canonica dello Yorkshire, da cui si allontanò solo sporadicamente per frequentare un austero collegio per figlie di ecclesiastici e in seguito per lavorare come istitutrice. Romanzo unico per intensità visionaria e originalità narrativa, e unico romanzo di Emily Brontë, fu pubblicato per la prima volta nel 1847 con lo pseudonimo di Ellis Bell, e dopo la morte dell'autrice vide una seconda edizione nel 1850, a cura della sorella Charlotte, fortunata autrice di Jane Eyre. In entrambi i casi non incontrò i favori della critica: i contenuti troppo forti, la violenza psicologica e materiale che pervade tutto il libro, il carattere mistico e insieme distruttivo dell'amore tra i due protagonisti, la malvagità irredenta di Heathcliff, gli elementi gotici che fanno continuamente incursione in un romanzo di impianto realista, uniti a una struttura non lineare che sfida le convenzioni del romanzo coevo, il punto di vista multiplo della narrazione, la mancanza di progressione in una vicenda che si consuma in un andirivieni ineluttabile tra le due dimore opposte e speculari di Wuthering Heights e Thrushcross Grange, spiazzarono da principio i critici. Ci vollero anni perché il romanzo suscitasse l'entusiasmo di lettori come Dante Gabriel Rossetti, Matthew Arnold e, prevedibilmente, Swinburne. Fu solo a partire dal Novecento, tuttavia, che a Cime tempestose venne accordato lo statuto di capolavoro della letteratura di tutti i tempi. In una società letteraria percorsa dai fermenti delle nuove avanguardie e dalle prospettive aperte dalla psicoanalisi, quelle che i primi lettori avevano giudicato trasgressioni eccessive e incoerenze narrative dovettero al contrario apparire una sorta di sperimentalismo in nuce, quasi un presagio delle novità formali che già avevano cominciato a scardinare l'impianto strutturale del romanzo realista ottocentesco. A testimoniare la grande vitalità del libro si aggiungono via via i tanti adattamenti cinematografici, teatrali, musicali e letterari, colti e popolari, che amplificano la sua portata e risonanza ben oltre i confini narrativi. A noi lettori di oggi, smaliziati e consapevoli, non resta che continuare a godere di tutto il fascino ambiguo di quest'opera spregiudicata e poetica, mistica e malvagia, trasgressiva e asessuata, visionaria e grottesca, barbara e innovativa: cosí isolata dalla società ed estranea alle convenzioni del suo tempo da risultare, miracolosamente, eterna.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2019
ISBN
9788858432693

1.

1801. Sono appena tornato da una visita al mio padrone di casa, l’unico vicino che mi toccherà sopportare. Certo, la contrada è bellissima! Non credo che in tutta l’Inghilterra avrei potuto scegliere un luogo piú isolato dal trambusto del mondo. Un paradiso per veri misantropi, e il signor Heathcliff e io siamo una coppia ideale per condividere una tale desolazione. Che fenomeno d’uomo! Non si immagina nemmeno l’affetto che ho provato per lui quando ho visto i suoi occhi neri ritirarsi insospettiti sotto le sopracciglia mentre mi avvicinavo a cavallo, e le sue dita nascondersi, risolute e gelose, ancora piú a fondo dentro il panciotto quando annunciai il mio nome.
– Il signor Heathcliff? – dissi.
Un cenno del capo fu la risposta.
– Lockwood, il vostro nuovo inquilino, signore. Mi pregio di farvi visita prima possibile, nella speranza di non avervi irritato con la mia insistenza a voler occupare Thrushcross Grange: ho sentito, ieri, che avevate avuto qualche ripensamento…
– Thrushcross Grange mi appartiene, signore, – mi interruppe con una smorfia. – Non permetterei a nessuno di irritarmi, se lo potessi evitare… entrate!
Quell’«entrate» fu pronunciato tra i denti, e il sentimento che esprimeva in realtà era un chiaro augurio ad andare al diavolo; persino il cancello a cui si appoggiava pareva opporsi all’invito, e furono proprio quelle circostanze, credo, a indurmi ad accettarlo: un uomo la cui esagerata ritrosia apparentemente superava persino la mia non poteva che destare il mio interesse.
Quando vide il mio cavallo premere baldanzoso il petto contro le sbarre si risolse a estrarre la mano per togliere la catena, poi mi precedette cupo per il viale lastricato, gridando, mentre entravamo nel cortile:
– Joseph, prendi il cavallo del signor Lockwood; e porta del vino.
«Ecco qui tutto il contingente di domestici, a occhio e croce, – fu la riflessione suggeritami da quel duplice ordine. – Naturale che l’erba cresca tra una pietra e l’altra del viale, e a potare la siepe provveda il bestiame».
Joseph era un uomo anziano, o meglio vecchio, forse molto vecchio, sebbene robusto e gagliardo.
– Iddio ci aiuti! – disse sottovoce tra sé, in tono spazientito e bilioso, liberandomi del cavallo: e nel dirlo mi guardò in faccia con un’espressione cosí acida che in un impeto di benevolenza pensai gli servisse l’aiuto di Dio per digerire la cena, e che quella pia invocazione non fosse in alcun modo legata al mio arrivo inatteso.
Wuthering Heights: cosí si chiama la dimora del signor Heathcliff, e l’aggettivo parla da sé, facendo risuonare il tumulto atmosferico a cui sono esposte queste cime quando infuria la tempesta. Certo l’aria deve essere sempre pura e corroborante, quassú: si può ben immaginare la potenza del vento del nord, quando soffia di traverso, dall’estrema inclinazione dei pochi abeti stenti in fondo alla proprietà; e da una serie di sparuti biancospini che protendono tutti i rami in un’unica direzione, come a elemosinare un po’ di sole. Per fortuna, l’architetto ha avuto la lungimiranza di costruire la casa ben solida: le strette finestre sono incassate nei muri, e gli angoli rinforzati da grosse pietre aggettanti.
Prima di varcare la soglia, mi fermai ad ammirare la profusione di grottesche che decorano la facciata, soprattutto intorno alla porta principale, sopra alla quale, in mezzo a un intrico di grifoni fatiscenti e putti sfrontati, riuscii a distinguere una data, «1500», e il nome «Hareton Earnshaw». Avrei fatto qualche commento, e chiesto allo scontroso proprietario una breve storia del posto, ma dalla posa che assunse davanti alla porta era chiaro che dovevo entrare in fretta e furia o andarmene da dove ero venuto, e non desideravo certo aggravare la sua impazienza prima di aver esaminato il suo sancta sanctorum.
Bastò un passo a introdurci nella sala, senza dover passare per un atrio, o un’anticamera: è quella che da queste parti perlopiú chiamano semplicemente «la casa». Di solito comprende un salotto e la cucina, ma credo che a Wuthering Heights quest’ultima sia relegata da tutt’altra parte, o almeno il chiacchiericcio e l’acciottolio di stoviglie che udii provenivano da qualche recesso piú profondo dell’abitazione; e non notai nulla posto ad arrostire, bollire o cuocere nell’enorme camino; nessun luccichio di rame o di stagno, nessun tegame o colatoio appeso ai muri. Su un lato, in effetti, dentro una gigantesca credenza di rovere alta fino al soffitto, si levavano una sopra l’altra file torreggianti di immensi piatti di peltro mischiati a caraffe e boccali d’argento, che emanavano uno splendido riverbero di luce e calore. Il tetto aveva le travi a vista, e la sua anatomia si offriva completamente nuda alle esplorazioni dell’occhio, salvo dove era occultata da un’asse di legno carica di gallette d’avena, di cosciotti ammassati di manzo o montone e di prosciutti. Appesi sopra il camino c’erano alcuni schioppi dall’aspetto ben poco raccomandabile e un paio di pistole da sella, e allineati sulla mensola, a mo’ di decorazione, tre recipienti smaltati a colori sgargianti. Il pavimento era di pietra bianca, levigata; le sedie, con lo schienale alto, erano rustiche e dipinte di verde, e nella penombra se ne scorgeva un altro paio, nere e pesanti. Al riparo sotto la credenza era distesa un’enorme femmina di pointer, circondata da una nidiata di cuccioli uggiolanti; altri cani erano appostati qua e là.
La stanza e la mobilia non avrebbero avuto niente di straordinario se fossero appartenute a un semplice allevatore del Nord dall’aria cocciuta e dalle gambe robuste messe in risalto da brache al ginocchio e dalle ghette. Un esemplare simile, seduto in poltrona e con un boccale di birra schiumosa posato sul tavolino davanti a sé, lo vedrete ovunque nel raggio di cinque o sei miglia tra queste colline, se ci andate all’ora giusta, dopo pranzo. Ma il signor Heathcliff contrasta singolarmente con questa dimora e questo stile di vita. Ha la pelle scura e l’aspetto di uno zingaro, e abiti e modi da gentiluomo, o per meglio dire, da gentiluomo come lo sono molti di questi proprietari terrieri: un po’ trasandato forse, e piuttosto torvo, ma grazie al portamento eretto e alla figura aitante non troppo fuori posto nella sua trascuratezza; forse qualcuno penserebbe che vi sia in questo un certo grado di volgare presunzione, ma il cuore mi dice che non è nulla del genere: so per istinto che il suo riserbo nasce da un’avversione per i sentimenti esibiti, le manifestazioni di reciproca cortesia. Proverà amore e odio, entrambi di nascosto, e considererà l’esser ricambiato una specie di impertinenza… ma no, sto correndo troppo… gli sto attribuendo con eccessiva libertà le mie stesse caratteristiche. Il signor Heathcliff potrebbe avere ragioni completamente diverse da quelle che muovono me per nascondere la mano quando incontra qualcuno che vuole fare la sua conoscenza. E poi voglio sperare che il carattere che mi ritrovo non abbia eguali, o quasi: la mia povera madre ha sempre detto che non mi sarei mai fatto una famiglia, e solo l’estate scorsa mi sono dimostrato del tutto indegno di averne una.
Mentre mi godevo un mese di bel tempo al mare, mi ritrovai per caso in compagnia di una creatura oltremodo affascinante, un’autentica dea ai miei occhi, finché lei non si accorse di me. Non dichiarai mai il mio amore a voce; eppure, se è vero che gli sguardi parlano, anche un completo imbecille avrebbe indovinato che ero del tutto rapito; alla fine lei se ne accorse, e ricambiò le mie occhiate – con una che piú dolce non si può immaginare – e cosa feci io? Mi vergogno a confessarlo: mi ritrassi gelidamente in me stesso, come una lumaca, e a ogni occhiata mi ritirai sempre di piú e con maggiore freddezza; finché, da ultimo, quella povera innocente fu indotta a dubitare dei propri sensi e, sopraffatta dalla confusione per l’errore che pensava d’aver commesso, convinse la madre a levare il campo.
Per questa mia tendenza bizzarra mi sono guadagnato la reputazione di persona volutamente insensibile, e solo io so quanto sia immeritata.
Mi sedetti al capo opposto del focolare rispetto a quello verso cui si stava dirigendo il mio padrone di casa, e colmai l’intervallo di silenzio cercando di accarezzare la puerpera, che aveva abbandonato la sua nidiata di cagnolini per avvicinarsi quatta quatta ai miei stinchi, come un lupo, col labbro arricciato sui denti bianchi schiumanti, pronta ad azzannarmi.
La carezza provocò un lungo ringhio gutturale.
– Lasciate stare il cane, è meglio, – latrò a sua volta il signor Heathcliff, evitandomi ulteriori dimostrazioni di ferocia con una pedata alla bestia. – Non è abituata a esser viziata… mica la tengo per farmi compagnia.
Poi, marciando a grandi passi verso una porta laterale, gridò ancora:
– Joseph!
Joseph borbottò qualcosa di indecifrabile dal profondo della cantina, ma non diede segno di voler salire; allora il padrone scese di corsa, lasciandomi vis à vis con quella cagnaccia e un paio di truci, arruffati cani da pastore, che assieme a lei mi tenevano d’occhio guatando ogni mio movimento.
Tutt’altro che ansioso di assaggiare quei denti, me ne stavo immobile; ma immaginando che non avrebbero compreso i miei taciti insulti, mi lasciai malauguratamente andare ad ammiccamenti e sberleffi ai danni del terzetto, e una o l’altra delle mie smorfie irritò a tal punto la signora che di botto divenne una furia e mi balzò sulle ginocchia. La ricacciai indietro, e mi affrettai a mettere il tavolo tra noi due. Questa azione risvegliò tutto il branco. Una mezza dozzina di demoni a quattro zampe, di varie età e taglie, sbucarono dalle loro tane nascoste per palesarsi al centro della stanza. Mi accorsi che a esser sotto tiro erano soprattutto i miei calcagni e i risvolti della mia giacca; e respingendo come meglio potevo gli aggressori piú grossi con un attizzatoio, fui costretto a implorare a gran voce l’aiuto di qualcuno della casa che riportasse la pace.
Heathcliff e il suo uomo salirono le scale della cantina con una lentezza irritante. Non accelerarono nemmeno di un secondo rispetto alla loro abituale andatura, credo, nonostante la cagnara che imperversava.
Dalla cucina furono piú solleciti, per fortuna: una vigorosa fantesca con le braccia nude e le guance arrossate piombò in mezzo a noi alzandosi la sottana e brandendo una padella; e usò quell’arma e la lingua con una tale efficacia che la tempesta si placò come per magia, e quando entrò in scena il padrone rimaneva solo lei, gonfia come il mare dopo una bufera di vento.
– Che diavolo succede? – domandò lui, squadrandomi in un modo che faticai a sopportare dopo quell’accoglienza ostile.
– Davvero, cosa diavolo succede! – borbottai. – Un branco di porci indemoniati non potrebbe essere di umore peggiore delle vostre bestie, signore. A questa stregua potreste anche lasciare gli ospiti con una torma di tigri!
– Non fanno male a nessuno, a meno che non lo vedano toccare qualcosa, – commentò, posandomi davanti una bottiglia e rimettendo a posto il tavolo. – I cani giustamente fanno la guardia. Un bicchiere di vino?
– No, grazie.
– Niente morsi, vero?
– Se solo uno si fosse azzardato, gli avrei impresso il mio sigillo.
L’espressione di Heathcliff si rilassò in un gran sorriso.
– Su, su, – disse, – siete agitato, signor Lockwood. Ecco, bevete un goccio di vino. Gli ospiti sono talmente rari in questa casa che io e i miei cani, sono pronto ad ammetterlo, non abbiamo idea di come riceverli. Alla vostra, signore.
Ricambiai il brindisi con un cenno del capo, persuadendomi pian piano che sarebbe stato sciocco fare il muso duro per colpa di quel branco di bastardi indisciplinati; oltretutto, non mi andava giú che quel bel tomo continuasse a divertirsi alle mie spalle, visto che la sua vena comica si esprimeva cosí.
A quel punto, gli balenò forse l’idea di quanto fosse assurdo e imprudente offendere un buon inquilino, e rinunciò un poco allo stile laconico che gli faceva omettere verbi e pronomi; e introdusse quello che riteneva fosse un tema interessante per me, una disamina sui pro e i contro del luogo in cui avevo deciso per il momento di ritirarmi. Lo trovai alquanto ferrato sugli argomenti che toccammo, e prima di andarmene mi sentii cosí incoraggiato da offrirmi di tornare a trovarlo il giorno seguente.
Chiaramente non desiderava altre intromissioni da parte mia. Andrò comunque. È stupefacente come mi senta socievole al suo confronto.

2.

Il pomeriggio di ieri si annunciava freddo e nebbioso. Avevo una mezza idea di trascorrerlo accanto al fuoco nello studio, invece di impantanarmi nella brughiera per raggiungere Wuthering Heights.
Tornando di sopra dopo pranzo, tuttavia (N.B. il pasto principale viene servito tra mezzogiorno e l’una; la governante, una donna imponente che rientra nelle pertinenze della casa, non ha potuto o voluto accogliere la mia richiesta di spostarlo alle cinque), salendo le scale con quella pigra intenzione, dicevo, ed entrando nella stanza, vidi una servetta in ginocchio, circondata da spazzole e secchi di carbone, che soffocava le fiamme sotto cumuli di cenere sollevando una nube infernale. A quello spettacolo feci immediatamente dietrofront: presi il cappello e, dopo una camminata di quattro miglia, giunsi al cancello del giardino di Heathcliff appena in tempo per sfuggire ai primi, lievi fiocchi di neve.
In cima a quel colle brullo il terreno era una crosta nera e gelata, e l’aria mi fece rabbrividire da capo a piedi. Non riuscendo a togliere la catena, scavalcai e, percorso di gran carriera il viale lastricato con la sua bordura di radi cespugli di uvaspina, bussai invano per entrare, finché mi bruciarono le nocche e i cani si misero a latrare.
«Manica di sciagurati! – esclamai dentro di me. – Siete cosí zotici e inospitali da meritare di rimanere isol...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Cime tempestose
  4. 1.
  5. 2.
  6. 3.
  7. 4.
  8. 5.
  9. 6.
  10. 7.
  11. 8.
  12. 9.
  13. 10.
  14. 11.
  15. 12.
  16. 13.
  17. 14.
  18. 15.
  19. 16.
  20. 17.
  21. 18.
  22. 19.
  23. 20.
  24. 21.
  25. 22.
  26. 23.
  27. 24.
  28. 25.
  29. 26.
  30. 27.
  31. 28.
  32. 29.
  33. 30.
  34. 31.
  35. 32.
  36. 33.
  37. 34.
  38. Il libro
  39. L’autrice
  40. Della stessa autrice
  41. Copyright