Popolo, potere e profitti
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Popolo, potere e profitti

Un capitalismo progressista in un'epoca di malcontento

  1. 376 pagine
  2. Italian
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Popolo, potere e profitti

Un capitalismo progressista in un'epoca di malcontento

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Il consolidamento del potere del mercato specie nella finanza e nell'industria tecnologica ha portato a un'esplosione della disuguaglianza. La situazione è drammatica: poche corporations dominano interi settori dell'economia, facendo impennare la disuguaglianza e rallentando la crescita. La finanza ha scritto da sola le proprie regole; le compagnie high-tech hanno accumulato dati personali senza controllo e il governo americano ha negoziato accordi commerciali che non rappresentano gli interessi dei lavoratori. Troppe persone si sono arricchite sfruttando gli altri invece che creando ricchezza. Le vere fonti della ricchezza e della crescita, per Stiglitz, sono gli standard di vita, basati su apprendimento, progresso della scienza e tecnologia e le regole del diritto. Gli attacchi al sistema giudiziario, universitario e delle comunicazioni danneggiano le medesime istituzioni che da sempre fondano il potere economico e la democrazia. Tuttavia, per quanto ci si possa sentire indifesi oggi, non siamo, tutti noi, senza potere. In effetti, le soluzioni economiche sono spesso chiare. Dobbiamo sfruttare i benefici del mercato ma nello stesso tempo domare i suoi eccessi, assicurandoci che lavorino per noi cittadini - e non contro di noi. Se un numero sufficiente di persone sosterrà l'agenda per il cambiamento delineata in questo libro, può non essere troppo tardi per creare un capitalismo progressista che realizzi una prosperità condivisa.

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Note

PREFAZIONE.

1. Ho descritto le mie molte battaglie di quegli anni nel libro The Roaring Nineties. A New History of the World’s Most Prosperous Decade, W. W. Norton, New York 2003 [trad. it. I ruggenti anni Novanta. Lo scandalo della finanza e il futuro dell’economia, Einaudi, Torino 2004].
2. Poiché la disuguaglianza cresceva, tornai al tema che mi aveva inizialmente spinto verso l’economia. In The Price of Inequality. How Today’s Divided Society Endangers Our Future, W. W. Norton, New York 2012 [trad. it. Il prezzo della disuguaglianza. Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro, Einaudi, Torino 2013] e in The Great Divide. Unequal Societies and What We Can Do About Them, W. W. Norton, New York 2015 [trad. it. La grande frattura. La disuguaglianza e i modi per sconfiggerla, Einaudi, Torino 2015] ho messo in guardia contro la disuguaglianza stellare che stava diventando una caratteristica specifica dell’economia americana. Ho insistito sul fatto che non riuscire a fronteggiare la disuguaglianza in America avrebbe avuto conseguenze di portata molto ampia, ben oltre quelle mostrate dagli indicatori economici: le disparità avrebbero finito per iniettare sfiducia nella società e per corrompere i politici. Sarebbe stato un male per tutti, anche per l’1 per cento. In Rewriting the Rules of the American Economy. An Agenda for Growth and Shared Prosperity, scritto con Nell Abernathy, Adam Hersh, Susan Holmberg e Mike Konczal, W. W. Norton, New York 2015 [trad. it. Le nuove regole dell’economia. Sconfiggere la disuguaglianza per tornare a crescere, il Saggiatore, Milano 2016], ho spiegato come la riscrittura delle regole fondamentali dell’economia, specialmente durante e dopo l’amministrazione Reagan, avesse comportato meno crescita e piú disuguaglianza, e come queste tendenze negative avrebbero potuto essere invertite se avessimo riscritto nuovamente le regole.
3. Dal titolo del mio articolo del maggio 2011 per «Vanity Fair», parafrasi delle celebri parole del presidente Lincoln durante il cosiddetto Discorso di Gettysburg (ripreso in La grande frattura cit., pp. 91-98).
4. Quando la legge sarà diventata pienamente attuativa, le tasse aumenteranno per la maggioranza del secondo, terzo e quarto decile.
5. Fu anche segretario al Lavoro sotto Nixon.
6. Le imprese di private equity gestiscono fondi tipicamente investiti in aziende che non sono quotate in Borsa; nemmeno loro lo sono. Quindi possono comprare altre compagnie, per esempio, ristrutturarle e poi rivenderle con profitto. I manager di questi fondi si comportano in maniera poco diversa dai manager di qualunque altra azienda, e dovrebbero corrispondere le ordinarie imposte sul reddito realizzato. Non esiste alcuna giustificazione alla base di un trattamento fiscale privilegiato, e il fatto che lo ricevano è semplicemente una dimostrazione del potere politico della categoria. Peggio ancora, questi fondi generano un tasso di ristrutturazione molto problematico, che porta a ingenti perdite di posti di lavoro e a un pesante indebitamento, al punto che spesso le aziende ristrutturate falliscono poco tempo dopo essere state rivendute dalle imprese di private equity.
L’aliquota fiscale ridotta che i fondi di private equity riescono a corrispondere grazie al trattamento fiscale del cosiddetto carried interest è una possibilità contro la quale Trump si era scagliato durante la campagna elettorale, ma che non ha mai cercato di eliminare – senza nemmeno alludervi – durante l’iter della legge al Congresso fino alla firma. Messi di fronte alla rottura della promessa, i suoi consiglieri hanno dato la colpa al Congresso stesso. Si veda LOUIS JACOBSON, Despite Repeated Pledges to Get Rid of Carried Interest Tax Break, It Remains on the Books, in «Politifact», 20 dicembre 2017.
7. Per il decennio 2018-2028, la previsione è che il taglio alle tasse (con gli interessi) aggiungerà da solo al deficit 1,9 miliardi di dollari. Se da temporaneo il taglio diventasse permanente, l’aggiunta al deficit sarebbe di 3,2 miliardi di dollari.
8. Cfr. Transcript of the Press Conference on the Release of the October 2017 World Economic Outlook (Fondo monetario internazionale, Washington, 13 ottobre 2017) e CHRISTINE LAGARDE, 2018 Article IV Consultation for the United States Opening Remarks (Fondo monetario internazionale, Washington, 14 giugno 2018).
9. Questa era una delle tesi fondamentali del vincitore del Nobel per l’economia Simon Kuznets, e dato che sembrava confermarsi sempre, come scrisse egli stesso verso la metà del XX secolo, finí per essere definita «legge di Kuznets».
10. Questo libro poggia sul lavoro che ho portato avanti in passato riguardo a globalizzazione, finanziarizzazione, disuguaglianza e innovazione, intrecciando insieme le minacce che rappresentano e mostrandone l’interrelazione in un quadro che spero ritragga in maniera convincente le fonti del progresso e le insidie che quest’ultimo incontra lungo il cammino. In piú punti sviluppa ulteriormente il ragionamento.
Le mie prime critiche alla globalizzazione, scritte dopo che lasciai la Banca mondiale, dove avevo visto come il nuovo corso veniva gestito male dal punto di vista delle prospettive dei paesi in via di sviluppo e dei lavoratori di qualunque luogo, si trovano in Globalization and Its Discontents, W. W. Norton, New York 2001 [trad. it. La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi, Torino 2002]. In Fair Trade for All, Oxford University Press, New York 2005 [trad. it. Commercio equo per tutti, Garzanti, Milano 2007], scritto insieme ad Andrew Charlton, mi sono concentrato sul modo in cui il regime commerciale globale andava a svantaggio dei poveri. In Making Globalization Work, W. W. Norton, New York 2005 [trad. it. La globalizzazione che funziona, Einaudi, Torino 2006] ho proposto una serie di riforme che pensavo avrebbero fatto funzionare la globalizzazione meglio di quanto avesse fatto fino a tale momento. In Globalization and Its Discontents Revisited. Anti-Globalization in the Era of Trump, W. W. Norton, New York 2017 [trad. it. La globalizzazione e i suoi oppositori. Antiglobalizzazione nell’era di Trump, Einaudi, Torino 2018] ho mostrato i progressi di riforma della globalizzazione compiuti fino all’arrivo di Trump, oltre al modo, forse irreparabile, in cui quest’ultimo ha riportato indietro l’agenda. Il primo dei miei due libri sulla finanziarizzazione, I ruggenti anni Novanta, scritto dopo aver lasciato l’amministrazione Clinton, mostrava che la deregolamentazione intrapresa durante, prima e dopo stava preparando il terreno per una crisi finanziaria. Negli anni successivi, mentre gli squilibri nel sistema finanziario americano crescevano e con loro cresceva il rischio di un’importante calamità finanziaria ed economica, ho tenuto conferenze e ho scritto della minaccia di una crisi incombente. Sfortunatamente, fui anche troppo preveggente: ben presto la crisi finanziaria globale mandò a rotoli l’economia mondiale. Nel 2010, in Freefall. America, Free Markets, and the Sinking of the World Economy, W. W. Norton, New York [trad. it. Bancarotta. L’economia globale in caduta libera, Einaudi, Torino 2010], ho analizzato l’avanzata della Grande recessione, offrendo alcuni consigli su come evitare una seria ed estesa cattiva performance economica e riformare il settore finanziario in modo da impedire in futuro la formazione ed esplosione di bolle del genere.

CAPITOLO PRIMO.

1. Il titolo del libro di Fukuyama del 1992 era The End of History and the Last Man, Free Press, New York [trad it. La fine della storia e l’ultimo uomo, Bur, Milano 2003]. Dopo l’elezione di Trump, la sua visione è cambiata: «Venticinque anni fa, non pensavo che le democrazie potessero tornare indietro né avevo una teoria che spiegasse in che modo potessero farlo. Ora chiaramente ritengo che possano farlo» (ISHAAN THAROOR, The Man Who Declared the “End of History” Fears for Democracy’s Future, in «The Washington Post», 9 febbraio 2017).
2. Questa è la tesi di un recente libro di Adam Tooze della Columbia University, Crashed. How a Decade of Financial Crisis Changed the World, Viking, New York 2018 [trad. it. Lo schianto. Come un decennio di crisi economica ha cambiato il mondo, Mondadori, Milano 2018].
3. Harper, New York 2016 [trad. it. Elegia americana, Garzanti, Milano 2017].
4. The New Press, New York 2016.
5. Si vedano anche JENNIFER SHERMAN, Those Who Work, Those Who Don’t. Poverty, Morality, and Family in Rural America, University of Minnesota Press, Minneapolis 2009; JOAN C. WILLIAMS, White Working Class. Overcoming Class Cluelessness in America, Harvard Business Review Press, Boston 2007; KATHERINE J. CRAMER, The Politics of Resentment. Rural Consciousness in Wisconsin and the Rise of Scott Walker, University of Chicago Press, Chicago 2016; AMY GOLDSTEIN, Janesville. An American Story, Simon and Schuster, New York 2017; MICHÈLE LAMONT, The Dignity of Working Men. Morality and the Boundaries of Race, Class, and Immigration, Harvard University Press, Cambridge Mass. 2000. Anche le mie, piú limitate, incursioni in questi territori conducevano a prospettive coerenti con questi studi maggiormente approfonditi.
6. Lo stesso emerge dagli studi condotti dalla Banca mondiale quando ne ero capo economista. In The Voices of the Poor, tali studi esprimevano preoccupazione riguardo alla mancanza di voce decisionale dei cittadini nelle questioni che li riguardavano. Quel titolo copriva una serie di tre volumi scritti da autori diversi. Il primo aveva come sottotitolo Can Anyone Hear Us? e gli autori erano D. Narayan con R. Patel, K. Schafft, A. Rademacher e S. Koch-Schulte (Oxford University Press, New York 2000).
7. Si veda per esempio l’analisi che ho condotto in Bancarotta cit. e La grande frattura cit.
8. Nel mio articolo per «Vanity Fair» insistevo tanto sull’1 per cento perché volevo sottolineare che le antiche divisioni di classe (una limitata classe abbiente, una nutrita classe media e un gruppo di poveri di medie dimensioni) non erano piú significative.
9. Bankrate, nel suo Financial Security Index del 2017, ha trovato che il 61 per cento degli americani non poteva affrontare un’emergenza di mille dollari senza indebitarsi: TAYLOR TEPPER, Most Americans Don’t Have Enough Savings to Cover a $1K Emergency, Bankrate.com, 18 gennaio 2018 (https://www.bankrate.com/banking/savings/financial-security-0118/).
In modo simile, il Federal Reserve Board, nel suo rapporto basato sulla quinta Survey of Household Economics and Decisionmaking del 2017, ha registrato che ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione
  4. Ringraziamenti
  5. Popolo, potere e profitti
  6. Parte prima. Smarrire il cammino
  7. Parte seconda. Ricostruire la politica e l’economia americana: la strada in avanti
  8. Note
  9. Indice analitico
  10. Il libro
  11. L’autore
  12. Dello stesso autore
  13. Copyright