- 144 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
Saggio sui potenti
Informazioni sul libro
Gli uomini divinizzano troppo spesso il potere. Attribuiscono ai capi una facoltà pressoché illimitata di modificare la storia del mondo. Immaginano che i governanti esercitino un pieno controllo sulla politica, sull'economia, sulle burocrazie, sugli apparati militari. Ma si ingannano. La realtà del potere è diversa dalle apparenze. Un capo conosce molto poco il mondo che lo circonda, e molto poco riesce a trasformarlo. Quanto piú grandi sono le responsabilità che si assume, tanto piú grandi sono gli ostacoli che egli incontra nel conoscere e nell'agire. Con una scrittura chiara, brillante e tagliente Piero Melograni ha vivisezionato il potere non solo politico ed economico, ma anche quello che risiede fuori dai palazzi, quello che viviamo ogni giorno all'interno delle piccole dinamiche che regolano le nostre vite quotidiane.«Il rispetto dell'autonomia di ciascuno trova il suo fondamento nel rispetto verso gli altri. Non soltanto perché ciascuno di noi è "altro" rispetto a tutti, ma anche in base a una constatazione che possiamo spesso fare: che i movimenti politici desiderosi di restringere l'autonomia dei cittadini, ottengono questo risultato additando la minaccia esercitata da veri o da supposti nemici. La presenza di nemici reali o immaginari rischia sempre di comprimere la libertà. Lo si vede bene durante le guerre, almeno finché la maggioranza dei cittadini continua a pensare che il nemico sia davvero esecrabile. Da tali premesse deriva che tutti coloro i quali desiderano limitare gli abusi dei capi, debbono essere estremamente cauti nell'accettare che a qualcuno sia attribuita la qualifica di nemico. Debbono trovare il modo di difendersi e di contendere imparando a distinguere tra i nemici e coloro i quali invece appaiono o sono diversi».
Domande frequenti
Informazioni
Antologia di classici
Se consideriamo un contadino e un re, un nobile e un villano, un magistrato e un uomo qualsiasi, un ricco e un povero, si presenta subito ai nostri occhi un’enorme differenza, mentre, per cosí dire, son differenti sol per le brache1.
Li vedete [gli attori] assumere sulla scena l’atteggiamento di duca e di imperatore; ma, subito dopo, eccoli diventati servi e facchini miserabili, che è la loro nativa e originaria condizione: cosí l’imperatore, la cui pompa vi abbaglia in pubblico, guardatelo dietro la tenda, non è altro che un uomo comune e, forse, piú vile dell’ultimo dei suoi sudditi. La codardia, l’irresolutezza, l’ambizione, il dispetto e l’invidia agitano lui come un altro. La preoccupazione e il timore lo tengono per la gola in mezzo ai suoi eserciti. La febbre, l’emicrania e la gotta risparmiano forse lui piú di noi? Quando la vecchiaia gli graverà le spalle, gli arcieri della sua guardia potranno forse liberarlo? Quando il terrore della morte lo agghiaccerà, sarà egli forse rassicurato dalla presenza dei gentiluomini della sua camera? Quando sarà còlto da gelosia e da capriccio, lo calmeranno le nostre scappellate? Quel baldacchino del letto, tutto ornato d’oro e di perle, non ha alcun potere di calmare le fitte di una colica di fegato2.
Sí, egli sarà forse del parere del re Seleuco: che se uno conoscesse il peso di uno scettro, non si degnerebbe di raccoglierlo se lo trovasse per terra; lo diceva a proposito dei grandi e penosi compiti che toccano a un buon re. Certo, non è poco dover governare gli altri, poiché già a governare se stessi s’incontrano tante difficoltà. Quanto al comandare, che sembra essere tanto dolce, considerando la debolezza del giudizio umano e la difficoltà della scelta nelle cose nuove e dubbiose, io sono proprio di questo parere, che è molto piú facile e piú piacevole seguire che guidare, ed è un gran riposo per lo spirito non dover far altro che seguire una via tracciata e non rispondere che di se stesso3.
Pensiamo forse che i fanciulli del coro prendano gran piacere alla musica? La sazietà la rende loro piuttosto noiosa. I festini, le danze, le mascherate, i tornei rallegrano coloro che non li vedono spesso e che hanno desiderato di vederli; ma per coloro che li frequentano abitualmente, il gusto ne diventa scipito e spiacevole; né le dame allettano chi le gode a sazietà. Chi non si dà agio di aver sete, non può provar piacere nel bere. Le farse dei buffoni ci rallegrano, ma sono faticose per coloro che le rappresentano. E che sia cosí lo prova il fatto che è una delizia per i principi, è una festa, poter qualche volta travestirsi e abbassarsi a un modo di vita vile e popolare4.
Alfonso XI, re del León e della Castiglia, diceva che in questo gli asini erano in condizioni migliori dei re: i loro padroni li lasciano pascolare a loro agio, mentre i re non possono ottenere la stessa cosa dai loro servitori5.
Quando il re Pirro si accingeva a venire in Italia, Cinea, il suo saggio consigliere, volendo fargli sentire la vanità della sua ambizione, gli domandò:– Ebbene, Sire, a che fine preparate questa grande impresa?– Per impadronirmi dell’Italia, – egli rispose subito.– E poi, – proseguí Cinea, – fatto questo?– Passerò, – disse l’altro, – in Gallia e in Spagna.– E dopo?– Me ne andrò a sottomettere l’Africa; e infine, quando avrò assoggettato il mondo al mio potere, mi riposerò e vivrò contento e a mio agio.– Per Dio, Sire, – replicò allora Cinea, – ditemi, da che cosa dipende che non siate fin d’ora in questa condizione, se lo volete? Perché non vi ponete, fin da questo momento, nella situazione a cui dite di aspirare, e non vi risparmiate tanta fatica e tanti rischi che volete frapporre tra voi e questo fine?6
Anche la dominazione è servile quando dipende dall’opinione; infatti tu dipendi dai pregiudizi di quelli che governi coi pregiudizi. Per guidarli come ti piace bisogna che tu stesso ti conduca come piace a loro. Basta che loro cambino maniera di pensare e bisognerà bene per forza che tu cambi modo d’agire. [...] I miei popoli sono i miei sudditi, tu dici fieramente. Sia. Ma tu chi sei? Il suddito dei tuoi ministri. E i tuoi ministri, a loro volta, che cosa sono? I sudditi dei loro funzionari, delle loro amanti, i valletti dei loro valletti. Prendete tutto, usurpate tutto e poi spargete il denaro a piene mani; piazzate batterie di cannoni, innalzate forche e ruote, emanate leggi, editti, moltiplicate le spie, i soldati, i carnefici, le prigioni, le catene: poveri omuncoli, a che vi serve tutto ciò? Non sarete per questo né meglio serviti, né meno derubati, né meno ingannati, né piú assoluti. Direte sempre: vogliamo, ma farete sempre ciò che vogliono gli altri7.
Il Re [Luigi XVI] continuava a parlar da padrone [negli anni precedenti la rivoluzione], ma in realtà già obbediva a un’opinione pubblica che lo guidava o lo trascinava ogni giorno, opinione ch’egli doveva consultare, temere, lusingare senza tregua; Re assoluto secondo la lettera delle leggi, ma detentore di un potere limitato e frenato nel modo di applicarle8.
La Rivoluzione distrusse subitamente, con un convulsivo e doloroso sforzo, senza transizione, senza circospezione, senza riguardi, ciò che sarebbe lentamente finito da sé. Tale fu la sua opera9.
Molte leggi, molti principî politici dell’antico regime spariscono d’un tratto nel 1789 per riapparire qualche anno dopo, come certi fiumi sprofondano sotterra, per riaffiorare poco lungi e mostrare a nuove rive le loro acque10.
Non sono affatto, come fu troppo detto e ridetto, i principî del 1789 in materia d’amministrazione pubblica che trionfarono a quell’epoca e in seguito, ma quelli dell’antico regime, che furono allora tutti ripristinati, e che rimasero pienamente in vigore11.
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Saggio sui potenti
- Premessa
- I. L’ignoranza dei potenti
- II. La società frazionata
- III. Gli apparati burocratici
- IV. Il potere dell’economia
- V. La presenza delle masse
- VI. Nominare, destituire, uccidere
- VII. L’edificazione dei templi
- VIII. L’irrazionale collettivo
- IX. Vizi e malattie dei potenti
- X. Antologia di classici
- Epilogo
- Indice dei nomi
- Il libro
- L’autore
- Copyright