Contro il giorno
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Contro il giorno

  1. 1,127 pagine
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Informazioni sul libro

«Questo romanzo è ambientato negli anni che vanno dal 1893 all'immediato primo dopoguerra. E si muove tra la Chicago dell'Esposizione Mondiale, Londra, Gottinga, Venezia, la Siberia, il Messico della rivoluzione, Hollywood e anche alcuni luoghi che non si trovano sulle mappe. I personaggi sono anarchici, aviatori, avventurieri, magnati, tossici, innocenti e decadenti, scienziati pazzi, sciamani, spie e killer. Fanno anche una fugace apparizione speciale Nikola Tesla, Bela Lugosi e Groucho Marx. Tutti abitano un'era in cui domina l'incertezza, e cercano in qualche modo di raccappezzarsi nelle proprie vite. A volte riuscendoci a volte no. L'autore del libro intanto si comporta come suo solito. Ogni tanto fa cantare loro all'improvviso canzoni stupide, li infila in situazioni promiscue e fa accadere eventi improbabili. Descrivendo il mondo non cosí com'è ma come potrebbe essere con appena qualche ritocco. Che secondo alcuni è uno degli scopi principali della letteratura. Ma lasciamo che siano i lettori, ormai avvisati, a giudicare. Buona fortuna».
Thomas Pynchon

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2020
ISBN
9788858433874
Parte quarta

Contro il giorno

Il primo incarico di Cyprian fu a Trieste: doveva tenere sotto controllo i docks e il traffico di emigranti verso l’America, con gite secondarie a Fiume e le ronde per osservare le reclute presso la fabbrica di siluri Whitehead e il porto petrolifero, e poi ancora giú, lungo la costa, fino a Zengg, quartier generale del movimento sempre piú robusto dei Nuovi Uscocchi, che prendeva il nome dalla comunità cinquecentesca di profughi che un tempo aveva controllato questo capo dell’Adriatico, diventando in seguito una minaccia tanto per Venezia sul mare quanto per i turchi fra i monti retrostanti, e mantenendosi fino ad allora un’industriosa cellula che faceva sí che la minaccia di un’inondazione turca, immediata e spietata, restasse viva e verificabile. E che aspettasse sempre, lungo tutta la frontiera militare, notte e giorno, la breccia fatale – presidiando le antiche torri di guardia e registrando sulle carte militari della regione dalla prima all’ultima scintilla che apparisse nella notte terrestre, le coordinate e dimensioni di essa, tenendo pronte esca asciutta e paraffina per i segnali luminosi d’allarme, senza mai concedersi piú di mezzo minuto prima di sprigionarla nella luce. Con ovvie implicanze nella Questione Macedone. Dio solo sapeva mediante quali esoterici uffici i rapporti neo-uscocchi trovassero la strada fino a Cyprian.
Trieste e Fiume, ciascuna su un lato della penisola istriana, erano diventate punti di convergenza per coloro che dall’Austria-Ungheria cercavano di imbarcarsi per passare all’ovest. La maggioranza, nel quotidiano scorrere di anime, era legale, seppure ne viaggiasse in incognito un numero sufficiente perché Cyprian dovesse rimanere tutto il giorno sui moli e tenere dettagliate registrazioni di chi andava in America, chi tornava e chi si trovava qui per la prima volta. Fuori e Dentro – come i debiti e i crediti, redatti sulle opposte pagine del suo taccuino da operativo. Dopo qualche anno di false calligrafie in varie mani diverse, dando modo di entrare nei suoi scritti a una sensazionale fiera di identità – era tornato alla grafia scolastica, a dei Vespri lontani, all’ululare dell’antico organo della chiesa, quando l’ultima luce è spenta e la porta sbarrata prima della lunga notte.
Al tramonto si poteva ancora trovarlo presso i docks, che indugiava guardando verso il mare. Non era il lavoro a trattenerlo – i tramonti venivano prima. La promessa di una sera – un addensarsi di possibilità, qui, che era decisamente assente in luoghi come Zengg. Marinai, inutile dirlo, creature del mare dappertutto. Un cielo di carne latte-azzurro che al mare discendeva fino al vermiglio, la luce dai colori teatrali respinta indietro a chiazzare ogni superficie rivolta a ovest…
La discesa di Cyprian nel mondo segreto era iniziata solo l’anno prima a Vienna, nel corso della solita sera di allegri canti dalle parti del Prater. Senza pensarci, aveva finito per conversare con un paio di russi, che lui, nel suo stato di innocenza, scambiò per turisti.
«Ci sembra di aver capito che lei abita qui a Vienna. E che cosa fa?»
«Il minimo possibile, si spera».
«Il mio amico intendeva: qual è il suo lavoro?» disse uno dei due.
«Essere simpatico. E il vostro?»
«In questo momento? Solo un piccolo favore a un amico».
«Amico di… scusate, amico di tutti e due? Tutti amiconi, siamo qui?»
«Peccato non si debba litigare con i sodomiti. L’insolenza nella sua voce, Miša, la sua faccia… bisogna far qualcosa per questo».
«In nome di questo amico, forse» replicò salace Cyprian. «Che non ama troppo l’insolenza nemmeno lui, secondo me».
«Al contrario, l’apprezza».
«Come qualcosa con cui debba pazientemente convivere». Tenendo la testa un po’ scostata, Cyprian continuava a lanciar loro sguardi furtivi, all’insú e obliquamente, attraverso ciglia inquiete.
L’altro individuo rise. «Come occasione per correggere una abitudine perversa, che non approva».
«Ed è anche russo, come voi? Amante dello knut, forse, quel genere lí?»
Neanche una pausa. «Preferisce di gran lunga che i suoi compagni non riportino segni. Tuttavia, potrebbe almeno pensare prima di aprire la sua interessante bocca, finché ne ha una da aprire».
Cyprian annuí, come rimesso in riga. Lo squisito riflesso di paura rettale che lo percorse allora poteva essere un semplice ritrarsi di fronte a una minaccia, o il tradire un desiderio che stava cercando di controllare, ma invano.
«Ancora un Capuziner?» gli offrí l’altro.
Il prezzo su cui si accordarono non era cosí alto da provocare una curiosità piú che ordinaria, anche se l’aspetto della discrezione naturalmente emerse. «Ci sono moglie, figli, pubbliche attinenze… i soliti ostacoli di cui pensiamo abbia già imparato a venire a capo. Il nostro amico è molto chiaro in merito: la sua reputazione per lui è di assoluta importanza. Qualunque menzione di lui stesso, a chiunque, per banale che sia, arriverà subito alle sue orecchie: controlla risorse tali da consentirgli di sapere tutto quello che si dice in giro. Quel che dicono tutti, compreso lei, accoccolato nel suo fragile nido con qualche ospite mascolino che ritiene voglia “tenerla” per davvero, o a vantarsi con un’altra farfalla solitaria: “Oh, lui mi ha dato questo, mi ha regalato quello…” In ogni momento della vita, deve badare a quello che dice, in quanto prima o poi le sue esatte parole verranno recuperate, e se fossero le parole sbagliate, allora, signorinella, scoprirà di doversene svolazzar via per salvarsi la pelle».
«E non si immagini che “a casa sua” possa essere un luogo molto sicuro» aggiunse il compagno, «poiché in Inghilterra le risorse non ci mancano. Il nostro occhio è sempre su di lei, dovunque quelle alucce la possano portare».
A Cyprian non era venuto in mente che questa città, a questo punto, non avesse altro da svelargli a parte la promessa di un’obbedienza senza riflessione, di giorno in notte, agli strattoni dati dal desiderio al suo guinzaglio. Certo, fuori dal Prater – con il suo ruolo di bacino di raccolta delle bellezze continentali – trovare l’esibizionismo di Vienna un po’ troppo complicato, e soprattutto avente (qui sembrava impossibile non incontrarla) una dimensione anche politica, prevedibilmente spingeva i suoi coefficienti di tedio in un deliquio incommensurabile, e ogni dotazione di dispositivi d’allarme a lanciare il loro urlo seducente. Forse la coppia di intermediari aveva già ravvisato in lui questa superficialità di aspettative. Gli diedero un biglietto con un indirizzo stampato – nella Leopoldstadt, il quartiere ebraico a nord del Prater dopo i binari della ferrovia.
«Ah. Un amico ebreo, dunque…»
«Forse un giorno una chiacchieratina precisa sui temi dell’ebraismo potrebbe esserle di qualche vantaggio, non solo educativo ma finanziario. Frattanto, ci permetta di procedere a passi ordinati».
Per un attimo, un’ala di desolata assenza calò impetuosa fra i tavoli da giardino lí, da Eisvogel, eclissando ogni futuro descrivibile. Dalla direzione della ruota panoramica arrivò l’infernale cadenza dell’ennesimo valzer pigolante.
I russi, autodenominatisi Miša e Griša, avendo ottenuto uno degli indirizzi di Cyprian, un caffè nel IX Bezirk, in breve iniziarono a lasciargli messaggi una volta alla settimana, fissando appuntamenti in angoli poco frequentati in giro per tutta la città. Man mano che diventava consapevole della loro sorveglianza, come forse era inteso che facesse, passava meno tempo al Prater, e piú tempo ai caffè a leggere giornali. Incominciò anche a far gite in giornata e a prolungarle, a volte per la notte, per vedere quale raggio di libertà i custodi gli concedevano.
Senza alcuna possibilità per prepararsi, fu convocato per un’ultima notte all’indirizzo della Leopoldstadt. Il domestico che venne ad aprire era alto, crudele e taciturno, e quasi prima di varcare la soglia Cyprian fu ammanettato e bendato, poi spinto rudemente in un corridoio e su per una scala, in una stanza dalla caratteristica assenza di eco dove lo liberarono solo per il tempo sufficiente a essere spogliato e poi re-incatenato.
Fu il colonnello stesso a levargli la benda. Aveva occhiali montati in acciaio; la struttura ossea sotto una cute rigorosamente rasata tradiva, agli occhi dello studioso patito di etnofisiognomia, anche alla luce scarsa, della stanza, il suo sangue non prussiano, anzi cripto-orientale. Scelse una canna di rattan e, senza parlare, passò a usarla sul corpo nudo e indifeso di Cyprian. Incatenato, Cyprian non poté opporre molta resistenza, e la sua incrollabile erezione in ogni caso avrebbe fatto apparire ogni protesta poco persuasiva.
Cosí ebbero inizio questi segreti convegni, ogni settimana, sempre condotti in silenzio. Cyprian fece esperimenti con costume, trucco, e pettinature nel tentativo di strappare un commento, ma il colonnello era molto piú interessato a frustarlo – senza parole e, spesso, adottando una strana finezza di tocco, fino all’orgasmo.
Una sera, nei pressi del Volksgarten, Cyprian era per strada, girando senza meta, quando da un punto non subito chiaro sentí un coro di voci maschili – rauche per ore di iterazione del canto Ritter Georg Hoch!, il vecchio inno pangermanico, e in quel momento a Vienna anche antisemita. Afferrando all’istante che sarebbe stato meglio non imbattersi in quella banda, s’infilò nella prima vineria che vide, dove… chi t’incontrò se non il vecchio Ratty McHugh dei tempi della scuola? Alla vista di un volto venuto da un passato di colpo troppo misurabilmente innocente, incominciò a tirar su col naso, non abbastanza da imbarazzare qualcuno, ma cosí sorprendente per entrambi, che il vecchio Ratty si sentí di indagare.
Benché Cyprian avesse ormai messo a punto una piú chiara idea delle conseguenze in cui sarebbe incorso parlando dei propri maneggi con il colonnello – la morte non essendo certamente da escludere, la tortura nemmeno, e non della varietà piacevole che subiva da parte del suo misterioso cliente, ma di quella piú seria, nondimeno ebbe l’impulso quasi sessuale di raccontare tutto a Ratty in un grande empito noncurante, e vedere quanto, in effetti, sarebbe rimbalzato al colonnello, e che cosa sarebbe successo dopo. Si era intuitivamente tenuto alla larga da qualsiasi ipotesi riguardo agli attuali datori di lavoro del suo vecchio compagno di scuola, e soprattutto riguardo a quale specifica Scrivania. Con la sensazione di muovere un passo dentro una stanza narcoticamente profumata e priva di luce, calibrando la seduttività del tono, sussurrò: «Tu credi di potermi fare uscire da Vienna?»
«In che razza di guaio sei finito?» Naturalmente Ratty doveva sapere. «Esattamente».
«Esattamente…»
«Io sono in regolare contatto con persone che potrebbero aiutarti. Pur non avendo titolo per parlare a loro nome, la mia impressione è che piú sarà preciso il tuo ragguaglio, piú in là saranno pronte ad arrivare». Il vecchio Ratty non aveva mai parlato con tanta cautela.
«Senti» Cyprian pensò di poter spiegare, «non è che uno cominci con l’intenzione di vivere cosí… “Oh, come no, pensavo d’intraprendere la carriera del sodomita. Però… forse non tanto al Trinity, quando al Kings’…” Se uno voleva qualcosa come una vita sociale, era semplicemente la maschera che indossava. Inevitabile, credimi. Con ogni aspettativa, da parte nostra, di lasciarci tutto alle spalle dopo il ballo finale di maggio, e niente danni per nessuno. E chi poteva prevedere, piú di quanto l’attrice che si innamora del suo co-protagonista, che la finzione infine si dimostrasse piú desiderabile… strano a dirsi, piú duratura… di ogni cosa che il mondo civile avesse da proporre…»
Ratty, benedetto lui, non batté un ciglio piú del normale. «Le mie alternative erano un po’ meno colorite. Whitehall, Blackpool. Ma solo per lealtà, ti avverto che forse dovrai accettare, diciamo, un certo esame del carattere».
«Da parte del tuo gruppo. Saranno un po’ rudi?»
«Mascolini quanto mai, con poca o niente pazienza per nient’altro».
«Cribbio, proprio i miei tipi. Ti piace ancora fare scommesse folli, come nel tuo periodo a Newmarket? Alle quote giuste, ci scommetto che riuscirei a sedurre uno qualsiasi di quella virile brigata, a tua scelta. Non ci impiegherei piú di una serata».
Entro la settimana, Ratty gli aveva fissato un appuntamento con Derrick Theign, un funzionario di alta statura, segnato dalle responsabilità e, a giudicare dall’accento, di stanza a Vienna, forse, ormai da tempo. «Credo di star bene qui… piú di quanto si pensi, o cosí mi hanno detto. Anche se poi, dentro fino alle orecchie nei rapporti dal campo, dove è mai possibile trovare il tempo per un po’… be’, di quel che resta, insomma, se uno avesse in mente quelle cose lí, che naturalmente uno non le ha in mente, o non molto».
«“Non molto”. Oh, mio Dio».
«Ma devo dire che vado sempre cosí pazzescamente matto di queste bontà al cioccolato e lampone… le spiacerebbe se ce ne procurassimo… mah, forse sí, qualcuna, non da portare appresso, capisce, ma da mangiare qui, anche se fosse ben piú in fretta di quanto si possa considerare…»
«Derrick, se posso rivolgermi cosí a lei… non la sto “innervosendo”? Proprio io, un omino insignificante, che non minaccia nessuno? Non faremmo meglio…»
«No, niente affatto, è solo il… mmh. Lasci stare. Però…»
«Sí, continui, la prego… “il” cosa?»
«Il maquillage, sa, lo trovo…»
«Oh, mio Dio… ho di nuovo sbagliato a farmi gli occhi? Mi capita sempre. Da che parte, stasera?»
«No, no, quelli van bene, in realtà sembra tutto… be’, proprio uno schianto».
«Oddio, Derrick».
«No, intendo, se lo fa da solo? O lo fa fare da qualcun altro?»
«Deve avere ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Contro il giorno
  4. Parte prima. La luce sulle praterie
  5. Parte seconda. Spato d’Islanda
  6. Parte terza. Bilocazioni
  7. Parte quarta. Contro il giorno
  8. Parte quinta. Rue du départ
  9. Il libro
  10. L’autore
  11. Dello stesso autore
  12. Copyright