La cura del freddo
eBook - ePub

La cura del freddo

Come uno spietato killer naturale può diventare una risorsa per il futuro

  1. 256 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

La cura del freddo

Come uno spietato killer naturale può diventare una risorsa per il futuro

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Quando nasce, il neonato si trova proiettato in un incubo: in un ambiente freddo anziché caldo, deve subito attivare il metabolismo e bruciare energia per non soccombere. Per l'uomo quindi la vita è calore. Questa verità è cosí forte e significativa che ne associamo anche gli opposti: la morte è fredda. Per gran parte della sua esistenza, l'uomo ha combattuto contro il freddo, forse l'avversario piú subdolo che la natura gli abbia opposto e che nei secoli lo ha falcidiato sui campi di battaglia, durante le esplorazioni o nel tentativo di conquistare le montagne. Eppure alcune persone sono state in grado di sopravvivere in condizioni di freddo estremo, avvicinandosi al confine che separa la vita dalla morte fin quasi a toccarlo, prima di riuscire a tornare indietro. Cosa c'è alla base di questa impressionante capacità di sopravvivenza? Non lo sappiamo ancora, ma da circa due secoli abbiamo imparato che il freddo, se domato e controllato, può trasformarsi in una cura, non diversamente da un farmaco che salva la vita o uccide in funzione del suo dosaggio. Oggi però ci stiamo spingendo oltre. Perché le recenti scoperte scientifiche relative all'ibernazione hanno aperto possibilità straordinarie, spalancando le porte all'esplorazione del sistema solare e alla speranza, sempre piú concreta, di mettere uno scudo fra noi e la morte.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a La cura del freddo di Matteo Cerri in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Scienze biologiche e Scienza generale. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2019
ISBN
9788858432174
Parte terza

La speranza

Scienza e fantascienza.

Quant’è grande la distanza che ci separa da un altro mondo abitabile? Apparentemente molto. Se escludiamo Marte, il pianeta piú vicino che potrebbe ospitare l’uomo è Proxima Centauri b, un pianeta roccioso in orbita intorno all’omonima stella, a 4,22 anni luce dalla Terra. Molti, però, credono che questo giudizio sia pervaso da un eccessivo ottimismo. Il grado di abitabilità di un pianeta che si trova fuori dal sistema solare viene espresso da un indice numerico, l’ESI, Earth Similarity Index (indice di similarità con la Terra). Questo valore, che va da zero per un pianeta completamente diverso dalla Terra a 1 per un pianeta gemello della Terra, viene calcolato sulla base di alcune grandezze planetarie, come la massa del pianeta e la sua temperatura di superficie. Uno dei pianeti con l’indice ESI maggiore è Kepler-438b, il quale si trova a circa 640 anni luce da noi e, per qualche decennio, ha guidato la classifica degli esopianeti piú abitabili con un indice ESI uguale a 0,88; Marte, per fare un confronto, ha un ESI pari a 0,70. Fare questi calcoli è assai difficile, perché molte informazioni sono il frutto di stime, mentre di altri parametri mancano le misure dirette. Nel caso di Kepler-438b, ad esempio, pare che la quantità di radiazioni che colpisce la sua superficie sia troppo elevata per consentire la vita.
C’è però una costante che unisce tutti gli esopianeti: la loro distanza dalla Terra è piú che considerevole. Prendiamo Proxima Centauri b, a soli 4,22 anni luce da noi. Tradotto in chilometri, stiamo parlando di 3,9924 x 1013, cioè 39 924 000 000 000: un intervallo di spazio notevole, nonostante risulti molto piccolo sulla scala della galassia. Al momento, questa distanza è troppo grande perché un singolo equipaggio possa pensare di arrivarci; per avere una qualche speranza di successo è necessaria una missione generazionale.
Alcuni anni fa due ricercatori francesi, Frédéric Marin e Camille Beluffi, hanno calcolato il numero minimo di persone che dovrebbero partire per compiere un’impresa del genere. Nell’articolo da loro pubblicato la risposta è che, per garantire il successo di una missione della durata di circa 6300 anni (assumendo alcuni sviluppi tecnologici nel settore della propulsione e non solo), dovrebbero partire almeno 98 persone. La lista d’imbarco non è stata ancora aperta, ma credo che riempirla non sarebbe difficile, qualora l’umanità decidesse di lanciarsi in questa impresa. In fondo, il superamento dei confini è stato l’istinto primigenio che ha portato l’uomo ovunque sul pianeta.
È possibile che questo desiderio di esplorazione abbia salvato l’Homo sapiens dall’estinzione, circa 200 000 anni fa, quando il clima cambiò e i nostri antenati si trovarono a fronteggiare, per i successivi 70 000 anni, l’èra glaciale. Il continente africano, dove ai tempi dimorava l’uomo, pur non essendo stato colpito dalla morsa del gelo, risentí delle conseguenze che la glaciazione portò con sé. I deserti, infatti, si estesero in dimensione e gli habitat adatti alla vita diminuirono drasticamente. Durante questo periodo, la popolazione umana scese dalle 10 000 unità dell’inizio alle poche centinaia che riuscirono a sopravvivere, probabilmente dirigendosi verso le coste del Sudafrica. Grazie ai ritrovamenti sudafricani, c’è chi sostiene che la manifestazione delle abilità cognitive superiori che caratterizzano l’uomo sia avvenuta prima di quanto normalmente ritenuto. Oggi si pensa che il cosiddetto grande balzo in avanti, cioè il momento in cui l’uomo ha iniziato il suo cammino moderno, sia avvenuto circa 40 000 anni fa, ma è possibile che questo evento vada collocato in un’epoca ancora precedente.
La storia dell’evoluzione umana è lunga e affascinante. Ed è forte la tentazione di paragonare i nostri tempi a quelli remoti, quando una specie che iniziava a usare i poteri cognitivi del proprio cervello si trovava a contrastare un cambiamento climatico e ambientale drammatico. Come allora, anche oggi potremmo trovarci all’inizio di un’èra di cambiamenti climatici; e come allora, anche oggi abbiamo la possibilità di sfruttare tecnologie sofisticate in grado di facilitare il nostro adattamento a nuovi scenari e di aiutarci a intraprendere viaggi finora solo immaginati.
L’esplorazione e l’adattamento furono le due strategie che ci tennero in vita. Oggi, forse, le modificazioni dell’ambiente terrestre ci stimolano a usare quelle strategie per trovare una soluzione radicale nella colonizzazione dello spazio.
La colonizzazione dello spazio è un tema ricorrente nei desideri umani, perlomeno nel secolo scorso. La fantascienza non fa altro che esplicitare le speranze che la rivoluzione tecnologica alimenta. Molti scienziati sono appassionati di fantascienza: forse questo genere letterario consente loro di godere delle straordinarie possibilità che la ricerca lascia intravedere prima ancora che queste stesse possibilità, attraverso lo studio e il lavoro, vengano effettivamente scoperte e testate.
Le visioni degli scrittori di fantascienza plasmano in qualche modo i sogni e le speranze di chi costruisce la scienza del futuro. Mi piace pensare a uno sforzo sinergico che lega letteratura e ricerca scientifica: in fondo, quest’ultima è un’attività fatta da uomini, che non sono certo immuni a sogni e speranze.
La colonizzazione di altri mondi esercita da sempre una grande forza propulsiva, e la fantascienza non fa altro che immaginare le tecnologie utili per realizzarla. Come spostarsi da un pianeta all’altro, da una stella all’altra, o da una galassia all’altra? Motori velocissimi e tunnel spazio-temporali offrirebbero una soluzione pratica e seducente al problema dei viaggi stellari a lunga percorrenza, ma nascondono una difficoltà: non abbiamo la minima idea di come si presentino un tunnel spazio-temporale o un warmhole, e la fisica non ci consente ancora di sfruttare motori cosí potenti da spingerci oltre la velocità della luce. Allora un’altra soluzione si affaccia all’orizzonte: l’ibernazione.
Se non si può aumentare la velocità, forse si può rallentare il tempo. Per molti aspetti, l’ibernazione è piú facile da immaginare. Il sonno, di cui facciamo esperienza ogni notte, potremmo raffigurarcelo come una piccola ibernazione. Anche l’anestesia generale fa parte del nostro mondo, e non è difficile ipotizzare che un giorno si possa addormentare una persona per il tempo necessario a un viaggio spaziale. Viaggiare dormendo non è ciò che cerchiamo di fare tutte le volte che affrontiamo un volo intercontinentale? Basta spingere un po’ oltre la nostra fantasia ed ecco che, in un attimo, ci ritroveremo a bordo di un traghetto interstellare in stato di torpore.
Inoltre, una tecnologia che ci consenta di entrare in ibernazione aprirebbe scenari piú interessanti rispetto alla scoperta di un warmhole o di un tunnel spazio-temporale. Rallentare il tempo, fin quasi a fermarlo, ci attrezzerebbe alla lotta contro il nemico della vita per antonomasia: la morte. Vivere per sempre diventerebbe un sogno a portata di mano, ma, senza osare cosí tanto, lo sarebbe anche svegliarsi nel futuro. L’ibernazione non ci consentirebbe di viaggiare nel passato, ma diventerebbe un comodo ascensore da prendere per salire ai piani alti del futuro.
Tutte queste tematiche sono state ampiamente sfruttate in film e romanzi di fantascienza. Lunghe distanze in stato di ibernazione vengono ad esempio percorse a bordo della Nostromo, l’astronave che trasporta Ellen Ripley verso LV-426, la luna dove incontrerà Alien; o a bordo dell’Avalon, l’astronave che, nel recente film Passengers, porta una colonia umana verso Homestead II. L’ibernazione, nell’immaginario fantascientifico, consente non solo di coprire distanze enormi nello spazio siderale, ma anche di viaggiare nel tempo: in Capitan America, ad esempio, il nostro eroe può viaggiare fino ai giorni nostri perché è stato dimenticato in una capsula d’ibernazione. A Woody Allen succede qualcosa di simile nel Dormiglione, mentre altri film, come Ideocracy, ricorrono a questo stratagemma per catapultare un uomo dei nostri tempi nel futuro. Anche l’utilizzo dell’ibernazione come arma per sconfiggere la morte trova ampia rappresentazione cinematografica. In Vanilla Sky, l’ibernazione permette di vivere per sempre in un mondo virtuale di nostra scelta. Non molto diversamente da quanto avviene in Matrix.
L’idea di essere un giorno ibernati e di partire per un lungo viaggio spaziale è per certi aspetti già parte del nostro presente.

Cos’è l’ibernazione.

Davvero l’ibernazione si potrebbe sfruttare per un viaggio interplanetario?
Proviamo prima a guardare la natura. Copiare a volte non è corretto, ma la struttura della vita è ancora troppo complessa perché si proceda in totale autonomia. Sarà quindi non solo lecito, ma necessario, imitare ciò che esiste già.
Nel nostro caso, la sorgente di idee saranno alcuni mammiferi particolari: i mammiferi ibernanti, quelli che sono in grado, utilizzando un’espressione comune, di entrare in letargo. Noi mammiferi siamo caratterizzati da un elevato metabolismo e da un’elevata temperatura corporea, grazie ai quali, nel corso dell’evoluzione, ci siamo liberati dalla dittatura del freddo. Non tutti i mammiferi, però, sono sempre caldi. Alcuni di essi, come ad esempio lo scoiattolo, l’orso o il criceto, possono, in particolari condizioni, abbandonare temporaneamente il loro status di mammiferi e ritornare indietro nella scala evolutiva al tempo in cui il loro metabolismo era molto piú basso. In quei momenti, sospendono la battaglia tra il loro corpo e il freddo, ma solo perché decidono che è meglio arrendersi.
Nel nostro immaginario, la parola «ibernazione» è associata alla parola «freddo». Ma la natura è piena di sorprese e infatti l’ibernazione, nonostante il nome, non è un fenomeno causato dal freddo. Esistono diversi tipi di ibernazione: l’ibernazione propriamente detta, l’estivazione e il torpore. Il torpore è a tutti gli effetti l’elemento chiave del comportamento di questi mammiferi. Ibernazione ed estivazione possono essere considerate come sequenze di episodi di torpore.
Il torpore è uno stato comportamentale speciale, nel senso che è diverso dal sonno REM e non-REM, dal coma, dall’anestesia generale e da tutti gli stati comportamentali noti. Quando un animale decide di entrare in torpore, riesce a fare una cosa straordinaria: spegne il proprio metabolismo. Proprio quel metabolismo che è stato per noi mammiferi la prima linea di difesa contro il freddo viene congedato. Poiché la soppressione metabolica riduce drasticamente la produzione di calore, la conseguenza è che il corpo di questi animali si raffredda. E il raffreddamento è tanto piú intenso, quanto minore è la temperatura ambientale.
Il torpore è quindi l’elemento base dell’ibernazione e dell’estivazione. Può durare alcune ore, in specie come il topo, o alcuni giorni, in specie come i criceti siriani, ma le sue caratteristiche chiave restano le stesse in tutte le specie. Gli animali che sono in grado di entrare in torpore «a comando» si chiamano eterotermi facoltativi. Questa espressione vuol dire che un certo tipo di mammiferi può, se vuole, abbandonare il confortevole mondo della temperatura corporea costante, dell’omeotermia, e trasferirsi in un gruppo tassonomico piú antico, la cui temperatura corporea dipende dall’ambiente.
Altri animali, però, sempre appartenenti alla famiglia degli ibernanti, hanno abusato troppo di questo potere e ne sono diventati dipendenti. Alcune specie come lo scoiattolo o il ghiro devono andare in ibernazione all’inizio dell’autunno, indipendentemente dalle condizioni ambientali. Il loro corpo, e quindi il loro genoma, si è impossessato cosí tanto del potere del torpore da non riuscire piú a farne a meno. Questi animali trascorrono intere stagioni in letargo, inanellando un episodio di torpore dietro l’altro. Ogni episodio dura alcune settimane e fra di loro sono separati da un breve risveglio, della durata di circa un giorno. La natura di questi risvegli è ancora misteriosa. Alcune storie popolari ci fanno credere che gli scoiattoli accumulino il cibo durante l’estate e d’inverno si sveglino periodicamente per mangiarlo. Niente di piú sbagliato. Anzi, per certi aspetti avviene proprio il contrario. Durante i «risvegli», e in questo caso le virgolette sono d’obbligo, gli animali dormono.
Esiste poi una terza categoria di specie ibernanti, le quali sono costrette a entrare in torpore in precisi momenti della giornata. Per loro il torpore può essere considerato come un super-riposo. Anche in questo caso, sono i geni a guidare il loro comportamento, ma si tratta di un gruppo di geni controllati dai cosiddetti geni orologio, quelli che regolano i nostri ritmi circadiani.
Molti argomenti relativi a torpore e ibernazione sono al momento oggetto di ricerca attiva in diversi laboratori e quindi alcune questioni non hanno ancora una risposta certa. Tuttavia, almeno in alcuni casi, possiamo avanzare delle ipotesi.
In particolare, il meccanismo che innesca l’ingresso nel torpore è il Sacro Graal della ricerca sull’ibernazione. È vero che diversi ibernanti possono attivare questo meccanismo in risposta a stimoli diversi, genetici, circadiani o ambientali, ma molti oggi ritengono che questi diversi stimoli agiscano tutti sullo stesso meccanismo. Quale? È chiaro che la sua conoscenza, oltre a colmare un importante vuoto conoscitivo, consentirebbe di sfruttarlo in applicazioni rilevanti.
Cosa sappiamo di certo? Ancora poco. Il modello animale piú utile a questo tipo di studi è quello dei mammiferi eterotermi facoltativi, cioè quegli animali in grado di entrare in torpore se necessario. Spesso si tratta di condizioni nelle quali il bilancio energetico diventa negativo: si mangia troppo poco rispetto alla richiesta energetica dell’organismo. Va precisato che il bilancio energetico non diventa negativo necessariamente perché si mangia meno. Infatti, un interessante modello di studio chiamato work for food ha dimostrato che, anche se la quantità di cibo assunta non cambia ma aumenta il lavoro necessario per ottenerla, il torpore diventa un utile strumento di ottimizzazione delle risorse. Mi sono sempre chiesto se questo interessante esperimento possa essere traslato, nella sua interpretazione, alla società umana, ma questa discussione ci porterebbe lontano. Per ora lasciamolo come spunto al lettore piú curioso.
Tornando ai nostri animali, abbiamo un punto di partenza interessante e possiamo chiederci: come fa il cervello a capire che l’organismo si trova in uno stato di bilancio energetico negativo? In parte, è quello che ci succede quando ci mettiamo a dieta: cerchiamo di mangiare meno rispetto a quanto consumiamo. Purtroppo è difficile calcolare con precisione quante calorie assumiamo: le misure che vengono usate per stabilire il contenuto calorico medio di un alimento sono solo delle stime; per misurare il consumo energetico di un organismo occorre uno strumento non cosí agevole da utilizzare: il calorimetro diretto. Questo strumento consente di quantificare effettivamente l’energia usata e dispersa nell’ambiente sotto forma di calore. Uno strumento piú agevole è il calorimetro indiretto, che misura quanto ossigeno consumiamo e quanta anidride carbonica produciamo. Sebbene meno preciso dell’altro, è comunque attendibile. Visto che è cosí difficile per noi misurare effettivamente quanta energia entra, viene usata ed esce dal nostro corpo, come fa il cervello a saperlo?
Principalmente, si pensa che utilizzi delle molecole segnale, dei mediatori, che comunicano al cervello qual è lo stato dei depositi energetici dell’organismo. Il nostro tessuto adiposo, ad esempio, tiene costantemente informato il cervello riguardo alla sua dimensione grazie a un ormone chiamato leptina. Ogni cellula adiposa ne produce un po’ e il risultato è che se abbiamo adipe in abbondanza produrremo molta leptina. Questa molecola dice al cervello che non è necessario mangiare, perché i nostri depositi sono pieni. Purtroppo, però, la sua costante abbondanza la rende per il cervello «meno importante»: un po’ come se diventasse un rumore di fondo. Il cervello diventa resistente al suo segnale e noi continuiamo ad aver fame, anche se siamo già abbondantemente in sovrappeso.
Cosí come il cervello comunica la presenza di risorse abbondanti, segnala anche la loro assenza. Questo tipo di segnale è molto piú importante per il nostro cervello: in termini evolutivi, è la «fame» che ci minaccia – l’obesità è un pericolo relativo, legato piú alla sopravvivenza dell’individuo che a quella della specie. Quindi esistono delle molecole che portano un’informazione opposta rispetto alla leptina. Se ne conoscono alcune, come la grelina, un ormone secreto dallo stomaco, o i corpi chetonici, molecole energetiche che iniziano a circolare quando intacchiamo le nostre riserve di grassi per produrre energia. Alcune diete, per sfruttarne gli effetti positivi sull’organismo, tentano di riprodurre questa condizione, che si ottiene grazie a un digiuno prolungato.
Al momento, conosciamo alcune aree che il cervello attiva per capire lo stato delle riserve energetiche del corpo e sappiamo che queste regioni sono in qualche modo coinvolte nel meccanismo che innesca il torpore. Il Nucleo Arcuato, una regione che si trova nell’ipotalamo, è probabilmente una di quelle piú coinvolte. In questa regione, si trovano dei neuroni che producono un neurotrasmettitore molto importante chiamato Neuropeptide Y (NPY). Negli animali, la somministrazione di questa molecola stimola l’appetito in modo molto potente. Questi neuroni, inoltre, si attivano quando digiuniamo, e piú digiuniamo piú si attivano. È possibile che segnalino al cervello stesso che sta diventando imperativo trovare del cibo e nutrirsene. Oltre a far crescere il nostro appetito in maniera esponenziale, però, è possibile che «sensibilizzino» anche altre aree del cervello e le rendano pronte ad attivare il piano B, qualora fosse necessario. Qual è il piano B? Entrare in torpore.
Riepilogando, se il nostro corpo si trova a corto di energia, il cervello attiva gli istinti di sopravvivenza: la fame. Questi istinti focalizzano l’attività della mente e del corpo verso un unico obiettivo: trovare del cibo. Ma cosa fare se il cibo non viene trovato? Gli animali ibernanti sono in grado di attivare un circuito d’emergenza che, quando la situazione si fa critica, agisce riducendo il metabolismo e innescando il torpore. D’altra parte, se il cibo non si trova nello spazio intorno a noi, potrebbe trovarsi nel tempo davanti a noi. Il torpore quindi acquista piú tempo, nella speranza che il futuro possa portare delle risorse.
Se alcuni aspetti relativi al modo in cui il cervello avvia il torpore possono indicarci la via, possiamo anche tentare di procedere al contrario e partire dalle regioni del cervello che poi devono effettivamente comunicare all’organismo di spegnere il consumo di energia. Esiste un gruppo di neuroni, in una regione molto antica del cervello, che sembra uno snodo chiave nella trasmissione del comando di spegnimento agli orga...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. La cura del freddo
  5. PARTE PRIMA. IL KILLER
  6. PARTE SECONDA. LA CURA
  7. PARTE TERZA. LA SPERANZA
  8. Riferimenti bibliografici
  9. Il libro
  10. L’autore
  11. Copyright