L'Italia di Piazza Fontana
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L'Italia di Piazza Fontana

Alle origini della crisi repubblicana

  1. 280 pagine
  2. Italian
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L'Italia di Piazza Fontana

Alle origini della crisi repubblicana

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Il 12 dicembre 1968 l'esponente democristiano Mariano Rumor insediava, con la formula del centro-sinistra, il suo primo governo. Il 12 dicembre 1969 la strage di piazza Fontana a Milano e gli attentati di Roma aprivano drammaticamente la fase di quella strategia della tensione che avrebbe caratterizzato la vita pubblica del Paese per l'intero decennio degli anni Settanta. I 365 giorni che intercorsero tra quelle due date rappresentarono uno dei momenti piú significativi della storia dell'Italia democratica segnato da una crisi di struttura che investí radicalmente tutti i settori e gli ambiti della società nazionale: da quello politico a quello economico-sociale, da quello militare a quello dell'ordine pubblico. La ricomposizione del contesto immediatamente precedente la strage di piazza Fontana fornisce, dunque, una chiave di lettura centrale di quei drammatici eventi evidenziando come questi maturarono all'ombra della democrazia repubblicana e quanto mutarono il Paese.Nel frangente compreso tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta del Novecento si esprime in Italia la sincronia del '69 operaio con il '68 studentesco; si chiude la fase espansiva del ciclo storico capitalista del ventennio postbellico; si esaurisce la formula politica del centro-sinistra nel quadro di un sistema dei partiti bloccato e senza alternative di governo; si determinano le caratteristiche dell'anomalia italiana del decennio '68-78; si esplicita un diretto intervento paramilitare contro civili inermi, la strage di piazza Fontana, che non solo si colloca all'interno del conflitto sociale di un Paese democratico ma apre una «stagione delle stragi» non limitata al fatto episodico. Lo strumento per restituire alcuni dei principali nodi della crisi italiana, delle sue anomalie e delle complessità politico-sociali che le determinarono non poteva che essere un racconto polifonico di piú fonti e soprattutto di molteplici voci: dagli operai agli industriali, dagli studenti ai poliziotti; dai dirigenti politici ai braccianti; dagli emigrati ai militari. Punti di osservazione essenziali che esplicitano i limiti stessi del governo dei processi storici. Attraversando rotture e continuità, torsioni e trasformazioni, crisi e modernità, è questo il Paese che giunge al 12 dicembre 1969, giorno in cui il Senato approva lo Statuto dei lavoratori mentre a Milano si prepara la strage di piazza Fontana. Il Giano bifronte della storia nazionale.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2020
ISBN
9788858432471
Argomento
Storia
Capitolo secondo

La crisi della Confindustria e l’unità sindacale: la svolta dell’autunno caldo

È fatto giorno, siamo entrati in gioco anche noi con i panni e le scarpe e le facce che avevamo.
ROCCO SCOTELLARO
L’autunno caldo non fu un’esplosione improvvisa di insubordinazione operaia. Al contrario esso, già annunciato dalle lotte del 1968 e dalla mobilitazione dei mesi precedenti al settembre 1969, fu la manifestazione visibile di un processo carsico e di lunga durata che si era andato componendo all’interno del sistema produttivo, determinando le condizioni materiali per nuove spinte unitarie della base operaia, nuove pratiche di lotta e nuove espressioni di rappresentanza e autogestione anche in conflitto con le forme storiche delle strutture sindacali.
Sul fronte imprenditoriale invece il 1969 segnò una significativa divisione, in termini di linee di sviluppo strategico dell’economia nazionale, che vide da una parte la grande industria e dall’altra la piccola e media impresa. Nello specifico da un lato i «giovani leoni», Giovanni Agnelli e Leopoldo Pirelli, rappresentanti dei grandi monopoli dell’auto e della gomma e dall’altro la storica guida della Confindustria, l’armatore Angelo Costa, «il vecchio pontefice».
Dentro questa crisi interna al mondo delle imprese, che accompagnava l’esaurimento del ciclo storico espansivo degli anni Sessanta, si innestò nelle relazioni industriali il carattere conflittuale e innovativo della mobilitazione operaia determinando un contesto di grande mutazione sul piano dell’avanzamento dei diritti dei lavoratori e delle classi subalterne e contestualmente di grande tensione sociale espressa da quei gruppi e da quei ceti conservatori posti di fronte alla messa in discussione di interessi consolidati, posizioni di rendita e assetti storici considerati immutabili.

1. Il vecchio «pontefice» e i «giovani leoni»: scontro e crisi al vertice di Confindustria.

La crisi organica della formula di governo del centro-sinistra, intesa non solo come messa in discussione dell’accordo tra i partiti centristi e il partito socialista ma come esaurimento di un’opzione strategica di governo dei processi di modernizzazione della società italiana, venne formalmente sanzionata dai risultati delle elezioni politiche del maggio 1968 con la sconfitta del Partito socialista unificato (Psu) e gli avanzamenti della Democrazia cristiana e del Partito comunista italiano1.
Il deterioramento del quadro riformista dei governi guidati da Aldo Moro, di cui la crisi del giugno-luglio 1964 del «Piano Solo» era stata la rappresentazione incidente, portarono a un progressivo fallimento delle principali opzioni strategiche che il centro-sinistra si era proposto di sviluppare.
Dal punto di vista economico-sociale i termini principali del programma delle «riforme di struttura» erano stati quelli dell’unificazione economica del Paese; del superamento degli squilibri storici dell’Italia tra Nord e Sud; del riequilibrio del rapporto tra aumento esponenziale dei consumi individuali e arretratezza dei meccanismi organizzativi dei consumi e dei servizi collettivi; della riorganizzazione del rapporto tra i settori dell’industria e dell’agricoltura.
I tratti della «crescita senza sviluppo e senza riforme»2 in Italia si potevano sintetizzare con alcuni dati essenziali: il reddito nazionale passò dai 17 000 miliardi di lire del 1954 ai 30 000 miliardi del 1964; il reddito pro capite salí da 350 000 lire a 571 000; gli occupati del settore agricolo scesero dagli 8 milioni del 1954 a meno di 4 milioni del 1964; la produttività industriale crebbe dell’84%; la produzione di automobili aumentò da 148 000 a 760 000 veicoli e l’emigrazione interna registrò tra il 1954 e il 1970 lo spostamento di 24 800 000 persone3.
Gli squilibri evidenti di un processo di crescita senza riforme aumentarono, pur in una fase espansiva, le disuguaglianze e le ingiustizie sociali.
Sintomi della crisi di sistema erano riscontrabili, ad esempio, riguardo al fenomeno dei «residui passivi», ovvero quelle somme stanziate e messe a bilancio ma non spese dai governi nazionali, che impediva una modernizzazione complessiva e organica delle strutture dello Stato, dell’economia e della società. Una commissione istituita dal ministero del Tesoro stilò un rapporto che prendendo in considerazione un arco temporale compreso tra il 1953-54 e il 1967 evidenziò i residui passivi presenti nei vari esercizi di bilancio. Secondo questo studio le somme non spese ammontarono a 1 938 miliardi nel 1965; 2 011 miliardi nel 1966; 2 875 nel 1967.
Un quarto degli impegni di spesa assunti dallo Stato e inseriti in bilancio erano stati disattesi.
Il primo settore colpito dal fenomeno fu quello dei lavori pubblici (il secondo fu l’agricoltura) dove i mancati trasferimenti di fondi riguardarono opere di edilizia abitativa (172 miliardi), opere igieniche e sanitarie (145 miliardi), opere di edilizia scolastica (131 miliardi), opere idrauliche ed elettriche (42 miliardi) e infine opere marittime, ferroviarie, di viabilità, di costruzione e ammodernamento di stabilimenti giudiziari e di pena4.
Nel 1966 il ministero del Lavoro valutò in 70 000 lire il salario industriale reale percepito dai lavoratori a fronte di un minimo di 100 000 indicato dall’Istat come soglia di sussistenza delle famiglie; 2 milioni di italiani non avevano ancora la luce elettrica in casa; la produttività era aumentata del 15% tra il 1964 e il 1965 ma il monte salari diminuito del 4%5.
Significativamente difforme e distante da questi dati era la lettura che i vertici della Confindustria offrivano del ciclo storico espansivo appena concluso. Un’analisi che, stante l’oggettivo incremento esponenziale di alcuni fondamentali dell’economia nazionale, non coglieva le profonde fratture intervenute dentro il processo produttivo e all’interno stesso del meccanismo di accumulazione e produzione della ricchezza. Un processo in cui la condizione dei ceti popolari, del nuovo proletariato urbanizzato e della classe operaia non corrispondeva alla misura e al volume dell’accelerazione capitalistica sviluppatasi in Italia negli anni del «boom economico».
Il presidente di Confindustria Angelo Costa, che di quella fase storica era stato uno dei promotori principali, soprattutto attraverso l’asse con Alcide De Gasperi nel dopoguerra, chiudeva il suo mandato alla fine degli anni Sessanta con la «coscienza tranquilla»:
Mi limito ad esaminare lo sviluppo economico dal 1951 al 1968. In questi 17 anni il reddito del Paese – inteso per esso il prodotto netto interno al costo dei fattori – è aumentato, in moneta costante del 137%; il reddito complessivo dei lavoratori dipendenti e indipendenti del 158%; e il reddito da capitale-impresa dell’85% […] esiste certo un problema di distribuzione del reddito prodotto ma non si può certo pensare di risolverlo aumentando il reddito della generalità dei lavoratori dell’industria, che già godono di redditi molto superiori alla media. […] Gli indici non dicono certo tutto ma dicono, mi pare, una cosa essenziale: dicono con certezza che l’aumento di remunerazione ai lavoratori è maggiore dove si ha libertà e ordine. […] Come industriali possiamo avere la coscienza tranquilla6.
I ritmi e i tempi di produzione, l’organizzazione della disciplina di fabbrica, i salari e gli orari avevano al contrario subito un sostanziale peggioramento in rapporto al saggio di crescita del Paese e gli orientamenti dei soggetti sociali si andavano definendo entro una nuova consapevolezza della centralità operaia nella società.
La condizione della classe lavoratrice aveva mantenuto un carattere profondamente diseguale in rapporto allo sviluppo, segnato dalla realtà sempre piú rigidamente organizzata dalla catena di montaggio della fabbrica:
Operai. Qual è stata la situazione della Radi in questi ultimi anni? Le cifre parlano chiaro:
Anno N. operai N. scaldabagni Tempo di produzione
1959 156 100 circa 5 minuti per scaldabagno
1962 120 200 circa 3 minuti per scaldabagno
1963 Applicazione del sistema a catena Applicazione del sistema a catena Applicazione del sistema a catena
1964 90 500 57 secondi7.
L’accelerazione dei ritmi produttivi segnava non solo la fatica della vita di fabbrica ma l’usura fisica e psicologica di chi, come denunciava un gruppo di operaie di Rovereto, era collocato all’interno del meccanismo della catena di montaggio:
Operaie, la situazione che si va creando sempre piú nel nastrificio di Rovereto si potrebbe chiamare insostenibile […] ora quello che a noi chiedono è addirittura superiore alle nostre forze fisiche (passare da due a tre-quattro telai). A malapena riusciamo a sostenere l’attuale ritmo di lavoro […] interventi per noi estremamente faticosi8.
Il 1968 si chiuse disegnando un orizzonte di crisi internazionale che il governatore della Banca d’Italia Guido Carli non mancò di illustrare alla fine dell’anno in un appunto inviato a Mariano Rumor, allora segretario politico della Dc e prossimo ad assumere, il 12 dicembre, l’incarico di presidente del Consiglio di un governo di centro-sinistra:
La crisi monetaria internazionale […] si distingue per l’eccezionale gravità. […] Per la prima volta nel dopoguerra sono stati chiusi per circa una settimana i mercati di cambi di Londra, di Parigi, di Francoforte e per un giorno quelli di Amsterdam e di Bruxelles9.
La nota di Carli indicò i caratteri di un sommovimento profondo del sistema monetario globale, la fine del regime dei cambi fissi, preannunciando una crisi generale dell’architettura internazionale che nell’agosto del 1971 si sarebbe definita con la decisione dell’amministrazione Nixon di sospendere la convertibilità del dollaro in oro e di svalutare la moneta statunitense al fine di imprimere un’acce...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. Sigle e abbreviazioni
  5. L’Italia di piazza Fontana
  6. I. Dallo scandalo Sifar all’alba degli anni Settanta. La crisi delle Forze armate e le «responsabilità imbarazzanti» al tempo della «grande distensione»
  7. II. La crisi della Confindustria e l’unità sindacale: la svolta dell’autunno caldo
  8. III. La crisi dell’ordine pubblico di fronte alle trasformazioni sociali
  9. IV. La frattura democristiana, la scissione socialista e le eresie comuniste: il sistema politico tra crisi e continuità
  10. Indice dei nomi
  11. Il libro
  12. L’autore
  13. Dello stesso autore
  14. Copyright