La sera stessa, Kenzō e Kyōsuke fecero visita al professor Hayakawa nella sua casa di Yotsuya. Kenzō, affascinato dalla facilità e l’arguzia con cui il suo amico aveva risolto l’enigma della stanza chiusa, non dubitava che sarebbe riuscito a portare alla luce del sole il mistero di quei tre omicidi, era solo questione di tempo. E si chiedeva eccitato quale piano segreto Kyōsuke avesse escogitato per mettere con le spalle al muro i due indiziati restanti.
Il professor Hayakawa abitava in una splendida villa in stile occidentale che si ergeva isolata a un incrocio, miracolosamente scampata alla devastazione della guerra.
Entrando nel vasto salotto, Kenzō non riuscí a reprimere un moto di sorpresa. L’intera stanza era stata trasformata in un museo dell’irezumi. Al posto dei soliti quadri a olio, una quantità impressionante di pelli umane, decorate da magnifici tatuaggi, ricopriva interamente le pareti. Negli angoli, torsi senza braccia né gambe tenevano il posto di statue.
– Kamizu, secondo te cos’è successo all’Orochimaru? – domandò Kenzō al suo amico osservando la collezione del professore, che non aveva nulla da invidiare a quella del museo della facoltà. – Supponendo che l’assassino abbia sezionato il tronco per tenerselo, se non ha subito asportato e trattato la pelle, adesso sarà molto mal ridotta, non credi?
– Mmh… Non sono della tua opinione. Il tatuaggio di Orochimaru esiste ancora, intatto, perfetto. Vedrai che ben presto potremo ammirare il capolavoro di Hori’yasu, – rispose Kyōsuke col suo solito sorriso enigmatico.
La porta si aprí e comparve il professor Hayakawa, in kimono, sorridente.
– Oh, eccoti qui, Kamizu! Da quanto tempo…
– Mi scusi, professore, se non le ho piú dato mie notizie, – rispose educatamente Kyōsuke. – Durante la guerra sono stato in Cina, poi a Giava… ero ancora lí quando la guerra è finita, sono tornato solo da pochi mesi. Ma tenevo a venirla a salutare.
– Be’, l’essenziale è che tu sia ancora vivo! Se una persona della tua intelligenza fosse rimasta uccisa in questo stupido conflitto, per il Paese sarebbe stata una grave perdita, – disse il professore. Poi, volgendosi a Kenzō, continuò con pesante ironia: – Matsushita, grazie alla tua straordinaria memoria, tuo fratello mi ha dato del filo da torcere…
– Sono desolato. Ma sa, in quel momento eravamo tutti piuttosto nervosi…
– Va bene, lasciamo perdere. Ormai recriminare non serve a nulla. E anch’io ho i miei torti. Ma accomodatevi, prego!
I tre uomini si sedettero.
– Professore, è la seconda volta che vedo la sua collezione privata, ma riesce sempre a impressionarmi, – dichiarò Kyōsuke. – Non devono essere stati facili, per lei, gli anni della guerra.
– Un incubo. A veder bruciare la casa ero rassegnato, ma tremavo per la mia collezione. Prima c’è stata la fatica dell’evacuazione, poi ho dovuto rimettere tutto a posto… un incubo, ti dico.
– Non lo metto in dubbio. Lei ha un tesoro nazionale, qui! Ma le generazioni future riconosceranno il valore delle persone meritevoli come lei.
– Magari tutti riuscissero a capirmi al pari tuo! La gente mi considera uno spostato o un pervertito.
– Per forza, la sua scienza è in anticipo di un secolo sui nostri tempi!
Il professore fece una risatina compiaciuta.
Venne servito il tè. Sollevando la sua tazza, Kyōsuke cominciò ad avvicinarsi all’argomento che gli stava a cuore.
– Professore, lei non ha degli Hori’yasu, qui, vero?
– Purtroppo no, – rispose Hayakawa, ma l’improvvisa rigidità che assunse il suo volto faceva pensare che mentisse. – Contrariamente ai miei desideri, non posseggo nulla di lui. Ho opere di Hori’uno, Hori’kane, Hori’kin, Hori’gorō1… di tutti i grandi tatuatori, insomma. Tranne Hori’yasu. A dire la verità, morivo dalla voglia di avere il tatuaggio di Kinue. Ma l’assassino mi ha preceduto! Dev’essere in balia della sua ossessione, quello lí, mi fa venire la pelle d’oca. Io non avrei mai il coraggio di uccidere un essere umano per impossessarmi del suo irezumi, – concluse, come per rispondere alla provocazione di Kyōsuke.
– Ha ragione, è un mostro! Però anche lei, professore… perché rifiuta di fornire un alibi per quella sera? Non dovrei dirlo davanti a Matsushita, ma lei sa bene che non c’è nulla che irriti e insospettisca i poliziotti quanto intralciare le indagini. Lei rischia grosso, ostinandosi nel suo atteggiamento.
– Lo so, Kamizu, ma al tempo stesso non lo trovi ridicolo? Quale legame posso mai avere con questa storia? È vero che a scoprire il cadavere sono stato io, ma c’era anche il nostro Matsushita, con me. Inoltre non avevo alcuna ragione di uccidere Kinue. La morte di Takezō mi ha procurato quasi un milione di yen, quindi al limite avrei avuto un movente per sopprimere lui, ma Kinue? L’unico a trarre beneficio dalla sua scomparsa è stato Hisashi, perché eredita tutto. Nessun vantaggio per me! E non sono abbastanza stupido da uccidere per un tatuaggio.
– Lei però sta eludendo la mia domanda, professore, – osservò Kyōsuke, con un sorriso che ebbe l’effetto della puntura di un chiodo.
– Dove sono andato quella sera, visto che non ha alcun rapporto con il caso, sono affari miei. Tanto per cominciare, non è che la gente normale abbia sempre un alibi pronto! Se a condurre l’inchiesta fossi io, sospetterei piuttosto di chi ne ha uno perfetto. Non sei d’accordo con me?
– Questo è vero. Solo un criminale di scarso ingegno si lascia incastrare da un alibi lacunoso.
– Esatto. La polizia giapponese dovrebbe adottare metodi un po’ piú scientifici. Di recente le cose vanno meglio, ma un tempo, quando decidevano che eri colpevole, ti sbattevano in galera per due o tre mesi, e ti pestavano a sangue finché ti estorcevano una confessione. Un paio di mesi dietro le sbarre convincevano chiunque.
– Ha perfettamente ragione –. La tazza di tè in mano, Kyōsuke rifletté un momento prima di aggiungere: – Tuttavia professore, scusi se mi permetto, ma a trafugare i pezzi di quella lastra fotografica ha commesso uno sbaglio.
– Lo so, ma è stato piú forte di me. Sono fatto cosí, quando ho raccolto quei frammenti e ho visto cos’erano, mi è venuto istintivo infilarmeli in tasca. Però se fossi io l’assassino, non sarei stato tanto stupido da mostrarli a Matsushita, per poi nasconderli.
– Anche questo è vero.
– Ma parliamo piuttosto dello stato catastrofico in cui si trova il Paese. Tu cosa ne pensi, Kamizu, della situazione attuale? – chiese Hayakawa cambiando argomento.
– Be’, io sono rientrato da poco, quindi…
– È un disastro. Ottanta milioni di persone hanno perso la testa. Le razioni alimentari arrivano in ritardo, quando arrivano… È severamente vietato accumulare riserve di cibo, il costo di sigarette e biglietti del treno è sempre piú alto, e in barba alla tanto sbandierata politica del controllo dei prezzi ci sono aumenti continui e irragionevoli. Il sasso galleggia e la foglia affonda. Quanto ai pesci, piú grossi sono, meglio riescono a sgusciare tra le maglie della rete. A una persona onesta come me, questa politica sembra assurda. Se fossi un po’ piú giovane, mi convertirei anch’io al furto e alla frode.
– Professore, durante la guerra lei era già molto scettico nei confronti del governo militare, vedo che lo è altrettanto nei confronti di quello attuale.
– Converrai che bisognava essere un imbecille, per credere ai proclami del Quartier Generale imperiale! O no? C’era poco da stare allegri. Dovevamo colpire navi e aerei nemici senza tregua, giorno dopo giorno… mi chiedevo come facessero i cantieri navali nemici a sfornare tante corazzate. Alla fine mi ero perfino stufato di contare quelle che avevamo affondato, ed ero già arrivato a sessanta. Eppure i loro preziosi B-29 ci sfuggivano sempre. Ci siamo ridotti ad attaccare con le lance di bambú, avevo le lacrime agli occhi. Lance che avevamo oleato e tenuto con cura. Ho creduto che avremmo fatto ricorso anche alle fionde e agli archi, per abbattere i B-29, ma per fortuna non siamo arrivati a tanto…
Il professor Hayakawa, lanciato nel suo amaro monologo, era incapace di fermarsi.
– A proposito, professore, – lo interruppe Kyōsuke, – gioca sempre a go? Mi ha concesso un paio di partite, prima che venissi arruolato, e ricordo di aver trovato in lei un avversario di valore.
– Ah, sí… eri molto giovane, chissà quanti progressi avrai fatto!
– No, si figuri! Non avevamo né il tempo né lo spirito per giocare a go, al fronte.
– Che ne diresti di fare una partita, allora? Tu permetti, Matsushita?
– Prego, prego… sarà un piacere guardarvi.
Il professore suonò un campanello e alla domestica subito accorsa chiese di portare la scacchiera e le pietre. Kyōsuke scelse le nere, mentre Kenzō si domandava irritato cosa diavolo fosse preso al suo amico per proporre di giocare proprio in quel momento… sprecare quel tempo prezioso per soddisfare un capriccio!
Kyōsuke tuttavia aveva un’aria glaciale. Concentrato sul gioco, mentre faceva una mossa pensava già a quella successiva, lo si capiva dall’espressione attenta del suo volto. Ben presto la partita volse in suo favore. Dopo un’ora di gioco, ne aveva vinte due.
– Vedo che hai fatto progressi, – disse il professore ridendo. Finalmente si rilassò, e si accese una sigaretta. Era l’occasione che Kyōsuke attendeva.
Chinò rispettosamente la testa per ringraziare del complimento, poi cercò qualcosa nella sua cartella.
– Professore, posso mostrarle una cosa interessante? – chiese tendendogli una busta.
Hayakawa la prese, e appena ne estrasse le sei fotografie il suo viso di colpo cambiò espressione.
– Ah, Jiraiya, l’Orochimaru di Kinue, e il Tsunadehime della lastra fotografica! – sibilò reggendo con mano tremante quest’ultima foto. – Come te le sei procurate? E chi le ha scattate? – Il sarcasmo era svanito dal suo tono, ora estremamente serio.
– Le ha date Kinue stessa a Matsushita, il giorno del concorso di irezumi, – spiegò educatamente Kyōsuke. – Diceva che loro tre fratelli avevano un segreto nascosto nei loro tatuaggi, che qualcuno voleva ucciderla per impossessarsi della sua pelle… discorsi incoerenti, insomma. Voleva raccontare tutto a Matsushita, chiedergli consiglio, cosí lui à andato a trovarla e… be’, sappiamo com’è finita, e il segreto è rimasto sepolto per sempre. Secondo Mogami Hisashi, queste fotografie si trovavano all’inizio di un album, ma siccome sono state strappate, non possiamo sapere se erano accompagnate da qualche commento. Però c’è una cosa strana: perché al fratello di Kinue, Tsunetarō, è bastato vederle per capire il mistero che sta dietro a tutta questa vicenda? Poi ha telefonato a Matsushita per dirgli che gli avrebbe raccontato ogni cosa dopo tre giorni, ma non ha fatto in tempo, è stato ucciso prima.
– Già… – fece il professore, per chiudersi poi nel silenzio, mentre il fumo della sua sigaretta riempiva la stanza. Kyōsuke, che aveva appena fatto la sua ultima mossa, continuò a stargli alle costole senza pietà.
– Professore, perché associa questo caso alla geometria non euclidea?
– Be’, perché l’espediente della camera chiusa dall’interno era escogitato troppo bene. Solo un genio può riuscire in una tale prodezza in cosí poco tempo. Il fatto è che i crimini geniali, spesso sembrano insolubili ai comuni mortali, ma tu che sei tanto bravo in matematica, dovresti saperlo: gli enigmi sono a volte piú facili da risolvere che da ideare.
– Lei mente, professore. Non è per questa ragione che ha pensato alla geometria non euclidea.
– Come… come osi? – fece Hayakawa, visibilmente scosso.
Per lunghi secondi i due uomini si guardarono negli occhi, quasi stessero per incrociare le spade… la tensione crepitava nell’aria.
– Perché non mi parla sinceramente, professore? Perché non mi dice per quale motivo ha preso i frammenti di quella lastra e li ha tenuti nascosti alla polizia?
– Ero spinto dalla mia ossessione. Spiegare il mio comportamento non servirebbe a nulla, la gente non può capire. A volte, un secondo me stesso si insedia nel mio spirito e mi fa fare delle stranezze. È piú forte di me, non è qualcosa che i...