Insegnami la tempesta
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Insegnami la tempesta

  1. 248 pagine
  2. Italian
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Insegnami la tempesta

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Informazioni sul libro

C'è una donna ferma sulla soglia di un convento. Deve entrare, ma ha paura. Oltre quella soglia, lo sa, avverrà la resa dei conti. Perché è lí che si trova sua figlia, un'adolescente scappata di casa dopo l'ennesima lite con lei. Ed è lí che vive la persona che molti anni prima l'ha abbandonata senza una parola, per seguire la propria vocazione.
Dopo il successo de L'animale femmina, Emanuela Canepa torna a scandagliare i conflitti sotterranei che si annidano in ogni rapporto. Stavolta, lo fa attraverso tre figure femminili indimenticabili. Una madre, alla quale la figlia rimprovera un'esistenza di rinunce. Una figlia, che la madre ha sempre sentito inaccessibile. E una suora, che ha lasciato tutto, anche la sua piú grande amica, per abbracciare senza riserve il proprio destino. Tre donne profondamente legate tra loro, eppure in costante fuga l'una dall'altra. Perché ogni legame d'amore può diventare un cappio, e ogni distacco trasformarsi in battaglia.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2020
ISBN
9788858433386

Parte seconda

11.

Irene, seduta dietro la scrivania, sembrava identica. Il viso era appena piú largo, come se avesse guadagnato qualcosa in fermezza, per il resto era la stessa di allora, a parte l’abito che Emma non le aveva mai visto addosso. La testa però era scoperta, senza velo.
Non sorrideva. Era in attesa.
Aveva un libro aperto davanti a sé, forse un registro, e una matita di traverso sulla pagina. I gomiti poggiavano sul volume e le mani erano intrecciate in una stretta salda, forse studiata per impressionare.
Emma era determinata a parlare per prima. L’abitudine alle buone maniere la tradí. – Grazie per avermi avvisato.
Le bastò dirlo per sentirsi messa all’angolo. Eppure era lei quella che aveva tutti i diritti di essere furiosa per ciò che stava accadendo, anche al netto del passato, e delle colpe di Irene, che erano irrimediabili.
– Non avevo alternative, – rispose l’altra. – Sei sua madre.
A differenza del viso, la voce era molto cambiata. Il timbro si era abbassato e aveva preso una coloritura austera. Era cosí sorprendente che Emma si meravigliò per non averlo notato al telefono, la sera prima.
Poi, senza preavviso, una fitta di dolore le perforò la nuca. Durante l’ultimo tratto di strada aveva avvertito l’arrivo di un attacco di emicrania, e da mezz’ora sentiva crescere un malessere discontinuo.
Un raggio di calore la colpí in mezzo alla fronte. Strizzò gli occhi per un paio di secondi, le immagini erano offuscate. Li riaprí e si accorse che Irene si sporgeva sulla scrivania verso di lei.
– Che ti succede?
– Niente. Voglio vedere Matilde.
– Sei molto pallida. Aspetta, ti porto dell’acqua.
Uscí velocemente dalla stanza.
Emma si accasciò su un bracciolo. Non sentí Irene aprire la porta e non la sentí rientrare. Un minuto dopo era accanto a lei con un bicchiere in mano.
L’amara ferocia della simmetria, pensò. La stessa identica scena di diciott’anni prima. Irene in camera sua, china verso di lei con un bicchiere d’acqua in mano, che diceva di volerla aiutare. La certezza di Emma di potersi fidare. Era strano pensare che in fondo anche allora tutto ruotava intorno a Matilde.
Una nuova fitta la obbligò a strizzare gli occhi. Li coprí con i palmi delle mani.
– Tu non stai bene, – disse Irene.
Emma tolse le braccia dal viso. – Lasciamo perdere la mia salute. Voglio vedere mia figlia. Voglio sapere perché era qui, come ha scoperto dov’eri, e soprattutto cosa pensa di volere da te.
Irene si sollevò e appoggiò sul tavolo il bicchiere. Poi fece il giro della scrivania e si rimise a sedere al suo posto.
– Sono quasi le stesse domande che potrei farti io. Non mi ha spiegato nulla. Si è fermata poco e ha parlato anche meno, perché era certa che saresti arrivata. Ieri sera ha dormito qui, e stamattina ha preso la corriera per Arezzo.
– L’hai lasciata andare?
– Le ho proposto di fermarsi, ma era molto decisa.
– Sai che è incinta?
– È stata la prima cosa che ha detto.
– Ha appena diciotto anni.
Irene sorrise, e si appoggiò allo schienale.
Emma scattò con rabbia. – Cos’hai da ridere? Ti sembra normale?
– Scusami, non volevo essere indelicata e cerco di non giudicare. Posso dirti che mi ha dato l’impressione di essere molto consapevole di sé. Non è la prima ragazza in queste condizioni che si presenta qui. Sono sempre spaventate, com’è normale che sia. Forse lo era anche lei, ma pareva in grado di affrontare il problema in modo razionale. In ogni caso non abbiamo parlato a lungo. Non escludo di sbagliarmi.
– Ti avrà detto dove aveva intenzione di andare, con chi?
– No, nulla. Solo che forse mi avrebbe chiamato nei prossimi giorni. Voleva chiedermi delle cose.
Emma avvertí una fitta di gelosia, poi di spavento. Non si rassegna, pensò. Vuole sapere dell’aborto, e viene direttamente alla fonte.
Si sollevò sulla sedia, stringendo forte il bracciolo. – Non ti credo. Deve essere ancora qui. Tu la nascondi.
– Perché dovrei fare una cosa del genere? E soprattutto perché ti avrei chiamata, se avessi voluto questo? Ti garantisco che non è qui.
Emma non seppe cosa rispondere. Uno strazio appuntito le opprimeva lo stomaco. Poi avvertí una nuova fitta in mezzo agli occhi. Non riuscí a trattenere un lamento breve.
– Hai bisogno di stenderti, per favore, – disse Irene e tornò al suo fianco.
La strinse per aiutarla ad alzarsi, ed Emma riconobbe la presa salda e forte delle sue dita, che ricordava benissimo. Cercò di tenerla distante, ma perfino un gesto cosí semplice le risultò impossibile. Le fitte peggioravano, ma era l’insulto di sentire Irene vicina e dipendere ancora in quel modo da lei a risultarle insopportabile. Oppose resistenza, durò poco. Era tutto troppo grande per la riserva di forza che le restava. Smise di dimenarsi, e accettò di lasciarsi accompagnare fuori dalla stanza.

12.

Matilde scese dalla corriera alla stazione di Arezzo. Era mezzogiorno. Non aveva nessuna idea di dove andare ma non era pronta a tornare a casa. Passeggiò senza meta per un’ora, si spinse fino in periferia, infine tornò verso il centro e trovò una stanza per passare la notte. Aveva bisogno di dormire.
La mattina successiva si svegliò molto presto e con le idee finalmente chiare sulla destinazione. Intorno alle otto salí sul primo treno diretto a Firenze. Non c’erano Frecce disponibili su quella tratta, ma non le dispiacque, poteva tenersi in tasca qualche soldo in piú. Si accontentò di un regionale.
Il treno era sporco e quasi vuoto. Il vagone oscillava instabile sulle rotaie con un frastuono assordante. Matilde gettò lo zaino accanto al finestrino e si lasciò scivolare sul sedile. La notte non l’aveva aiutata a superare la delusione per quello che era successo. Ancora una volta si sentiva defraudata di qualcosa di suo.
Era riuscita a parlare con Irene e le cose erano andate in modo molto diverso da come si aspettava. Credeva di essere lí perché aveva capito che c’era qualcosa di sua madre che solo quella donna avrebbe potuto dirle. Invece per tutta la durata del viaggio l’idea della sua gravidanza l’aveva assillata, come se avesse avuto bisogno di qualche settimana per diventare tangibile. Al tempo stesso le mancava ancora la consapevolezza fisica. Le pareva una messinscena. La percezione del suo corpo non era cambiata, e tutto sembrava innaturale, artefatto. Ogni tanto, per brevi istanti, avvertiva una traccia flebile, sottile e intermittente. Qualcosa che veniva da uno spazio invisibile e cavo dentro di lei.
Quando finalmente aveva incontrato Irene, invece di chiederle di Emma, per prima cosa le era uscita di bocca la verità. «Sono incinta». Forse aveva la necessità di testarla, forse di provocarla. Però si era pentita subito. Cosa poteva aspettarsi da una suora? Irene invece non si era scomposta. «Che pensi di fare?» E la domanda aveva sorpreso cosí tanto Matilde da farle dimenticare il resto. Aveva trovato quello che le serviva. Uno spazio di sincerità senza giudizio, e un ascolto rispettoso, soprattutto libero dall’inquietudine.
Su una questione però Irene era stata irremovibile. «Puoi rimanere quanto vuoi, ma tua madre deve sapere che sei qui», e non c’era stato verso di farle cambiare idea. Matilde aveva dovuto mandare giú la frustrazione. A quel punto aveva capito che non avrebbe potuto restare. Sapeva che Emma sarebbe arrivata.
Il vagone lentamente si stabilizzò. Il rollio si disfece in una vibrazione metallica e il cigolio perse energia. La distanza che si allargava fra lei e sua madre le restituí tranquillità.
Il treno fermò in tutte le stazioni senza saltarne una. A Firenze Matilde scese a mangiare un panino e salí su un diretto per Bologna. Da lí ancora un locale per raggiungere Cesena.
Rintracciare Irene non le era costato molta fatica, aveva chiamato sua nonna. Strano che l’argomento non fosse mai saltato fuori in precedenza. Agata sembrava attendere da anni l’occasione per dire la sua.
«Non mi è mai piaciuta. Non basta chiudersi in convento per la santità, e anche prima era chiaro che si trattava di una squilibrata. Comunque non so piú niente di lei da vent’anni».
«Quale convento?»
«Non ne ho idea».
«Non conosci la famiglia?» si ostinò Matilde. La sentiva intenta a mettere ordine. Il rumore cresceva di intensità. Posate, vasellame, ante accostate senza grazia. Una donna condannata a un moto franoso, come una valanga che si gonfia lungo il pendio di una montagna.
«Mi pare che fosse orfana di padre».
«Un cognome, almeno».
«Matilde, ti dico che non ricordo. Forse la madre vive ancora da queste parti, la vedo ogni tanto a messa. Ma potrei sbagliare».
Matilde insistette e alla fine Agata accettò di chiamare il parroco, che capí subito. La madre di Irene era ancora molto attiva nella comunità del quartiere. L’uomo le telefonò, e lei non si sottrasse alla richiesta di incontrare Matilde.
Si erano viste un paio di settimane prima, nel tardo pomeriggio, sugli spalti del campo da calcio dietro la chiesa. Il cemento ocra era scolorito e pieno di crepe. Sullo sfondo l’abside in mattoni gettava un’ombra che si allungava sulla tribuna opposta.
La madre di Irene era arrivata per prima. Matilde la individuò appena passato il cancello dell’oratorio. Lei si voltò sentendola arrivare. Era una donna minuta, il genere di creatura pavida e vibrante, sempre in oscillazione. Gli occhi scuri, le sopracciglia sottili, un viso arrossato e senza trucco. Le mani erano bollenti, come se tutto il sangue del corpo le defluisse nei palmi. Matilde se ne accorse perché, quando tese la sua per presentarsi, la donna in un impeto la strinse forte avvolgendola tra le braccia. Matilde avvertí il calore intenso attraverso il tessuto della camicia.
«Me la ricordo bene, tua madre, – le disse, continuando a tenerla stretta per le spalle. – E mi ricordo anche di te».
Matilde ebbe una reazione di sorpresa. «Davvero?»
L’altra annuí con vigore. «Mi venne a trovare pochi mesi dopo i fatti, sai di cosa parlo. Irene era entrata da poco…» fece un cenno d’intesa sollevando il mento, come riferendosi a un segreto che sarebbe stato inopportuno pronunciare ad alta voce. «Tu avevi tre o quattro mesi. Dormivi. E per tutto il tempo sei rimasta completamente immobile. Nemmeno un sospiro, un tremito. Sembrava che avessi lasciato il corpo. Credo di essermi anche spaventata. Ma Emma disse: no, lei è sempre cosí. Non ti accorgi nemmeno che c’è».
Poi chinò il capo. «Non ce l’ho con Emma, anche se non l’ho piú sentita. La capisco. Io stessa ho fatto tanta fatica ad accettare. La fede aiuta fino a un certo punto».
Le fece un breve resoconto a testa china, con le mani intrecciate sulle ginocchia.
È curioso, pensava Matilde ascoltandola. Una donna molto cattolica che frequenta la parrocchia quotidianamente. Sua figlia si converte all’improvviso, e lei ne parla come se fosse una disgrazia.
«Non so bene perché sia accaduto. Irene era davvero l’ultima persona al mondo che potesse fare una cosa del genere. Da quando ha compiuto dodici anni non ha piú messo piede in chiesa. Testarda, un vero mulo. E poi è finita cosí. Mi dicono che dovrei essere felice». La guardò come in attesa del suo permesso. «Dovrei, vero?»
Chissà quante volte il prete l’ha consolata in quel modo, pensò Matilde. Chissà se ha mai funzionato.
«Suppongo di sí, – concluse l’altra senza attendere risposta. – Un figlio trova Dio e si lascia tutto alle spalle. Devo essere contenta ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Insegnami la tempesta
  4. Parte prima
  5. Parte seconda
  6. Nota al testo
  7. Ringraziamenti
  8. Il libro
  9. L’autrice
  10. Della stessa autrice
  11. Copyright