Dieci splendidi oggetti morti
eBook - ePub

Dieci splendidi oggetti morti

  1. 152 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Dieci splendidi oggetti morti

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Le carte stradali Michelin sono diventate navigatori gps; i telefoni fissi sono silenziosamente scomparsi dagli ingressi delle nostre abitazioni. Le cose, talvolta, segnano distanze istantanee tra generazioni, per il resto, ancora vicine. Questo libro segue la traiettoria di dieci oggetti che sono cambiati sotto i nostri occhi. Osserva chi li utilizza ancora e chi non li degna piú di uno sguardo. Si domanda cosa accada in quel passaggio. Se nel momento in cui un oggetto diventa desueto qualcosa che era in esso vada perduto; se qualcosa muti in noi, dopo che lo abbiamo abbandonato: dalle mappe al telefono, dalla penna alla lettera, dalla macchina fotografica ai giornali. Cosí gli oggetti di uso comune, molte delle tecnologie che utilizziamo ogni giorno, potranno essere considerate come i punti cardinali su una bussola. Raccontano chi eravamo e chi siamo diventati.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Dieci splendidi oggetti morti di Massimo Mantellini in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Scienze sociali e Antropologia culturale e sociale. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2020
ISBN
9788858433638

I dischi

Ora la musica è tutta intorno
L’inferno è pieno di musicisti amatoriali.
G. B. SHAW1.
Verso la fine degli anni Settanta, dopo un periodo di grandi dissidi, si rompe il sodalizio artistico fra Lucio Dalla e il poeta Roberto Roversi, che aveva firmato i testi delle canzoni di Dalla per molti anni. Le ragioni delle reciproche incomprensioni oggi non ci riguardano. Quello che ci interessa è che a un certo punto, improvvisamente, il musicista, clarinettista, cantante, compositore che non ha praticamente mai scritto il testo di una canzone in vita sua e che non ha mai terminato le scuole superiori, deve prendere una decisione. Per qualche ragione che non sappiamo si butta, sceglie: scrive i primi veri testi di canzoni della sua carriera. Lo fa nel 1977, in un disco con una strana copertina di mare, terra e cielo.
Chi in quei giorni avesse messo per la prima volta sul piatto del giradischi quel vinile, avesse abbassato la puntina e si fosse accomodato in attesa delle prime note, avrebbe ascoltato prima una chitarra, poi un basso, poi il fischiettio di una melodia. E poi la voce di Dalla che, uscendo dal nulla, inizia a cantare le parole di Come è profondo il mare che lui stesso ha scritto.
Tutto era nuovo, infine. Tutto era perfetto.
Qualcosa di simile accadde poco meno di un decennio dopo, sempre dalle parti della musica italiana. Lucio Battisti, orfano dei testi di Mogol, pubblica nel 1986 il primo disco della sua nuova vita artistica assieme al poeta Pasquale Panella. La canzone che apre quel disco, intitolato Don Giovanni, potrebbe essere tranquillamente la colonna sonora di questo libro e si chiama Le cose che pensano.
A un certo punto, dopo aver richiamato nell’incipit del brano una poesia di Giorgio Caproni, Panella declama e Battisti canta che certe cose prolungano te.
Tutto era nuovo, infine. Tutto era perfetto.
Novità e perfezione sono rimaste racchiuse per molto tempo dentro un oggetto dall’estetica molto discutibile. Noi oggi tendiamo a non considerarlo troppo, anche perché nel frattempo quell’oggetto ha intrapreso un percorso di rinascita che lo accomuna ad altri simboli di un passato recente: come certe automobili, certi televisori, certe lampade, alcuni altri oggetti iconici. La carica affettiva che abbiamo depositato sopra simili cose che prolungano te ha giocato in questo un ruolo importante.
Il disco nero di vinile, in ogni caso, comunque lo si osservi, resta un pezzo di plastica dalla forma scomoda e ingombrante: è troppo grande, sottile come una pizza margherita, fragile, attira-polvere, facilissimo ai graffi, da rigirare dopo una trentina di minuti di ascolto. Col senno di poi una specie di Caporetto del design e dell’ergonomia del primo dopoguerra. E il giradischi, con la sua sottilissima puntina da appoggiare fra i solchi delicatamente è il suo fratello di sangue. E le macchine lavadischi, costose idropulitrici per audiofili a tamponare le incertezze del design, la loro conseguenza inevitabile.
Nonostante questi limiti il disco è stato un oggetto sentimentale potentissimo, un deposito di fitte informazioni, molte delle quali, a quei tempi, non diversamente disponibili. Alla plastica nera erano acclusi spesso i testi delle canzoni, le foto di studio scattate durante la registrazione, immagini che noi avremmo analizzato con cura: il cartone rigido che proteggeva il disco portava talvolta alla nostra attenzione foto e grafiche artistiche e memorabili, che davano un senso a quell’ingombrante formato. Il vinile offriva insomma solide propaggini che nessuno dei supporti successivi riuscirà a mettere a disposizione con tanta abbondanza ed efficacia. Inoltre la copertina del disco invecchiava col tempo, poteva essere utilizzata per appunti, macchiata con le gocce del caffè mattutino. Ognuno di noi, dentro questo processo di allargamento di una cosa che ne contiene altre, sviluppava un percorso di identificazione: ogni disco che abbiamo amato e perduto, durante un trasloco, alla fine di una relazione, per un prestito non restituito, è diventato il nostro oggetto orfano, come direbbe Remo Bodei, una parte di noi che è finita altrove e che laggiú silenziosamente sopravvive.
La mia personale madeleine dei dischi in vinile è il primo disco di Peter Gabriel del 1977. Assieme alle canzoni di un artista che ho amato moltissimo, c’era, fra le propaggini, quella foto azzurra in copertina. L’uomo giovane, l’artista, è ricurvo dentro un’auto imperlata di pioggia, il suo volto si intravede appena, in una postura di apparente protezione; l’auto è una Lancia Flavia di proprietà del fotografo, il fotografo è Storm Thorgerson, che con lo studio Hipgnosis ha prodotto la grafica di decine di dischi memorabili della storia del rock. Il disco di esordio di Gabriel non ha titolo (lo studio Hipgnosis lo aveva già fatto in passato in maniera ancora piú definitiva con il celebre disco dei Pink Floyd Atom heart mother, da tutti conosciuto come il disco della mucca, nella cui copertina c’è la foto di una mucca e nient’altro). Il primo disco di Gabriel dalla copertina azzurra, che mi sono rigirato fra le mani pochi minuti fa, è una di quelle cose che prolungano me e che continueranno a farlo quando io non ci sarò piú. E non solo per la musica che contiene.
A un certo punto i dischi in vinile sono scomparsi. In parte è accaduto perché – esattamente come i quotidiani di carta – erano oggetti scomodi. Forse, dentro un nuovo ordine estetico che sovrintende alla bellezza del mondo, si è deciso che erano oggetti non solo scomodi ma anche brutti, spiacevoli agli occhi e al tatto, oltre che ingombranti e difficili da usare. Ovvio che un tribunale del genere esiste solo nella mia testa ma è anche certo che, quali che siano state le ragioni della dipartita, l’erede che ha preso il posto del vinile, il cd-audio, possedeva difetti perfino peggiori.
Le canzoni posseggono una loro carica sentimentale, che è indipendente dal supporto – lo dimostra il fatto che oggi, nel momento storico in cui il supporto è di fatto appena scomparso, la musica è fra noi con perfino maggiore forza e centralità –, ma la scelta tecnologica di affidarsi ai cd potrà essere letta come tipica del suo periodo storico, quando, a un certo punto, verso la fine del secolo scorso, un certo fideismo tecnologico ha preso piede e ha immaginato di governare il mondo.
Qual era il problema allora? Una certa diffusa disumanizzazione delle relazioni, compresa quella con gli oggetti, mediata dalla tecnologia. Un salto in avanti, ammirevole nelle sue aspirazioni di rinnovamento, ma non sostenuto dalle competenze intellettuali per gestirlo al meglio. L’industria culturale che improvvisamente si è trovata avvolta dalla dittatura dei bit senza possedere gli strumenti per dominarla. Cosí quando le grandi major discografiche decisero di convertire i loro clienti a nuovi supporti, propaggini dentro le quali avremmo potuto trovare piú musica, piú facilmente utilizzabile, immagini e video e chissà cos’altro, non si accorsero che da quelle parti mancava qualcosa di importante. Il risultato è il cd-audio, un oggetto del tutto anaffettivo come i tempi forse richiedevano, freddo e ordinato come la logica dominante.
Steve Jobs affermò una volta che la sua idea di innovazione era presidiare un bivio: quello – diceva – fra tecnologia e arti liberali. È in questa intuizione fondamentale, che nessun tecnologo ha compreso per un paio di decenni, la ragione profonda del grande successo di Apple. L’aver capito – molto prima di chiunque altro – che la tecnologia da sola non basta, che se non risponde a un bisogno, e nella società dell’informazione simili bisogni sono quasi sempre culturali e complessi, è destinata a trasformarsi in aspirapolvere: un tubo che sposta qualcosa da un punto a un altro (poi sugli aspirapolvere ci sarebbe qualcosa da dire, visto che da qualche anno esistono perfino aspirapolvere sentimentalmente interessanti).
La domanda fondamentale che la tecnologia che ha prodotto i cd avrebbe dovuto farsi a quei tempi era: certe cose prolungano te? Non fu possibile, perché le arti liberali per molto tempo, e un po’ anche ora, sono state espulse dai ragionamenti sull’innovazione in quanto considerate inadatte e superate.
E non è un caso se Steve Jobs stesso, con la presentazione di iPod prima e di iTunes Music Store dopo, abbia contributo ad abbattere il mostro senz’anima che albergava dietro i cd, cavalcando la tecnologia e avvicinandola a chi non desiderava altro che ancorare la propria musica a oggetti prima fisici e poi digitali finalmente adeguati. A quei tempi, non a caso, i discografici mondiali detestarono Jobs con tutte le energie possibili. Incolpavano il visionario invece che biasimare se stessi e la propria mediocrità.
La traiettoria del cd-audio è stata in ogni caso rapidissima, quali che siano le ragioni che l’hanno determinata. Sono stati commercializzati per la prima volta nel 1982 e sono rimasti lo standard del mercato mondiale della musica per un paio di decenni. Ma già nei primi anni del nuovo secolo le vendite della musica in cd iniziarono a ridursi rapidamente. Oggi i compact disc sono un oggetto da modernariato.
La musica del resto è stato il primo laboratorio della trasformazione digitale: Napster, la piattaforma di sharing musicale ideata dal diciannovenne Shawn Fanning, antesignana illegale degli attuali sistemi di fruizione, fu rilasciata nel 1999. Apple presentò iPod nel 2001, e il formato mp3 nel frattempo aveva iniziato a circolare vorticosamente in rete e sui pc di tutto il mondo verso la seconda metà degli anni Novanta.
L’industria discografica provò per lungo tempo a difendere il suo brutto anatroccolo rotondo e color argento. Mentre tutto cambiava velocemente gli industriali fecero il loro mestiere: continuarono a lavorare a testa bassa come se niente fosse successo. A un certo punto, inevitabilmente, la musica digitale iniziò a bussare insistentemente alla loro porta. Loro si affacciarono e chiesero: chi è?
Era il lupo cattivo.
Nulla è diventato digitale e immateriale come la musica. Nessun oggetto è morto definitivamente come sono morti il disco in vinile, i cd, le compact cassette e tutti i supporti in genere.
La musica si è sparsa intorno. Si è fatta nuvola e ha iniziato ad avvolgerci tutti. Piattaforme come Spotify, Pandora o Apple Music la depositano quotidianamente dove vogliamo noi. Sul computer di casa, sul cellulare, sul tablet, in auto, sui PDA: se vi sembrerà il caso perfino dentro alcuni elettrodomestici. La musica digitale ha generato una vasta accettazione nei confronti delle trasformazioni che ha imposto. A differenza di quello che succede con i giornali, i libri o i film, faticherete a trovare qualcuno che si lamenti del nuovo mondo musicale. Si lamentano invece – e tanto – i discografici, molti musicisti, tutta la catena degli intermediari della distribuzione. Oggi la maggior fonte di guadagno per i musicisti viene dai concerti, mentre un tempo i diritti fonomeccanici e altre tecnicalità legate al copyright erano una miniera d’oro. Non è detto che sia meglio o peggio: semplicemente è diverso. L’oggetto al quale si ancorava buona parte degli incassi è defunto e parecchie delle aspettative dell’industria sono morte con lui.
Negli ultimi anni è accaduto un fatto che contraddice, apparentemente, questo percorso molto lineare di scomparsa del supporto che ha portato alla attuale fruizione della musica. In realtà penso che semplicemente faccia parte del quadro e che serva a completare la transizione. Alludo al ritorno sul mercato e ai successi di vendita dei dischi in vinile. Cronache entusiastiche ci raccontano che molte persone sono tornate ad acquistare dischi neri a 33 giri e che l’industria ha ricominciato a produrli con soddisfazione di tutti.
Al «profumo della carta» si è sostituito il «piacere di alzarsi dal divano per girare il disco quando la facciata è terminata» (un piacere in effetti piuttosto misterioso).
In realtà osservando il cosiddetto «ritorno del vinile» con l’occhio tecnologico ci accorgeremo che si tratta di un processo non solo commercialmente non cosí rilevante, ma perfino molto strano in relazione alle differenze di qualità di ascolto. Mentre i dischi in vinile che ascoltavamo qualche decennio fa erano il risultato di un processo tecnologico interamente analogico, oggi il processo di produzione musicale converte in un prodotto finale analogico (il vinile) un manufatto interamente digitale. In pratica ci attendiamo la vecchia calda qualità analogica da un prodotto che in tutte le sue fasi di preparazione viene confezionato con apparecchiature digitali: dagli strumenti musicali, ai banchi di registrazione, dai missaggi alla produzione del master. Mentre i vinili di un tempo erano prodotti analogici, registrati su nastro magnetico con un suono inevitabilmente analogico, i dischi in vinile che acquistiamo oggi sono prodotti digitali sottoposti a una finale conversione analogica. In pratica si tratta di cd che suonano un po’ peggio. E se anche la puntina del nostro giradischi, leggendo le tracce delle singole canzoni confezionerà un segnale nuovamente analogico, con ogni probabilità l’amplificatore che ci restituirà il suono del nostro artista preferito convertirà di nuovo il tutto in un formato digitale.
Anche per via di queste ripetute conversioni di formato, probabilmente ignote alla grande maggioranza degli ascoltatori amatoriali, l’unica ragione concreta che giustifichi il ritorno del vinile non potrà essere una ragione legata al suono, ma piú probabilmente qualcosa che ha a che fare con l’oggetto disco, il suo fascino materiale, la sua capacità evocativa: aspetti con remote correlazioni con il suono vero e proprio che il vinile sarà in grado di proporci.
Poi ci sono le questioni che riguardano la musica e la memoria. Come ogni altro atto anche la musica, lo si è già accennato a proposito dello scrivere, è prima di tutto registrazione. Non nel senso fisico del termine – ogni brano musicale è ovviamente «registrato» attraverso una macchina in grado di farlo –, ma nel senso del documento, della traccia conservata da qualche parte. La musica insomma come elemento che ci descrive e del quale intendiamo ricordarci.
Il processo di mutazione dei documenti musicali è transitato nel secolo scorso attraverso la sostituzione rapida delle tecniche fonografiche, un problema serio di cui per esempio i libri non hanno sofferto, visto che il supporto è rimasto piú o meno lo stesso negli ultimi duemila anni: un limite, quello del contenitore, che la musica ha affrontato in un periodo tutto sommato breve, dopo che, per alcuni secoli, era stata tramandata solo oralmente e in forma di spartito musicale.
Mentre i dischi in ceralacca dei vecchi grammofoni, o gli stereo8 che i nostri padri inserivano in strani lettori in auto scontavano la graduale impossibilità a essere riprodotti, mentre le compact cassette si smagnetizzavano e i cd subivano l’invecchiamento e la progressiva scomparsa dei lettori appositi, il passaggio ai formati immateriali, alla versione esclusivamente digitale della musica, fu salutato come un decisivo passo in avanti verso l’archivio definitivo. La duplicazione senza alcuna perdita di qualità ci avrebbe consentito di tenere tutto, salvare tutto, per sempre. Ignoravano, i critici ottimisti del nuovo secolo, che il problema fondamentale degli archivi digitali risiede nella loro continua manutenzione. Una questione poco appariscente ma molto rilevante. Servirà allora qualcuno che si occupi di tutta quella musica, costantemente e per una ragione: che lo faccia a casa nostra o dentro una qualche nuvola digitale. Accade che le motivazioni per farlo molto spesso svaporino pure loro, talvolta molto rapidamente, senza lasciarci la possibilità di immaginare contromisure.
La storia della musica su myspace – nella sua grafia attuale – è un esempio perfetto di questa nostra nuova incombente difficoltà a registrare il mondo dentro gli ambienti elettronici. Non vale solo per myspace né solo per la musica ma per qualsiasi tentativo documentale su Internet e per questo merita un breve cenno.
Nel primo decennio del secolo myspace è stato, per un periodo molto breve, il piú frequentato social network del pianeta. Si trattava, soprattutto, di una comunità musicale: qualsiasi nuovo gruppo, ogni band piú o meno nota, ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. Dieci splendidi oggetti morti
  5. Le mappe. Provare a perdersi
  6. Il telefono. Staccando l’ombra dal muro
  7. La penna. Vecchi e nuovi registratori di pensieri
  8. La lettera. Il Dio della velocità
  9. La macchina fotografica. Per un’immagine vaga del mondo
  10. Intermezzo. Uno splendido oggetto vivo: il libro
  11. I giornali. Il tratto discendente della parabola
  12. I dischi. Ora la musica è tutta intorno
  13. I fili. Ciò che non si vede non esiste
  14. Il silenzio. Rumori, notifiche e disattenzione
  15. Il cielo. A capo chino sullo schermo mentre il resto intorno accade
  16. Piccola appendice
  17. Il libro
  18. L’autore
  19. Dello stesso autore
  20. Copyright