L'invenzione di noi due
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L'invenzione di noi due

  1. 216 pagine
  2. Italian
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L'invenzione di noi due

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Informazioni sul libro

«Cominciai a scrivere a mia moglie dopo che aveva del tutto smesso di amarmi». Cosí si apre questo romanzo, in cui Milo, sposato con Nadia da quindici anni, si è accorto che lei non lo desidera piú: non lo guarda, non lo ascolta, non condivide quasi nulla di sé. Sembra essersi spenta. Come a volte capita nelle coppie, resta con lui per inerzia, per dipendenza, o per paura. Quanti si arrendono all'idea che il matrimonio non possa diventare che questo? Milo no, non si arrende. Continua ad amare perdutamente sua moglie, e non sopporta di non ritrovare piú nei suoi occhi la ragazza che aveva conosciuto. Vorrebbe che fosse ancora innamorata, curiosa, vitale, semplicemente perché lei se lo merita. Ecco perché un giorno le scrive fingendosi un altro. Inaspettatamente, lei gli risponde, dando inizio a una corrispondenza segreta. In quelle lettere, sempre piú fitte e intense, entrambi si rivelano come mai prima. Pian piano Milo vede Nadia riaccendersi, ed è felice, ma anche geloso. Capisce di essere in trappola. Come può salvarsi, se si è trasformato nel suo stesso avversario?

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2020
ISBN
9788858433515

Grano

20.

Sette forse (l’uomo che non ami)

Cara Agnese,
come mi sembra strano scriverti.
Prima, qualunque cosa io volessi dirti potevo sussurrartela direttamente all’orecchio, fartela capire con gli occhi, cantarti una canzone, prepararti un panino, ora invece non ho scelta e mi tocca fare cosí.
Da quando mi hai lasciato sono passate tre settimane. Fuori è ancora primavera e le persone sono ancora vive. Vanno al lavoro, in palestra, in bicicletta, al parco giochi, al supermercato, a cena al ristorante, si amano e si feriscono e si tradiscono e dopo guardano la televisione e il vicino continua a tagliare l’erba del prato tutti i sabato mattina, alle nove in punto.
Negli ultimi giorni mi sono chiesto se esista un momento che definisce il resto della nostra vita. Un passaggio dopo il quale nulla è piú come prima. Ci ho riflettuto a lungo e sono giunto alla conclusione che, se esiste, per me questo momento sei tu.
Ho amato, di noi, quel che c’è stato e quel che non ci sarà. Soprattutto, ho amato quel che ci sarebbe potuto essere, anche se ormai non ha piú alcuna importanza.
D’un tratto è tutto cosí semplice e crudele.
Io ti amo e tu non mi ami piú.
Va bene, non ti ho scritto per recriminare, ma solo per dirti che comprendo il tuo non amore. Per anni ho pensato che la punizione peggiore che avrei potuto ricevere sarebbe stata che tu mi vedessi con gli occhi con cui mi vedevo io. Per questo il regalo piú bello è stato vedermi a lungo attraverso i tuoi. Ma oggi il mio timore si è infine avverato. Non sono serviti i miei sforzi per cercare di essere l’uomo che volevi. Eccomi, questo sono io: sono l’uomo che non ami.
Ricordo come fosse ieri il giorno in cui mi hai detto che amarsi è come cucire, che l’amore è un ago che buca la pelle e le vene, una sofferenza necessaria per ottenere un abito su misura. Mentre il nostro matrimonio, nonostante l’impegno, è sempre stato un pesante cappotto della taglia sbagliata, un maglione troppo ampio, una coperta nella quale avvolgersi e scomparire. Il matrimonio è una consolazione, ecco tutto quello che è, ma tiene caldo solo se ci si seppellisce dentro. Forse ci vuole piú coraggio per un’esistenza in maniche corte, mettendo in conto il freddo, il vento, la siccità e la pioggia, continuando comunque a ridere in faccia alla tempesta.
Quand’è che, senza accorgercene, siamo passati dall’amarci con urgenza all’amarci con pazienza? Quand’è che il nostro amore si è indurito come un pugno?
Ti ricordi all’inizio? Quando ci siamo giurati che ci saremmo sempre raccontati ogni cosa, convinti che l’amore che cercavamo non si fondasse sull’essersi riconosciuti, ma sul volerci conoscere meglio di chiunque altro?
Il risultato è che oggi, che ci sappiamo a memoria, è finito tutto.
Forse avremmo dovuto conoscerci meno, Agnese, riservare dei segreti solo per noi, tenere su le maschere della possibilità. Forse cosí ci saremmo amati nel modo giusto, ammesso che ne esista uno, o semplicemente saremmo riusciti a essere ancora qui.
Invece ora tu te ne sei andata portandoti via i dischi dei Pearl Jam e le cinque stagioni di Ally McBeal e la collezione di tascabili di Simenon e l’orchidea comprata a Natale di due anni fa che è sopravvissuta per miracolo, almeno lei. Il resto della nostra vita insieme è in quattro scatoloni che contengono cosí tanta esistenza finita, e fanno bella mostra di sé in soggiorno, davanti alla porta, e io ho tutto quest’amore che mi fa scottare le mani, e i piedi, e non so piú dove metterlo, ne ho pieni i cassetti e il letto e la credenza e il baule della macchina. Cosa posso farne, Agnese? Come posso far sparire la voglia di stringerti ancora, la voglia di sentirti ancora ridere, la voglia di annusare ancora il tuo collo, la voglia di stare ancora dentro di te, la voglia di guardarti ancora mangiare i tortellini con le fragole?
Fino a quando ieri, all’improvviso, ho capito.
Ho capito che il mio amore non vale di meno solo perché tu non ci sei piú. Se dipendesse dalla tua presenza non sarebbe amore, ma nient’altro che un bisogno.
Quindi ti scrivo per dirti che questa persona che sono io, quel che sono oggi, continuerà ad amarti nonostante tutto, anzi continuerà a farlo proprio perché.
La differenza sarà che ti amerò da lontano, visto che da vicino non mi è piú permesso.
Ti amerò piano, senza che tu te ne accorga, ti amerò con la tenacia dell’ultimo Tic Tac che si incastra di sbieco sul fondo della confezione.
Forse un giorno ricomincerai ad amarmi anche tu, forse smetterò io, forse fra un mese incontreremo il nuovo momento che definirà il resto della nostra vita e tutto questo ci sarà sembrato chiaro e necessario.
Fino ad allora, prometto che farò quel che posso affinché il mio amore non ti disturbi, e che cercherò di non farmi trovare in casa quando verrai a prendere gli scatoloni.
Rileggendo questa mail mi sono accorto che ci sono ben sei «forse».
Adesso, sette.
Credo sia perché l’amore lavora sempre, sempre sulla trasformazione e sulla possibilità.
E perché i futuri migliori prendono spesso la rincorsa dai presenti senza speranza.
Il tuo ragazzo
21.

L’amore sulla carta

Accadde che nell’aula in cui, molti anni prima, tutto era iniziato, la vista di una frase scritta in stampatello da chissà chi, per qualcuno che chissà chi era, fece affiorare l’idea nella mia mente, come una fotografia che compare in camera oscura.
Era un’idea assurda, rischiosa, l’ultimo tentativo di un disperato che non riusciva ad arrendersi al disamore di sua moglie. Ma era l’unica soluzione.
Dovevo tornare su quel banco, ancora una volta. Farmi ancora parola, solo per lei.
Dovevo dare a Nadia l’occasione di tornare a vederci, a vedermi. Di ricominciare a immaginarci.
Non volevo piú essere il quadro completo e non soddisfacente che lei sapeva a memoria. Non volevo piú essere l’uomo con cui non riusciva ad avere un figlio. Mia moglie si meritava un amore nuovo, inesplorato, che le raccontasse una storia di cui non conosceva già il tristissimo finale. Una seconda prima volta, che la riaccendesse dentro. Del resto, mi dicevo, cosa cerchiamo quando lasciamo, o quando tradiamo, se non un’opportunità di ricostruirci dalle fondamenta, la sensazione che nulla sia ancora andato storto, la possibilità di scrivere su un foglio nuovo? E perché quest’opera di riscrittura non potrebbe avvenire dall’interno del cerchio del matrimonio, invece che chiamandoci fuori?
E se era stata proprio la scrittura a portarmi da Nadia, e a portare me da lei, il primo filtro attraverso il quale ci eravamo mostrati l’uno all’altra, sapevo che questo, nella sua visione delle cose, aveva sempre rappresentato una specie di segno.
Quel che ci aveva permesso di inventare ciò ch’eravamo stati, forse poteva farlo ancora. Poteva farlo quella lettera.
Impiegai giorni per vincere l’inerzia della paura, e poi una domenica sera uscí tutt’in fila dalle mie dita, come fosse sempre stata lí. Gliela spedii da un account fasullo creato apposta, non mi firmai, la dedicai a un’altra donna. Non volevo che Nadia sospettasse che l’avevo scritta io, o che era rivolta a lei. Doveva apparire la lettera inviata da un uomo alla moglie che l’aveva lasciato, una mail recapitata per errore a un indirizzo digitato troppo in fretta. Era il resoconto di un uomo inesistente che rifiutava l’evidenza di una fine. Ma questa era anche la realtà, perché quell’uomo ero io.
L’idea era mettere Nadia di fronte alle estreme conseguenze di una condizione simile alla nostra, alla storia di un allontanamento conclamato. A una situazione specchio.
Volevo suscitare la possibilità di un effetto, magari una sua risposta, forse perfino della compassione, non so, perché qualunque cosa sarebbe stata meglio rispetto alla palude senza sogni in cui stavamo sprofondando. Speravo che il suo amore per le parole, l’opportunità di scriversi con qualcuno, la sua innata empatia, sarebbero state tentazioni alle quali difficilmente avrebbe saputo resistere. Una volta, molti anni prima, aveva ricevuto per sbaglio un sms che una donna aveva indirizzato a un uomo. Lei aveva risposto, e la donna aveva risposto, e Nadia le aveva risposto ancora, e poi la vita è strana e storta e germoglia come i fili d’erba fra le pietre ed è andata a finire che lei e la donna sono diventate buone amiche, nonostante i quasi vent’anni di differenza, fino al giorno in cui il cancro di Martina arrivò a dimostrare che lo erano piú di quanto non credessero.
All’improvviso avevo un piano.
Dovevo fare in modo che Nadia tornasse a contemplare le nostre vite non piú come macerie, ma come possibilità. Perché qualcosa in me sentiva – o meglio: lo sperava – che l’amore non era scomparso del tutto, che forse era solo sepolto. Qualcuno doveva andare a riprenderlo e a tirarlo fuori, ripulirlo dai detriti, ossigenarlo, ma quel qualcuno non potevo essere io. Non sulla carta, almeno. Per cercare di capire mia moglie, per vedere di nuovo dove stavamo andando, perché lei tornasse a vedere me, dovevo dimenticare chi ero, togliermi di mezzo, lasciare spazio, scostarmi come si scosta una tenda per far entrare la luce da una finestra.
Non avrei mai potuto immaginare dove questo ci avrebbe portati.
22.

Nevicare in autunno

Quando mi svegliai, di lunedí mattina, nel nostro letto che mi sembrava diventare piú grande col passare degli anni, il cielo che intravedevo dalla finestra era ancora nero e stellato.
Mia moglie dormiva nella sua metà, con le lenzuola fin sopra la testa. Mi tirai in piedi, recuperai gli abiti al buio e me li infilai in soggiorno, pronto per andare al mercato del pesce, amavo farlo di buon’ora. Trovai abbandonati sul pavimento i vestiti di Nadia. Li raccolsi, li annusai, li piegai sul divano.
Mi imposi di non guardare la mail fino a che non fossi uscito di casa.
La controllai spesso dal telefono, nelle ore successive: in piazza Dante mentre mi scottavo la lingua con un caffè lungo, in osteria durante le preparazioni, nel bel mezzo del servizio in cucina e la sera tardi di ritorno dal lavoro, ma fu inutile.
Nessuna risposta.
I giorni seguenti scivolarono via come acqua nello scarico di un lavandino.
Passò l’intera settimana, iniziò la nuova, non succedeva niente. La sensazione di impotenza era tremenda.
Io continuavo a uscire presto, Nadia continuava a svegliarsi dopo di me, quando me n’ero già andato. Il martedí, giorno di chiusura dell’osteria, lo trascorrevo da sempre nell’orto del nostro giardino: levavo le erbacce, sbriciolavo gusci di uova per proteggere l’insalata dalle lumache, raddrizzavo i sostegni dei pomodori piegati dal vento, irrigavo o vangavo il terreno. Certe volte, mollavo tutto e andavo a correre. Nadia si sforzava di concentrare gli impegni redazionali al quotidiano in quel giorno, che passava fuori quasi per intero. La cosa non sfuggiva a nessuno dei due.
Da quando aveva smesso di aspettarmi alzata, ci eravamo progressivamente assestati su questa routine che ci vedeva vivere esistenze complementari, soprattutto negli ultimi anni. Lei prendeva sonno nel dopocena e risorgeva a notte fonda per scrivere, oppure per leggere, dopo che ero rincasato dal servizio serale e mi ero addormentato. Io mi alzavo all’alba, quando lei era tornata a dormire da poco e, salvo fugaci rientri pomeridiani, restavo fuori spesso fino a tardi. I nostri corpi condividevano i metri quadrati del letto forse per un’ora, a volte solo pochi minuti. In passato, prima che la situazione si esasperasse, ci era capitato di scherzarci su.
– Diventeremo come il Sole e la Luna in quella favola, che non s’incontrano mai.
– Tu chi vuoi essere, dei due?
– Dipende.
– Da che?
– Dalla maniera in cui la vedi. La Luna senza il Sole non potrebbe splendere, ha bisogno di lui per essere visibile. Mentre, nella vita del Sole, la Luna si manifesta in occasioni molto particolari.
– Che vuoi dire?
– Che il Sole si accorge della Luna solo durante le eclissi. Quando lo mette in ombra.
A pensarci oggi, forse non scherzavamo poi tanto.
C’erano notti in cui, girandoci nel letto, ci capitava di sfiorarci appena con una mano, o con un piede, e quei fugaci contatti erano tutto ciò a cui restavo aggrappato, quel che mi permetteva di poter ancora pensare a un «noi». Ma durava sempre troppo poco, e il mio stesso desiderio per Nadia mi appariva ormai come un’incerta nevicata autunnale, quando la neve insiste a posarsi su un terreno troppo caldo per impedirle di non sciogliersi subito.
Attesi una sua risposta per piú di dieci giorni, prima di prendere atto del mio clamoroso errore di valutazione. Chissà cosa mi ero messo in testa. Come avevo potuto pensare che mia moglie avrebbe dato credito a una patetica messinscena, rispondendo a uno sconosciuto che le parlava d’amore? E poi non era forse, anche questa, una dimostrazione di fedeltà? Una parte di me si chiedeva se non dovessi essere orgoglioso della sua indifferenza. Allo stesso tempo, ciò rendeva evidente che Nadia era ormai finita in un posto buio, irraggiungibile, che neppure la sua proverbiale curiosità riusciva piú a rischiarare.
Poi, di giovedí sera, mentre al lavoro stavo pulendo un lavarello, lo smartphone trillò nella tasca. Avev...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. L’invenzione di noi due
  4. Spiga
  5. Grano
  6. Farina
  7. Acqua
  8. Ringraziamenti
  9. Nota al testo
  10. Il libro
  11. L’autore
  12. Dello stesso autore
  13. Copyright