Questione di vita e di morte
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Questione di vita e di morte

  1. 136 pagine
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Questione di vita e di morte

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A chi appartiene la nostra vita? Detto altrimenti: sul nostro fine vita è preferibile che decidiamo noi o un estraneo che non conosciamo, scelto dal caso o dai rapporti di forza, che potrebbe essere anche un nostro nemico? Questo è l'unico interrogativo intellettualmente onesto, logicamente e moralmente onesto, con cui affrontare il tema del fine vita, del suicidio assistito, dell'eutanasia. Ed è l'interrogativo che Paolo Flores d'Arcais si pone in questo pamphlet, lucido, serrato e implacabile nel carattere stringente delle sue argomentazioni. La risposta ovvia è che preferiamo decidere noi. Perché mai dovremmo sottometterci a un altro, alla Chiesa, a una maggioranza politica? Tutti e ciascuno, senza eccezioni, preferiremmo essere noi a scegliere. Ad essere lo gicamente e moralmente onesti, perciò la questione del fine vita non costituisce un problema, non dovrebbe, almeno. Ha in sé la sua risposta: nessuno può imporre la propria volontà sul fine vita di un altro.

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Informazioni

Capitolo quinto

Cattolicamente

1. Promessa di laicità di due cardinali e un arcivescovo.

Ma poiché è stato detto che la filosofia origina dalla meraviglia e prende le mosse dallo stupore1 (thauma è infatti, innanzitutto, l’angosciato stupore), procediamo a filosofare ulteriormente, meravigliandoci in modo ordinato e sistematico di tutte le obiezioni che vengono sciorinate contra quello che a ogni ragione argomentativa appare in modo adamantino, abbiamo visto, un diritto inalienabile. Scegliamo come interlocutori le personalità piú eminenti, poiché in una disputa è buona regola (raramente rispettata) scontrarsi con i migliori campioni della parte avversa, non con quelli piú confortevoli (in genere il mondo cattolico «dialoga» assai spesso con atei di comodo): Elio Sgreccia e Dionigi Tettamanzi, entrambi cardinali (il secondo con lunga carriera di pastore, arcivescovado di Genova e poi di Milano) sono gli autori dei due grandi manuali di riferimento per la bioetica cattolica; monsignor Vincenzo Paglia, cofondatore della Comunità di Sant’Egidio, già vescovo di Terni-Narni-Amelia, nel 2012 è stato nominato Presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, elevato alla dignità di arcivescovo e il 15 agosto 2016 è stato nominato presidente della Pontificia accademia per la vita.
Tutti e tre tengono a ribadire che i loro argomenti non si rivolgono solo ai credenti ma a tutti gli uomini in quanto dotati di razionalità. Del resto è l’atteggiamento presente anche nell’Enciclica Evangelium vitae: «Il Vangelo della vita non è esclusivamente per i credenti: è per tutti» (§ 100), si indirizza a «ogni uomo» (§ 2). È il punto cruciale e dirimente. Se Tettamanzi, Sgreccia e Paglia non avanzassero argomenti validi anche a prescindere dalla fede cattolica, non potrebbero pretendere che al loro punto di vista si adegui la legge civile, dovrebbero limitarsi a predicare per le pecorelle del gregge sensibili al premio del paradiso e/o alle pene dell’inferno: ogni pretesa in piú implicherebbe il ritorno dello Stato a braccio secolare della Chiesa, regressione medievale insomma.
Per Tettamanzi, sul fine vita bisogna parlare a ogni uomo esattamente in quanto «essere razionale libero e responsabile». Per cui «valutazione e soluzione del problema eutanasia» sono affidati al «discernimento richiesto» non solo «al credente» ma anche «a ogni uomo di buona volontà». E ancora: «urge una valutazione veramente e pienamente umana dell’eutanasia e dei diversi problemi connessi, primo fra tutti il senso del vivere, del soffrire e del morire. Occorre l’impegno alla razionalità»2 (è Sua Eminenza che sottolinea). Anche Sua Eminenza Sgreccia afferma che «le ragioni offerte sono spesso valide anche per i non credenti», e andrà verificata l’incidenza di quel limitativo «spesso». Monsignor Paglia conclude il suo libro addirittura con un: «il dialogo tra il cristiano e la cultura laica deve trovare un nuovo vigore e una nuova audacia»3.

2. Una canagliesca amalgama ecclesiastica.

A contraddire questi santi propositi si ergono purtroppo le pietre d’inciampo dei canaglieschi riferimenti alle pratiche naziste. Elio Sgreccia, dopo aver richiamato l’ampiezza delle pratiche eutanasiche nella storia, aggiunge che «bisogna giungere al nazismo per vedere esplodere questa pratica in forma organizzata»4. Assimilazione immonda, perché l’eutanasia di cui da decenni si discute è il diritto all’eutanasia, il diritto, per chi ritiene la propria vita ormai invivibile, di poter essere aiutato a porvi fine. Il nazismo non ebbe mai nulla a che fare con il riconoscimento di tale diritto, si esercitò a sopprimere, contro la loro volontà, le vite di quanti riteneva non in linea con i canoni ariani di umanità. Siamo perciò agli antipodi, e ogni amalgama tra i due fenomeni inquina fino alla distruzione ogni possibilità di «dialogo tra il cristiano e la cultura laica».
Purtroppo è san Karol Wojtyła, sul soglio di Pietro come Giovanni Paolo II, che nell’enciclica Evangelium vitae crea la premessa per questa oltraggiosa e diffamatoria mescolanza, quando scrive che «per eutanasia in senso vero e proprio si deve intendere un’azione o un’omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore», poiché alla parola morte manca l’aggettivo cruciale e discriminante: morte richiesta.
Sua Eminenza Sgreccia aveva preferito «la soppressione indolore o per pietà di chi soffre o si ritiene che soffra e che possa soffrire nel futuro in modo insopportabile», dove campeggia anche qui l’omissione colpevole e dirimente: «su sua richiesta». La successiva precisazione risulta velenosamente equivoca: dopo essersi soffermato sul programma nazista, e ammesso che «certamente non sono coincidenti le ragioni portate dai fautori di oggi» e proclamato che «l’analisi va fatta in senso obiettivo e spassionato» conclude con: «c’è un punto comune, però, tra le teorie naziste e l’odierna ideologia pro-eutanasia»5. Di comune non c’è invece nulla, Eminenza, si tratta di bianco e nero, volontà del malato o volontà dello Stato (del Potere).
A questa intollerabile manipolazione ti sei piegato anche tu, amico Vincenzo, perché dopo aver ammesso che «a differenza dei nazisti, oggi ci si basa sul principio dell’autodeterminazione del singolo che la chiede, non certo della imposizione dell’autorità pubblica» concludi con un incongruo, agghiacciante e disonesto «ma i confini tra le due forme non sono sempre chiari»6. Sono chiarissimi, invece, l’uno l’opposto dell’altro, autodeterminazione e prevaricazione!
Vorremmo perciò prendere sul serio Sua Eminenza Tettamanzi quando inveisce contro la «diffusione di una terminologia equivoca e confusionaria», purtroppo lo stravolgimento interessato e consapevole della terminologia è sistematico proprio da parte dell’ideologia cattolica gerarchica, se perfino Vincenzo Paglia, vescovo misericordioso e di un’istituzione misericordiosa confondatore, definisce l’eutanasia «l’atto umano che deliberatamente pone fine alla vita di una persona incurabile gravemente malata», omettendo di proposito l’aggettivo chiave e quintessenziale dell’eutanasia, persona consenziente, e che anzi quel porre fine alla propria vita ha richiesto e invocato, pregando e supplicando. Da qui il raggiro: «non ci troviamo di fronte alla scelta tra una presunta morte migliore (raggiunta con l’eutanasia) e una peggiore (lasciare il malato nel dolore), bensí tra un procurare la morte o far continuare la vita»7, mentre il dilemma vissuto dal malato nella sua carne e nel suo spirito, quando implora che la sua vita-ormai-tortura abbia un termine, è esattamente quello che Paglia nega.
Alla viscida amalgama col nazismo e alla frode per omissione nella definizione di eutanasia, aggiungiamo una terza immoralità, per fortuna sporadica ma particolarmente indecente, già richiamata: «non esistono piú situazioni di dolori terminali che la medicina non sia in grado di rendere sopportabili». Cosí parlò Francesco D’Agostino, pasdaran del dogma bioetico cattolico, in un testo nauseante che dovrebbe essere condannato a recitare di persona al capezzale di qualche morente che l’eutanasia ha disperatamente invocato, e che invece monsignor Vincenzo Paglia riporta in nota sottoscrivendolo8. Sarà lo stesso Paglia, proprio dopo aver citato i progressi enormi delle cure palliative, a confessare di non credere che «sia possibile eliminare del tutto il dolore e la sofferenza dalla vita umana», dunque anche dal fine vita, si presume, riconoscendo che «semmai bisogna interrogarsi se il dolore e la sofferenza abbiano senso»9.

3. Chi chiede l’eutanasia non sa quello che vuole?

Abbandoniamo il triste capitolo delle brutture e andiamo agli argomenti.
Il primo recita: «Com’è possibile penetrare e scandagliare ciò che realmente passa nell’animo di una persona che chiede di essere uccisa per pietà?»10. Ma se quello che accade «in interiore homine» è davvero indecifrabile, perché mai, Eminenza Tettamanzi, la sua interpretazione di quanto intende il malato dovrebbe essere piú vicina alla realtà rispetto alle esplicite, reiterate espressioni verbali del malato stesso, le cui condizioni di lucidità e consapevolezza sono state accertate per quanto umanamente possibile? Quale albagia di superiorità, quale tracotanza le consente di ergersi a ermeneuta di fondali psichici che dichiara insondabili? E quale comunicazione umana sarebbe in qualsiasi campo possibile, se si stabilisse la follia che solo le porpore di Santa Madre Chiesa hanno cromosomi e sinapsi atte a «penetrare e scandagliare» ciò che realmente passa nell’animo degli altri Homo sapiens ogni volta che aprono bocca? Non le sembra che si sfiori il delirio di presunzione?
Tettamanzi si domanda, retoricamente, «se queste persone siano veramente protagoniste d’una libera scelta di morte, o non piuttosto vittime d’una situazione che non sono riuscite a dominare. Agiscono in libertà o sono sopraffatte da pesi insopportabili?» Retoricamente, perché Tettamanzi, citando Sua Eminenza Joseph Ratzinger, successivamente papa, lo sa: «le suppliche dei malati molto gravi, che talvolta invocano la morte, non devono essere intese come espressione di una vera volontà di eutanasia; esse infatti sono quasi sempre richieste angosciate di aiuto e di affetto»11. Vincent, Dominique, George e Shirley, David, Damiana, Susanna, Lecretia, Brittany, Chantal, Coralie ringrazieranno per quel «quasi sempre», che potrebbe escluderli dal novero di quanti «non sanno quello che sanno». In effetti le ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Questioni di vita e di morte
  4. Prologo
  5. I. Logicamente
  6. II. Esistenzialmente
  7. III. Filosoficamente
  8. IV. Giuridicamente
  9. V. Cattolicamente
  10. VI. Commiato, ovvero perché la tua vita sia tua, occorre lottare
  11. Il libro
  12. L’autore
  13. Dello stesso autore
  14. Copyright