Non esiste saggezza
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Non esiste saggezza

Edizione definitiva

  1. 224 pagine
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Non esiste saggezza

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Informazioni sul libro

Donne che appaiono all'improvviso e all'improvviso scompaiono. Uomini alla ricerca di qualcosa che ignorano e che li spinge oltre i confini del prevedibile. Situazioni consuete che d'un tratto virano nei territori dell'inquietudine. Interviste impossibili. Storie d'amore che nascono nei luoghi piú inattesi, in bilico fra sogno e realtà.
«Un sorriso lieve le si dipinse sulle labbra a quel ricordo. Sembrava parlasse di una storia d'amore, di un primo bacio, non dell'inseguimento di uno scippatore».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2020
ISBN
9788858434253

La velocità dell’angelo

Mi piace andare a scrivere nei bar. È una vecchia fissazione, da quando ero ragazzo e leggevo Hemingway, e pensavo che andare a scrivere negli esercizi pubblici fosse un requisito indispensabile per diventare scrittore.
Ho smesso di leggere Hemingway da anni, ho addirittura trovato il coraggio di dire che, alla fine dei conti, non mi piace cosí tanto e che alcuni suoi romanzi possono essere piuttosto noiosi – a volte parecchio noiosi – ma l’abitudine di andare a scrivere nei bar mi è rimasta.
Era un tardo pomeriggio di settembre. Il posto si chiamava – non so se esista ancora – Caffè del Pescatore e non aveva nessuna particolare attrattiva, a parte una piccola terrazza con la vista sui frangiflutti e poi sul mare, e la quasi totale assenza di altri avventori.
Mi sedetti, ordinai un bicchiere di vino bianco freddo, aprii il computer e cominciai a scrivere. Se lavoro nel mio studio mi distraggo ogni cinque minuti; nei luoghi pubblici invece sviluppo una misteriosa concentrazione e scrivo a lungo, quasi senza accorgermi delle ore che passano.
Riemersi dalla scrittura dopo un tempo imprecisato, due bicchieri di vino e un piatto di taralli, olive e provolone. Adesso un paio di tavoli erano occupati. Davanti a me c’era una coppia di ragazzi vestiti di nero da capo a piedi che fumavano sigarette piuttosto puzzolenti, bevevano birra, mangiavano patatine fritte.
Seduta alla mia destra c’era una donna in pantaloni cargo e maglietta bianca. Aveva il corpo di un’atleta in forma – asciutta, braccia magre e muscolose, spalle larghe – ma il viso segnato da rughe come cicatrici di rasoio, orizzontali sulla fronte, verticali ai lati della bocca.
Sul suo tavolo c’erano una birra, un panino e un quaderno a spirale. Scriveva qualcosa, con la fretta sincopata di chi cerca di tener dietro a un pensiero e teme possa sfuggirgli. Poi dava un morso al panino e beveva un sorso di birra. Quindi tornava a scrivere. Emanava un misto di padronanza, urgenza, precarietà e – mi ci volle un po’ per metterlo a fuoco – anche un vago senso di minaccia. Era impossibile non guardarla.
A un certo punto si alzò, fece qualche movimento per sgranchirsi e mentre si tirava un ginocchio verso il petto, da una tasca dei pantaloni le cadde a terra una manciata di monete. Colpirono il pavimento con il rumore di una breve raffica e molte rotolarono fin sotto la mia sedia. Mi alzai per aiutarla a raccoglierle.
– Grazie, – disse alla fine mentre eravamo in piedi uno di fronte all’altra, a metà strada fra il suo tavolo e il mio.
– Come mai porta con sé tutti questi spiccioli?
Era una cosa detta cosí per dire, ma lei parve prenderla sul serio. Lasciò passare qualche secondo, soppesando la mia domanda, poi decise di rispondere.
– Sono per i mendicanti.
– In che senso?
– Porto sempre un po’ di monete per i mendicanti.
– Come Matthew Scudder.
– Chi?
– È il protagonista di una serie di romanzi ambientati a New York. Un ex poliziotto, investigatore privato. Lui fa qualcosa di simile. Quando viene pagato per un lavoro cambia una parte dei soldi in banconote da un dollaro per darli ai mendicanti che incontra.
– Un ex poliziotto, – disse lentamente, come se fosse un’espressione che non aveva mai sentito prima e di cui doveva valutare bene il significato.
– Sí, conosce questi romanzi?
– No –. Fece una lunga pausa, guardandomi come cercasse qualcosa che le sfuggiva. – Sono dei polizieschi?
– Sí.
– Non sono la mia lettura preferita, i polizieschi. Diciamo che non ne leggo proprio.
– Cosa legge?
– Quello che capita. Cerco di recuperare.
– Recuperare?
– Ho cominciato a leggere, davvero, solo qualche anno fa –. Prima di andare avanti scosse la testa come per scacciare un insetto. – Da ragazza mi piaceva solo lo sport.
– Dobbiamo proprio restare in piedi?
Ci sedemmo al mio tavolo. Chiamai il cameriere, che era un personaggio decisamente surreale. Sulla sessantina, treccine rasta e l’espressione vaga di uno che ha appena fumato qualcosa di serio. Gli ordinai un altro bicchiere di vino bianco per me e una birra per lei.
– Che sport faceva?
– Mi riusciva facile quasi tutto, ma soprattutto correvo veloce. In seconda media ero la piú veloce della scuola, maschi inclusi.
Bob Marley arrivò con il vino, la birra e un toast tagliato in quattro.
– A me sarebbe bastato non essere il meno veloce della classe.
Mi guardò per controllare se dicevo sul serio. – Va bene, ho esagerato. Non ero il meno veloce della classe ma non ero nemmeno fra quelli che riuscivano negli sport. Ne ho provati tanti, non ero bravo in niente e la cosa buffa è che invece per parecchi anni ho sognato di diventare un campione di qualcosa. Lei?
– Sono stata un’atleta. Dalla fine del liceo fino a venticinque anni lo sport è stato il mio lavoro. Facevo i cento e i duecento metri. Lei di cosa si occupa?
Che domanda strana, mi dissi. Lei di cosa si occupa. Occuparsi di qualcosa, che vuol dire? Occuparsi significa dedicarsi, badare, interessarsi. Accudire. Curarsi. Non lo so, davvero, di cosa mi occupo, pensai con un moto di sgomento.
– Scrivo romanzi. Prima facevo anche altro, ma da qualche anno ho lasciato tutto. Adesso scrivo e basta.
– È uno scrittore? – chiese con stupore genuino.
– Sí.
– E come si chiama?
Le dissi il mio nome e lei non lo conosceva. Le dispiaceva, aggiunse.
– È la prima volta nella mia vita che incontro uno scrittore. Che tipo di romanzi scrive?
Svuotai il bicchiere e feci cenno a Bob Marley di portarmene un altro. Era il quarto, cioè piú o meno una bottiglia. Da mesi avevo cominciato a bere troppo. Non era una buona cosa ma non avevo voglia di pensarci.
Che tipo di romanzi scrivo. Qualche anno fa avrei saputo rispondere abbastanza facilmente a questa domanda. Adesso non lo so.
– Che vuol dire?
– Qualche anno fa quello che scrivevo mi piaceva. Adesso invece non sono sicuro che da lettore avrei voglia di leggere libri come i miei. E cosí faccio fatica a dire che tipo di romanzi scrivo. Dev’essere una specie di sindrome da evitamento, una cosa in cui sono abbastanza bravo. L’evitamento, intendo.
Lei socchiuse gli occhi come sforzandosi di afferrare un’idea riottosa.
– Perché sta passando il suo tempo a chiacchierare con me? Non dà l’impressione di volermi rimorchiare.
– Bisogna stare attenti quando si parla con gli scrittori. Spesso, mentre ti ascoltano, stanno soprattutto pensando a come potranno utilizzare quella conversazione per il loro nuovo libro.
– Vuol dire che lei sta pensando a come utilizzare questa conversazione per il suo nuovo libro?
– A dire il vero quello che ci stiamo dicendo non ha molto a che fare con l’argomento del mio nuovo, ipotetico libro. Ma non si sa mai –. E poi, dopo una breve pausa: – E in ogni caso neanche lei dà l’impressione di volermi rimorchiare.
Un lieve sorriso, con una sfumatura ironica, le aleggiò sulle labbra.
– Di cosa parla questo libro?
– Ottima domanda. Il problema è che spesso uno non lo sa davvero di cosa parla il suo romanzo, fino a quando non lo ha scritto. Comunque sia, è una storia che ha come protagonista una donna dalla vita normale – qualunque cosa significhi: una vita normale –, del tutto eterosessuale, che un bel giorno si innamora di una ragazza.
Mi guardò come si guarda un fantasma. Per diversi secondi, come se avesse perso d’un tratto l’equilibrio o il senso della situazione. Stavo per chiederle se si sentiva bene, se era successo qualcosa, quando lei fece un gesto conclusivo con la mano. – Devo andare, sono in ritardo per il lavoro.
Che lavoro, a quest’ora? Che lavori si cominciano dopo le otto di sera?
Portiera di notte, tassista, poliziotta, farmacista, facchina all’ortomercato, infermiera, barista, conduttrice di un programma radio, netturbina, prostituta?
– Magari ci si rivede da queste parti.
Mi scrutò ancora per qualche secondo. Poi si alzò e andò via.
Quando arrivai al Caffè del Pescatore il giorno dopo, il sole era già tramontato. Lei era seduta al suo tavolo, davanti a sé un boccale di birra mezzo vuoto, il quaderno a spirale aperto, alcune matite sparpagliate. Aveva l’aria di essere lí da un po’.
– Buonasera, – dissi.
Mi guardò e sembrava non mi avesse riconosciuto. Fu uno sguardo prolungato e un po’ imbarazzante. Mi rispose quando stavo per spiegarle che ci eravamo incontrati la sera prima, che avevamo chiacchierato, che ero un bravo ragazzo, o roba del genere.
– Lei mi conosce?
– Se la conosco? Vuol dire: da prima di ieri?
Mi osservò a lungo, e sembrava cercasse nel mio volto i segni di una trama, di una strategia. Sembrava cercasse un significato nascosto. Alla fine parve rilassarsi.
– Mi scusi. È che… insomma, quello che ha detto ieri.
– Cosa ho detto ieri?
– Ha parlato del suo nuovo romanzo.
– È un’idea cosí brutta?
Accennò un sorriso.
– Vuole sedersi?
Mi sedetti e feci un cenno al rasta sessantenne. Lui annuí a distanza con espressione d’intesa e un minuto dopo arrivò con un bicchiere di vino e due coppette con olive e taralli. In realtà avrei voluto ordinare una birra, ma Bob Marley sembrava cosí soddisfatto – un professionista che fa con precisione il suo lavoro – che non me la sentii di rimandare indietro il vino.
– Allora, cosa c’è che non va con il mio romanzo, o meglio, per essere precisi: con la mia ipotesi di romanzo?
Lei si strinse nelle spalle e fu chiaro che, almeno per il momento, la domanda non avrebbe trovato risposta. Cosí decisi di cambiare argomento.
– Ieri è andata via dicendo che era in ritardo per il lavoro.
– La sera vado a fare compagnia a una coppia di persone anziane. Dormo da loro e la mattina dopo mi dà il cambio una signora georgiana. In realtà sono autosufficienti, mi pagano per la compagnia. Mi pagano per dormire e per sentirsi sicuri. Però faccio anche altri lavori –. Le ultime parole le disse con un tono di vaga giustificazione.
Se esiste uno stereotipo della badante, lei era esattamente agli antipodi. Quella risposta inattesa mi diede la percezione disturbante di qualcosa fuori posto. Come un’infiltrazione, un odore molesto, un accordo dissonante. Un sogno a occhi aperti, di quelli inquietanti che fai sul confine sottile fra la veglia e il sonno.
Una crepa sul muro.
– Perché mi ha chiesto se la conoscessi?
– Qualche anno fa la mia faccia è finita diverse volte sui giornali.
Scossi il capo. Non mi ricordava nulla e anche se a ripensarci adesso mi sembra strano, non mi venne di chiederle per quale motivo ci fosse finita, sui giornali. Lei bevve la birra rimasta nel boccale – è calda, pensai – e cominciò a rimettere in borsa le sue cose. Giocherellai con un tarallo, lo misi in boc...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Non esiste saggezza
  4. Non esiste saggezza
  5. Vigilie
  6. Il maestro di bastone
  7. Intervista a Tex Willer
  8. Giulia
  9. La velocità dell’angelo
  10. Città
  11. Mona Lisa
  12. Sommarie informazioni a Bogotá
  13. Il paradosso del poliziotto
  14. La doppia vita di Natalia Blum
  15. La forma delle nuvole
  16. Nota editoriale
  17. Il libro
  18. L’autore
  19. Dello stesso autore
  20. Copyright