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La mia storia

  1. 512 pagine
  2. Italian
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La mia storia

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Informazioni sul libro

«Odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare, continuo a palleggiare tutta la mattina, tutto il pomeriggio, perché non ho scelta... Continuo a implorarmi di smettere e continuo a giocare, e questo divario, questo conflitto, tra ciò che voglio e ciò che ettivamente faccio mi appare l'essenza della mia vita...»
Andre Agassi Uno dei piú grandi campioni di tennis di tutti i tempi si racconta senza pudore in un memoir che ha fatto scalpore nel mondo, non solo in quello del tennis, ed è diventato un caso editoriale senza precedenti. Un padre ossessivo e brutale che lo vuole numero uno al mondo a ogni costo. Gli allenamenti a ritmi disumani, contro il «drago» sputapalle. La solitudine assoluta in campo che gli nega qualsiasi forma di gioventú. E poi una carriera da numero uno lunga vent'anni e 1000 match. Punteggiata da imprese memorabili ma anche da paurose parabole discendenti. Con l'avversario di sempre: Sampras. E chiacchierati matrimoni: Brooke Shields e Steffi Graf. Una vita sempre sotto i riflettori. Ma non senza dolorosi lati oscuri.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2019
ISBN
9788858431788

21.

Cambiare.
È ora di cambiare, Andre. Non puoi andare avanti cosí. Cambiare, cambiare, cambiare – me lo ripeto diverse volte al giorno, ogni giorno, mentre imburro il mio toast mattutino, mentre mi lavo i denti; non è tanto un monito quanto una cantilena tranquillizzante. Lungi dal deprimermi o dal farmi provare vergogna, l’idea di dover cambiare radicalmente, da capo a piedi, mi ridà equilibrio. Una volta tanto non avverto quel dubbio assillante che segue ogni mia risoluzione. Questa volta non fallirò, non posso, perché o cambio adesso o mai piú. L’idea di fossilizzarmi, di rimanere questo Andre per il resto della mia vita, ecco ciò che trovo davvero deprimente e che mi fa vergognare.
Eppure. Le nostre migliori intenzioni sono spesso frustrate da forze esterne – forze che noi stessi abbiamo messo in moto tanto tempo prima. Le decisioni, soprattutto quelle sbagliate, generano una loro inerzia e fermare l’inerzia può essere un bel casino, come ogni atleta sa bene. Anche se giuriamo di cambiare, anche se siamo dispiaciuti e facciamo ammenda dei nostri errori, l’inerzia del passato continua a trascinarci per la strada sbagliata. L’inerzia governa il mondo. L’inerzia dice: Calma, non cosí in fretta, sono ancora io che comando qui. Come ama dire un mio amico, citando un vecchio poema greco: La mente degli dèi eterni non cambia all’improvviso.
Settimane dopo Stoccarda, mentre attraverso l’aeroporto La Guardia, ricevo una telefonata. È un uomo con una voce dura e un tono di giudizio, di condanna. La voce dell’Autorità. Dice che è un medico che lavora per l’ATP. (Penso al significato di quella sigla: Association of Tennis Professionals). Ha una voce lugubre, come se stesse per annunciarmi che sto morendo. Ed è esattamente quello che mi dice.
È stato incaricato di analizzare i miei campioni di urina in occasione di un recente torneo. È mio dovere, dice, informarla che non ha superato il test standard antidroga dell’ATP. Nel campione di urina che ha consegnato sono state rinvenute tracce di metanfetamina.
Cado su una sedia dell’area ritiro bagagli. Ho uno zaino che faccio scivolare dalla spalla e lascio cadere a terra.
Mr Agassi?
Sí. Sono qui. E adesso?
Be’, ci sarà un processo. Dovrà scrivere una lettera all’ATP, ammettendo la sua colpa o dichiarando la sua innocenza.
Uh uh.
Sapeva che c’era la possibilità che quella droga fosse nel suo organismo?
Sí. Sí, lo sapevo.
In tal caso dovrà spiegare nella lettera come ci è finita.
E poi?
La sua lettera sarà esaminata da un comitato.
E poi?
Se ha preso consapevolmente la droga – se lei, per cosí dire, si dichiara colpevole – ovviamente incorrerà in sanzioni disciplinari.
Di che genere?
Mi ricorda che il tennis ha tre classi di violazioni per droga. Il doping è una violazione di prima classe, dice, che comporta la squalifica per due anni. Tuttavia, aggiunge, la metanfetamina rientra chiaramente nella seconda classe: droghe ricreative.
Penso: Ricreazione. Ri-creazione.
Dico: Il che significa?
Tre mesi di squalifica.
Che faccio una volta che ho scritto la lettera?
Le do un indirizzo. Ha qualcosa per scrivere?
Pesco il mio blocco note dallo zaino. Mi dà via, città, codice di avviamento postale e io me li appunto, frastornato, senza nessuna intenzione di scrivere davvero quella lettera.
Il medico aggiunge qualche altra cosa, che non ascolto, poi lo ringrazio e chiudo la comunicazione. Esco barcollando dall’aeroporto e faccio segno a un taxi. Percorrendo Manhattan, fissando fuori del finestrino sporco, dico alla nuca del tassista: Alla faccia del cambiamento.
Vado dritto a casa di Brooke. Fortunatamente lei è a Los Angeles. Non riuscirei mai a nasconderle le mie emozioni. Dovrei confessarle tutto e non ce la farei, adesso. Cado sul letto e mi addormento di colpo. Quando mi sveglio un’ora dopo mi rendo conto che era soltanto un incubo. Che sollievo!
Mi ci vogliono parecchi minuti per accettare che, no, la telefonata era reale. Il medico era reale. La metanfetamina, fin troppo reale.
Il mio nome, la mia carriera, adesso tutto è in gioco, a un tavolo dei dadi dove nessuno vince. Tutto ciò che ho conquistato, tutto ciò per cui ho lavorato, potrebbe presto non significare piú nulla. Una parte del mio disagio nei confronti del tennis è sempre stato un senso assillante di mancanza di significato. Adesso sto per imparare il vero significato della mancanza di significato.
Ben mi sta.
Rimango sveglio fino all’alba, chiedendomi cosa fare, a chi dirlo. Cerco di immaginare come sarà essere svergognato pubblicamente, non per il mio abbigliamento o il mio gioco, non per uno slogan pubblicitario che qualcuno mi ha appiccicato addosso, ma per la mia assoluta stupidità, mia e mia soltanto. Sarò un reietto. Sarò additato come un esempio da evitare.
Eppure, anche se soffro, nei giorni seguenti non mi faccio prendere dal panico. Non ancora, non del tutto. Non posso, perché problemi piú sconvolgenti m’incalzano da ogni parte. Delle persone intorno a me, persone alle quali voglio bene, stanno male.
I medici devono operare di nuovo al collo la piccola Kacey. La prima operazione era stata chiaramente un pasticcio. Le organizzo un volo per Los Angeles, dove può ricevere le cure migliori, ma durante la degenza postoperatoria è di nuovo immobilizzata, giace sul dorso in un letto d’ospedale e soffre terribilmente. Impossibilitata a muovere la testa sente bruciare il cuoio capelluto e la pelle. E poi la sua camera è indicibilmente calda e lei è come suo padre: non sopporta il caldo. La bacio sulla guancia e le dico: Non ti preoccupare. Adesso sistemiamo tutto.
Guardo Gil. Sta rimpicciolendo davanti ai miei occhi.
Corro al piú vicino negozio di elettrodomestici e compro il condizionatore piú grosso e potente che hanno. Gil e io lo installiamo sulla finestra di Kacey. Quando giro la manopola su «max» e spingo il bottone di accensione, Gil e io battiamo le mani e Kacey sorride mentre l’aria fresca le allontana la frangetta dal bel visetto paffuto.
Poi corro in un negozio di giocattoli, nel reparto degli articoli da spiaggia, e compro uno di quei minuscoli salvagente a ciambella per bimbi piccoli. Faccio scivolare la ciambella sotto Kacey, posizionandole la testa al centro, poi la gonfio piano, finché non le solleva dolcemente e gradualmente il capo senza alterare l’angolazione del collo. Un’espressione di puro sollievo, di gratitudine e gioia le inonda il viso e in questa espressione, in questa ragazzina coraggiosa trovo quello che cercavo, la pietra filosofale che unisce tutte le esperienze, buone e cattive, degli ultimi anni. La sua sofferenza, il suo sorriso che resiste nonostante la sofferenza, la mia parte nell’alleviarla – questa, questa è la ragione di tutto. Di quante dimostrazioni ho bisogno? È per questo che siamo qui. Per combattere attraverso il dolore e, quand’è possibile, per alleviare il dolore altrui. Cosí semplice. Cosí difficile da capire.
Mi giro verso Gil e lui ha capito tutto quanto e ha le guance lucenti di lacrime.
Piú tardi, mentre Kacey dorme, mentre Gil fa finta di non dormire in un angolo, mi sistemo su una sedia dallo schienale duro al suo capezzale, con un foglio protocollo sulle ginocchia e scrivo una lettera all’ATP. È una lettera piena di bugie inframmezzate da pezzetti di verità.
Riconosco che la droga era nel mio organismo – ma dichiaro di non averla mai presa consapevolmente. Dico che Slim, che nel frattempo ho licenziato, fa notoriamente uso di droghe e che spesso corregge le sue bibite con anfetamina – il che è vero. Ed ecco la bugia centrale della lettera. Affermo che di recente ho bevuto per sbaglio una delle bibite corrette di Slim, ingerendo inconsapevolmente la sua droga. Dico che mi ero sentito intossicato, ma avevo creduto che la droga sarebbe scomparsa rapidamente dal mio organismo. Evidentemente cosí non era stato.
Chiedo comprensione e clemenza e mi affretto a concludere: In fede…
Siedo con la lettera in grembo, osservando il viso di Kacey. Provo vergogna, ovviamente. Sono sempre stato uno sincero. Quando mento, lo faccio quasi sempre inconsapevolmente, o a me stesso. Ma immaginando la faccia di Kacey nell’apprendere che zio Andre fa uso di droghe ed è stato squalificato per tre mesi, e poi moltiplicando quell’espressione per milioni di facce, non so cos’altro fare se non mentire.
Mi prometto che quanto meno questa bugia segna la fine della storia. La spedirò, ma non farò niente di piú. Lascerò il resto ai miei legali. Non andrò davanti a nessun panel e non mentirò in faccia a nessuno. Non mentirò mai pubblicamente a proposito di questa vicenda. D’ora in avanti la lascerò nelle mani del fato e dei burocrati. Se riescono a sistemare la faccenda in privato, senza chiasso, bene. Altrimenti accetterò ciò che verrà.
Gil si sveglia. Piego la lettera ed esco con lui in corridoio.
Sotto le luci fluorescenti appare pallido e teso. Sembra – non ci posso credere – debole. L’avevo dimenticato: è nei corridoi degli ospedali che capiamo cos’è la vita. Lo abbraccio e gli dico che gli voglio bene e che supereremo questo momento.
Annuisce, mi ringrazia, borbotta parole incoerenti. Rimaniamo in silenzio per un tempo infinito. Nei suoi occhi vedo i suoi pensieri, che girano intorno all’abisso. Poi cerca di distrarsi. Ha bisogno di parlare di qualcosa, qualsiasi cosa, che non sia la paura e la preoccupazione. Mi chiede come me la passo.
Gli dico che ho deciso di dedicarmi da capo al tennis, partendo dalle categorie minori per risalire. Gli dico che Kacey mi ha ispirato, mi ha indicato la strada.
Lui dice che mi vuole aiutare.
No, hai già fin troppo da fare.
Ehi. Sali sulle mie spalle, ricordi? Allungati.
Non posso credere che abbia ancora fede in me; gli ho dato cosí tanti motivi di dubitare. Ho ventisette anni, l’età in cui i tennisti iniziano a tramontare e parlo di una seconda chance, eppure Gil non batte ciglio, non aggrotta la fronte.
Pronti per la lotta, dice. Ci siamo.
Cominciamo dall’inizio, come se fossi un adolescente che non si è mai allenato, perché è questo che sembro. Sono lento, grasso, fragile come un gattino. È un anno che non sollevo un manubrio. La cosa piú pesante che ho preso su è il condizionatore di Kacey. Devo riscoprire il mio corpo, aumentarne cautamente e gradualmente la forza.
Ma prima: siamo nella palestra di Gil. Sono seduto sulla panca libera, lui è appoggiato alla leg extension. Gli racconto che cosa ho fatto al mio corpo. La droga. Gli dico della possibile squalifica. Non posso chiedergli di condurmi fuori dal baratro se non sa fino a che punto sono caduto in basso. Appare distrutto quanto nella camera di ospedale della figlia. Gil mi ha sempre ricordato la statua di Atlante, ma adesso sembra reggere letteralmente sulle spalle il peso del mondo, come se stesse sollevando i problemi di sei miliardi di persone. Gli manca la voce.
Non ho mai provato tanto disgusto per me stesso.
Gli dico che con la droga ho chiuso, che non la toccherò mai piú, ma non c’era bisogno di dirlo. Lo sa bene quanto me. Si schiarisce la gola, m...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Open
  4. La fine
  5. Uno
  6. Due
  7. Tre
  8. Quattro
  9. Cinque
  10. Sei
  11. Sette
  12. Otto
  13. Nove
  14. Dieci
  15. Undici
  16. Dodici
  17. Tredici
  18. Quattordici
  19. Quindici
  20. Sedici
  21. Diciassette
  22. Diciotto
  23. Diciannove
  24. Venti
  25. Ventuno
  26. Ventidue
  27. Ventitre
  28. Ventiquattro
  29. Venticinque
  30. Ventisei
  31. Ventisette
  32. Ventotto
  33. Ventinove
  34. L’inizio
  35. Ringraziamenti
  36. Elenco delle illustrazioni
  37. Il libro
  38. L’autore
  39. Copyright