Fino all'alba
eBook - ePub

Fino all'alba

  1. 120 pagine
  2. Italian
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Informazioni sul libro

È sera. Una donna esce di casa e si chiude la porta alle spalle. Fa una passeggiata di pochi minuti, poi affretta il passo, irrequieta. Torna indietro. Sale di corsa le scale, riapre la porta: il bambino dorme ancora, non si è accorto di niente. La donna sa che lasciare il figlio di due anni da solo è pericoloso, ma durante le brevi fughe notturne le sembra finalmente di respirare: può dimenticare di essere una madre single, con un lavoro precario, senza aiuto né compagnia in una città nuova e impietosa. Per inseguire quella libertà clandestina allora ogni volta osa di piú. Ma quanto lontano può spingersi, fino a quando può scherzare con il fuoco? «Vicino, vicino». Lei tenta di ignorare quella voce flebile che la implora dall'altra stanza, ma sa che non resisterà a lungo. Si alzerà nel cuore della notte per andare dal suo bambino di due anni. Per prendergli la mano, rassicurarlo: la mamma è qui, dove vuoi che vada? Preferisce non immaginare cosa succederebbe se il bambino si svegliasse durante le sue uscite notturne. A volte, infatti, le capita di fare due passi intorno all'isolato, qualche minuto, per prendere un po' d'aria. Non è una madre irresponsabile e sa che lasciarlo da solo è rischioso, ma a volte sente il bisogno di allontanarsi da quel nido soffocante, da quell'appartamento che è rifugio e prigione al tempo stesso. Perché da quando è nato il bambino, vive con lui in una simbiosi totale: il suo compagno l'ha abbandonata, in città non ha famiglia né amici, non può permettersi la retta dell'asilo o di pagare una baby-sitter e non riesce a dedicare il tempo necessario al suo lavoro, già precario, di grafica freelance. E il mondo sembra accanirsi contro di lei: la burocrazia è un rebus irrisolvibile che l'affligge, i vicini le lanciano sguardi di biasimo - «è la madre sola del sesto» -, una svista le è valsa l'ostilità dei genitori al parco - il piccolo è caduto dallo scivolo, succede quando le madri sono «tutte prese dal loro smartphone» -, impiegati di banca e ufficiali giudiziari fanno a gara per ricordarle che sta esaurendo le risorse. In cerca di confronto - e conforto -, la protagonista ricorre a internet, legge sui forum le opinioni di altre con una situazione analoga alla sua. Ma anche in rete si imbatte in un muro di ipocrisia e perbenismo. Avvilita, scorre i commenti crudeli di chi si scaglia contro le madri single che non riescono a organizzarsi, che sanno solo piangersi addosso, che alla fine se la sono cercata. Tra senso di colpa e voglia di libertà, la donna continua allora a concedersi quelle evasioni imprudenti. Ma la meta è ogni volta piú lontana, e sempre di piú il tempo che il bambino passa da solo in casa. Fino al giorno in cui è impossibile tornare indietro...«Questo libro ci tiene in ostaggio. Come la protagonista, restiamo in apnea, desiderosi di uscire, respirare. Ma la bravura di Carole Fives sta nel farci rimanere incollati alle sue pagine implacabili, fino alla fine, fino ad avere l'impressione di leggere di noi stessi».
«Le Parisien»

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2020
ISBN
9788858433416

Evadere

1.

Con che tranquillità il bambino ha mangiato la pastina, la verdura. Ha persino finito lo yogurt alla fragola, il biberon di latte tiepido. Cosí dovrebbe essere a posto.
Gli ha letto una favola, gli è rimasta accanto finché i pugnetti non hanno allentato la presa, lasciandole finalmente libera la mano.
Ha aspettato per qualche altro minuto, nel buio della stanza appena disturbato dallo stroboscopio della lampada notturna a forma di coniglio.
La porta d’ingresso, che lei si chiude alle spalle con mille precauzioni.
Nell’atrio si accende la luce automatica.
Fuori c’è ancora tanta gente.
Un bel vento fresco.
Camminare, solo camminare. Giusto il giro dell’isolato.
Dalle finestre aperte di un appartamento esce musica, ritmi di salsa. Intravede delle sagome. Voci canticchiano in spagnolo un ritornello che non conosce. Qualcuno si affaccia, lei affretta il passo.
Si blocca davanti alla vetrina di un’agenzia immobiliare. Gli annunci brillano sugli schermi LCD. Ultimo piano con terrazzo, 1100 euro. Trilocale soleggiato, 850. La campagna in città, casa + giardinetto, 1200. Posizione ideale, biesposto est-ovest, 850. Graziosa soluzione in tipico stabile d’epoca, salita della Croix-Rousse, 880.
Piú in là un altro appartamento, un’altra festa. Un suono piú rock, piú potente.
Un rider in motorino la evita per un pelo, sul marciapiede, lei sobbalza e per poco non si scusa.
Un gruppetto un po’ alticcio attraversa la strada sbraitando la hit dei Phenomenal Club, il est vraiment! il est vraiment phénoménal.
Ma già lo smartphone le vibra in tasca.
Rallenta, si gode gli ultimi passi.
La chiave elettronica per il portone d’ingresso, le scale a quattro a quattro.
Sesto piano a destra.
Riapre la porta, con il fiato corto.
Dentro è tutto come prima.
Nella cameretta il respiro arrochito del bambino.
È ancora raffreddato, domani gli farà un lavaggio nasale, anche se lui lo odia.
Per questa sera basta cosí.
Ormai possiede quel tesoro, potrà riprovarci.

2.

Erano bloccati, intrappolati, nella minuscola sala d’attesa.
Una donna le brandiva sotto il naso un seno enorme, contro il quale poi premeva la testa di un neonato tenuto a tracolla nella fascia porta bebè. Sul divano, una madre con il velo faceva ascoltare alla sua bambina filastrocche pescate dallo smartphone. Trotta trotta cavallino scandiva il dispositivo. Neanche un giocattolo, in quella stanza, non un libro, non uno scassatissimo camion dei pompieri e nemmeno un misero peluche, forse era un pediatra convinto che i bambini non avessero bisogno di giocare, un cretino, ovvio, le mancava solo quello, quell’ulteriore sfinimento.
Avrebbe dovuto fidarsi dei pareri postati su Google a proposito di Alain Gérard, pediatra a Lione, nel V arrondissement.
Myriam M non scriveva forse, il 12 dicembre, solo tre mesi prima, che lo specialista si era rifiutato di pesare e misurare sua figlia con la scusa che gli era stata chiesta una visita urgente per una banale otite? Aveva addirittura insinuato, precisava Myriam M, indignata, che la bambina «faceva un sacco di scene», e alla fine l’aveva trattata da «principessa sul pisello». Però a sfoderare la macchinetta per il bancomat, ah sí, il pediatra era bravissimo, e Myriam M concludeva: «Sessanta euro per tre minuti, un furto!»
Come mai le norme sulla privacy di Google non avevano bloccato quel post, e come mai il pediatra, ladro o meno che fosse, aveva permesso che qualcuno potesse leggerlo digitando il suo nome sul motore di ricerca? Mistero. Ma il parere di Myriam M confermava la sua prima intuizione, intuizione a cui in genere non dava mai retta, intuizione che anzi aveva passato la vita a contraddire, e guarda che fine aveva fatto. Eppure era stata un’amica a passarle il nome del dottor Gérard, sí, le aveva mandato un messaggio precisando che probabilmente era il medico piú indicato per suo figlio perché, scriveva, «è esperto di TCC». Lei non sapeva di preciso che cosa significasse la sigla TCC, turbe del comportamento, turbe del carattere, tanto tanto collerico? Si era affrettata a fissare un appuntamento, e solo ricontrollando l’indirizzo, il giorno prima, si era imbattuta nel post di Myriam M.
Troppo tardi, l’appuntamento era per le quattro, e ormai erano le cinque e mezzo, e ormai stazionavano lí da quasi due ore.
La donna del seno era stata ricevuta dal dottore, la bambina e sua madre pure, in sala d’attesa restavano solo loro due, e un uomo sulla quarantina di cui fino a quel momento aveva a malapena notato la presenza, forse aspettava la moglie o il figlio, e intanto si tormentava nervoso la barbetta. Finalmente lo specialista ricomparve, e mentre lei si accingeva ad alzarsi in piedi pronunciò un altro cognome, un cognome completamente diverso dal suo, l’uomo con la barba si alzò, i suoi mocassini a punta cigolarono sul linoleum della sala d’attesa, e sparí dietro il pediatra. Suo figlio la guardò preoccupato: – E il dottore?
Lei assunse un tono tranquillo e rassicurante: – Fra poco tocca a noi.
Dovettero aspettare un’altra ora, la passò chiedendosi cosa mai ci facesse un quarantenne nello studio di un pediatra, ancorché specialista della misteriosa TCC. Soffriva di sintomi particolari che solo un esperto della prima infanzia poteva alleviare? Era rimasto bloccato allo stadio anale o orale? Bagnava ancora il letto? Si alzò per aprire l’unica finestra. Prese in braccio il bambino e guardarono il paesaggio che avevano davanti: un cortile asfaltato sul quale si affacciavano altre finestre silenziose, e in mezzo un albero, un albero enorme di cui il bambino osservò le foglie, il fremito delle foglie nel crepuscolo.
Alla fine il pediatra era ricomparso. In camicia di lino con il colletto aperto e pantaloni chiari di tela, abbronzato, faccia distesa grazie a una pratica, che lei immaginò estrema, della sofrologia, il dottor Gérard intimò loro di accomodarsi. Tamburellava le dita robuste sul quadrante dell’orologio come se madre e figlio fossero entrambi in ritardo, come se, pur temendo quel momento, non lo stessero aspettando da ore.
La stanza era cieca, senza finestre né porte, tranne quella da cui erano entrati, che sembrava anch’essa eclissarsi mentre la varcavano.
– Lei non è una mia paziente! Che ci fa qui?
Avrebbe voluto chiedergli dove fosse finito l’uomo con i mocassini a punta, da che porta a scomparsa e per quale scala segreta lo avesse fatto sparire, cosí come le altre persone con cui aveva condiviso la sala d’attesa. Doveva chiederselo anche il bambino, perché si avvicinò a un armadio e cercò di socchiudere il battente di metallo.
– Giú le mani, – borbottò il pediatra.
– Io… È stata… un’amica a darmi il suo nome… a parlarmi di lei… mi ha consigliato di…
Compitò il cognome dell’amica, R.I.C.H.E.U.X., Hélène Richeux. Come un’offerta, un segno di riconoscimento. Non era una sua paziente, no, ma non era neanche lí per caso, non lo aveva trovato sulle pagine gialle, non era una come Myriam M, una che disturbava l’eminente pediatra per una banale otite, lei sapeva che era specialista di TCC… Il cognome dell’amica non sembrò dire alcunché ad Alain Gérard, che accantonò l’informazione con un gesto, procediamo.
Il bambino le si arrampicava sulle ginocchia, come se volesse assicurarsi della presenza di sua madre in quella stanza, come se si chiedesse anche lui se quella scena era reale.
Il piccolo soffriva di prurito, e parve scusarsene con Alain Gérard, si grattava, insomma di tanto in tanto gli comparivano chiazze sulle gambe, sulle ginocchia, chiazze che poi si trasformavano in croste, intanto lei riacquistava sicurezza e continuava, anche sui gomiti…
– E allora?
Ripeté, a sua volta:
– E allora cosa?
Alain Gérard si irrigidí:
– Chi le ha detto che faccio miracoli? Non sono mica un mago.
Il bambino scoppiò a ridere, riconosceva la parola, un mago, un clown, un numero da circo, allora era per quel motivo che aspettavano da ore, che sorpresa insperata.
– Pensavo che forse il prurito ha un significato… e poi c’è anche il sonno, si sveglia ancora tutte le notti…
Alain Gérard scribacchiò qualcosa sul libretto sanitario del bambino.
– Sessanta euro.
Ed estrasse dal cilindro non un coniglio, no, e neanche una colomba o un fazzoletto immacolato, ma una scatolina scura per carte di credito.
Lei respirò a fondo e, per darsi coraggio, pensò a Myriam M, che ci era già passata.
– Posso farle un assegno?
Alain Gérard sbatté il Pos sul tavolo mentre lei tirava fuori il libretto degli assegni. Quel particolare, no, non era un semplice particolare, le ricordava un aneddoto che circolava a proposito di un noto psicoanalista. Gli era parso intollerabile che un paziente si rifiutasse di pagarlo in contanti. Allora aveva aperto il cassetto della scrivania e tirato fuori una mazzetta di banconote che si erano sparse per tutta la stanza. Mentre sbraitava qualcosa tipo: «Voglio contanti, contanti!»
Ma non ricordava bene quell’aneddoto sullo psicoanalista, non ricordava mai bene le storielle, buffe o meno che fossero.
Poco dopo erano giú in strada. Allacciò l’imbracatura di sicurezza al piccolo, che si addormentò subito nel passeggino. Il passeggino correva, correva sul pendio della Croix-Rousse. La faccia abbronzata di Alain Gérard li inseguiva, sembrava ridere di loro. Poi alla faccia del pediatra si sovrappose quella dell’uomo con i mocassini a punta. Il passeggino precipitava lungo la discesa mentre le risate dei due uomini vibravano nella notte di Lione.

3.

Si alza lentamente. Un solo gesto brusco e il bambino si sveglierà, pretenderà di nuovo che resti lí. «Vicino, vicino» reclama quando la sente allontanarsi. A lungo, quella sera, ha tenuto una mano sul pigiamino caldo, aspettando che il corpo del bambino si rilassasse e si abbandonasse al sonno. La porta della camera è socchiusa, la lampada notturna è accesa.
Il tempo che gli occhi si riabituino alla luce del corridoio e quello che le si presenta è un altro appartamento.
Un appartamento senza bambino, uno spazio a sé stante.
Ma sono quasi le dieci, la notte sarà breve, alle cinque, cinque e mezzo, lui si sveglierà, e ricomincerà: «vicino, vicino».
Chiude le imposte.
Per strada, gli autobus, i taxi, i bar…
La gente esce, si incontra, va al cinema. Una coppia abbracciata attraversa il viale, e se fosse il padre del bambino?
Accende il bollitore, prende una tazza pulita dalla lavastoviglie. Ha davanti a sé un’ora, un’ora e mezza. Si ricorda che deve ancora stendere il bucato. Poi mettere a posto i piatti. Nella casella di posta elettronica la aspettano messaggi urgenti.
Fa per accendere la radio su France Inter, ma dentro il lettore è rimasto un cd per bambini, e nell’appartamento risuona, a tutto volume, la musichetta della famiglia tartaruga che sta sul bagnasciuga, si avventa sull’apparecchio e lo spegne di colpo. Si accascia sul divano invaso di giocattoli. Un vero asilo nido, quel soggiorno. Ha appoggiato la tazza di caffè bollente sul tappeto interattivo. Cosa da non fare mai quando c’è il bambino. Si alza e sposta la tazza sopra la mensola del caminetto. Già che è in piedi, ne approfitta per mettere via la moto di plastica rossa che in quei giorni è il mezzo di locomozione quasi esclusivo di suo figlio. La infila tra la parete e il divano: in garage, pensa. Idem la biciclettina, poi il girello. Inciampa in un camion dei pompieri, o forse è un Lego.
Raccoglie i mattoncini colorati, li ripone in un bauletto di stoffa. Fa una cernita di quel che resta sul tappeto, da una parte gli animali della fattoria, dall’altra le macchinine, le carte del Memory sparpagliate, gli accessori della valigetta del dottore mescolati agli attrezzi del piccolo esperto di fai da te, minuscoli cacciaviti e martelli, gli utensili da cucina, posate, piatti scompagnati, un pomodoro di plastica finisce, insieme ad altra verdura, in un cestino… ci ficca dentro anche qualche frutto, ananas, pera, un uovo bianchiccio, tanto che differenza fa?
Rimette il plaid sul divano, i cuscini sul plaid, raddrizza la lampada del soggiorno il cui paralume ha subito un brutto colpo, probabilmente di pallone, ah ecco, i palloni, li raccoglie e li nasconde sopra l’armadio dell’ingresso, giusto perché il bambino non ci pensi appena sveglio, ed eviti di dribblare alle cinque del mattino sulla testa dei vicini del piano di sotto. Sistema amorosamente i giocattoli, riordina tutto perché l’indomani il soggiorno sia accogliente, il tavolino ben pulito, nel caso che al bambino venga voglia di appoggiarvi sopra un foglio e disegnare, o di ritrovare in ordine la sua piccola batteria da cucina, i coltelli con i coltelli, le casseruole con le padelle. All’alba si precipiterà sui giocattoli, e avrà inizio una nuova giornata. Le sembra di averlo sentito gemere nella cameretta, resta immobile sul tappeto interattivo. Non svegliarti. Non ancora.
Il caffè è freddo, appoggia la tazza nel lavello. Si stira. Ha il fondoschiena dolorante, a furia di portare in braccio il bambino. Mamma, braccio braccio. Spesso si sorprende in questa posizione, mani sui fianchi, bacino spinto in avanti, come quando era incinta. Spesso si sorprende a parlare di sé in terza persona: «La mamma fa questo, la mamma deve fare quest’altro».
In bagno la vasca è piena di giochi, anatrine, canne da pesca, annaffiatoio, si china, li raccoglie a uno a uno, li mette ad asciugare sul bordo, poi si occupa del tappetino e del pavimento, entrambi bagnati. Getta nel cesto del bucato gli asciugamani umidi e gli indumenti di quel giorno, alla rinfusa. Si lava i denti in meno di un minuto. Il bucato. Quasi dimenticava il bucato da stendere. Apre il cestello della lavatrice, tira fuori gli indumenti umidi e li mette in una bacinella di plastica. La porta in camera da letto. Lo stenditoio è già stracarico di una lavatrice p...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Fino all’alba
  4. Evadere
  5. Passare il weekend
  6. Tirare la corda
  7. Il libro
  8. L’autrice
  9. Copyright