I cervelli di Gage, di Elliot e di Temple Grandin sono esemplari dell’antropologia sottesa alle neuroscienze in quanto il loro funzionamento cerebrale condiziona il loro comportamento. Essi costituiscono casi specifici di quel naturalismo dal fondamento biologico la cui ambizione scientifica è spiegare l’uomo a partire dal cervello. L’argomentazione scientifica di Damasio sui marcatori somatici e i racconti di Grandin che mettono in scena il suo cervello speciale vanno esattamente in questa direzione. Ma di quale concezione antropologica si tratta?
Questo capitolo ricostruisce le origini sociali di tali idee per mettere in luce lo stile di individualismo in gioco, l’aspetto della modernità inscritto nei concetti delle neuroscienze e della psicologia scientifica. Nella prima parte del capitolo svilupperemo l’idea che cervello delle neuroscienze cognitive è un erede delle forme di autoregolazione del comportamento apparse all’interno dell’Illuminismo scozzese del XVIII secolo sotto il generico termine di conversione delle passioni. In seguito descriveremo le declinazioni di queste forme attraverso i destini del concetto di comportamento negli Stati Uniti tra l’inizio del XX secolo e gli anni Settanta, che vedono affermarsi un nuovo individualismo, un individualismo delle capacità, permeato dalle idee e dai valori dell’autonomia.
L’interesse che questo abbozzo presenta consiste nell’assegnare una profondità storica alle neuroscienze cognitive ancorandole nella cultura e, in tal modo, nel precisare le affinità tra idee scientifiche e idee sociali.
La posta in gioco consiste nel mettere in luce il fatto che è all’opera un naturalismo ben distinto da quello rivendicato oggi dalle neuroscienze cognitive: un naturalismo non del fondamento biologico, ma della regolarità il cui strumento principale è l’esercizio e l’effetto ricercato è l’adozione di abitudini che procura – abitudine che rappresentava per Aristotele una seconda natura. Il suo nucleo è la facilità, di cui David Hume ha giustamente pensato che fosse «un potente principio della mente umana». Quest’altro naturalismo mostra come alcuni aspetti della storia della psicologia scientifica comunichino con le trasformazioni delle attese collettive, aspetti che restano notevolmente in ombra quando li si affronta esclusivamente dal punto di vista di una storia epistemologica delle scienze e che, al contempo, arricchiscono questa storia. Infatti, le forme di regolazione delle condotte e le forme di rappresentazioni collettive dell’uomo in società sono legate. Non si può comprendere l’autorità acquisita dalle neuroscienze se non le si considera come scienze comportamentali connesse alla psicologia scientifica da cui traggono non solo l’essenziale delle loro idee sull’uomo, ma ancor piú lo stile della pratica che esse raccomandano. Regolarità, esercizio, abitudine: nel modo in cui le neuroscienze dispongono queste parole risiede indubbiamente il fondamento sociale della loro autorità morale in quanto sono le chiavi ordinarie tanto del controllo di sé quanto dell’azione riuscita.
Attraverso gli ideali di regolarità, vedremo delinearsi una storia delle nostre rappresentazioni del carattere, considerate dal punto di vista del soggetto pratico, dall’Illuminismo scozzese del XVIII secolo al nuovo individualismo degli anni Sessanta-Settanta del Novecento. A partire dagli inizi del XX secolo, questi ideali convergeranno nello straordinario destino del termine «comportamento» i cui usi e significati andranno incontro a differenze sempre piú accentuate.
La meccanica della conversione delle passioni: l’individuo comune come uomo d’azione creatore di valori.
Dal behaviorismo all’inizio del XX secolo alle scienze comportamentali, la psicologia scientifica americana s’inscrive nella tradizione di osservazione sperimentale inaugurata dalla filosofia empirista, e in primo luogo da David Hume. La cosa è ben nota agli storici della psicologia3, ma qui si tratta di affrontare le nozioni filosofiche e scientifiche nella prospettiva dell’insieme degli ideali individualisti di cui sono l’espressione concettuale. Attraverso di essi, si possono mettere in rilievo le fondamentali idee-valori di quell’antropologia dell’azione che è costituita dalle scienze cognitive.
I filosofi non riflettono in un cielo di pure idee, ma a partire da problemi e da dilemmi molto concreti, che sono oggetto di preoccupazioni e dibattiti nella loro società. «Il filosofo del XVIII secolo non è un eroe isolato che dia forma a ciò che altrimenti sarebbe stato inintelligibile, ma un porta-parola culturale che esplora le strade in cui ciascuno conferisce fin da subito senso al mondo»4. È esattamente in questo senso che procederemo qui. Il loro pensiero si elabora all’interno di società in cui si sviluppa la libertà di pensiero e di condotta e in cui, di conseguenza, non si possono piú governare gli uomini secondo i soli comandamenti della religione o del Principe. La questione metafisica della libertà si pone in stretta connessione con l’emergere di nuovi modi di agire in società. Il punto decisivo è che questi nuovi valori, questi nuovi ideali, hanno contenuti e ancoraggi sociali e politici che presentano alcune differenze a seconda delle società. La Francia e il Regno Unito inventano due grandi modi di pensare l’associazione tra uomini liberi, in altre parole due stili di soluzione al problema filosofico e sociologico centrale dell’individualismo, che può essere formulato nei termini seguenti.
La libertà di coscienza e di condotta crea un nuovo piano di realtà5: il mondo non funziona piú solamente secondo l’interdipendenza gerarchica di una società di ordini (la nobiltà, il clero, il terzo stato), ma anche secondo l’eguale indipendenza di individui liberi. È questa la molla della questione sociologica e filosofica dell’individualismo. Esso si caratterizza in virtú di una duplice natura: è un valore (di libertà e di eguaglianza), ma questo valore è al contempo un rischio di dissoluzione sociale, in quanto non dice come si ottiene un ordine sociale. L’individualismo è insieme il principio e il problema della modernità. Nessuna società può funzionare sulla base dei soli principî di libertà e di eguaglianza – i principî di indipendenza –, deve anche pensare l’ordine sociale – i principî di interdipendenza. Ha bisogno al contempo della libertà e dell’ordine, dell’indipendenza e dell’interdipendenza. È questa la ragione per cui, come ha scritto Tocqueville, l’arte dell’associazione è la madre delle scienze. Come avere contemporaneamente la libertà individuale e l’ordine sociale?
Superare la dicotomia del naturale e dell’artificiale.
Un individualismo è un modo di concepire e di articolare l’indipendenza e l’interdipendenza. I francesi e gli scozzesi hanno inventato due modi di legare gli uomini liberi, due arti dell’associazione umana che rappresentano due varianti fondamentali dell’individualismo moderno. Entrambe hanno consentito di respingere l’idea di subordinazione a un potere che costringe all’obbedienza. A partire dal momento in cui la libertà di coscienza e di condotta entra nella sensibilità collettiva, non si possono piú governare gli uomini riferendosi a comandamenti divini o regali ai quali attribuire un peso maggiore rispetto alla ragione. La questione della volontà diventa centrale.
La modalità francese, che procede da Rousseau a Durkheim, si riferisce al concetto di obbligazione, che indica ciò da cui una volontà libera è legata, il che presuppone una rappresentazione dell’individuo come volontà, come volere6. L’innovazione introdotta da Rousseau con il Contratto sociale consiste nel pensare la convenzione non come consenso (a un’autorità), ma come volontà (di associarsi). La sua logica parte dal tutto sociale, dall’atto attraverso il quale, per riprendere la formula del Contratto sociale, un popolo è un popolo, una totalità che ingloba e sostiene, e non un potere che domina e costringe. La sociologia di Durkheim completerà l’idea rousseauiana di obbligazione facendo dell’autorità morale la forza costitutiva della società, autorità il cui attributo fondamentale non è l’obbedienza, ma il rispetto.
La modalità anglo-scozzese, riconducibile a David Hume, Adam Smith e ad alcuni altri filosofi e pubblicisti, perlopiú scozzesi, parte dal dato individuale, si riferisce a una logica delle parti e concepisce i concetti morali come se fossero meccanismi. Il procedimento filosofico dei britannici consiste nell’applicare il metodo scientifico d’osservazione sperimentale ai fatti morali. Questi «Newton della mente» osservano empiricamente la natura umana e l’attrazione tra gli uomini che rappresenta la vita in società secondo il modello della gravitazione universale nel mondo fisico. Il loro empirismo è in primo luogo una filosofia sperimentale, un metodo d’osservazione delle regolarità. Per fondare la morale come una scienza d’osservazione – un newtonianismo – è necessario scomporre il complesso in elementi semplici. L’elemento osservabile piú semplice è l’individuo.
Nulla parte dalla ragione, che non causa nulla, né dirige la volontà, pensano gli scozzesi, «questo potere appartiene alle affezioni o passioni, che sono le uniche a poter funzionare come motivi»7. Tutto parte dall’esperienza individuale: questa è passionale poiché la situazione originaria dell’individuo consiste nel fatto d’essere immerso in un flusso d’impressioni sensibili, che gli provocano sofferenze e piaceri e, pertanto, lo strappano a una passività originaria mettendolo in movimento, lo fanno agire attraverso i loro effetti secondo la logica di una meccanica delle forze. Nell’empirismo, l’uomo è un essere colpito dal mondo esterno. La sua natura è passionale8. Precisiamo che, nel XVII e nel XVIII secolo, la nozione di passione va incontro a sconvolgimenti: non è piú solamente il pathos, la sofferenza, ciò che si subisce, e inoltre si distanzia dal tipo di attività che la legava al furore, alla mania o alla collera; infine, nei suoi aspetti positivi, va al di là della sua monopolizzazione da parte della grandezza eroica della nobiltà. La distinzione tra interessi e passioni, e in secondo luogo tra passioni buone e cattive fa evolvere la nozione verso l’idea che essa sia fonte di energia creatrice e d’inclinazione ad agire9.
Per comprendere il naturalismo non rivendicato dalle neuroscienze, ci si deve rivolgere a Hume che caratterizza il naturale attraverso i suoi opposti: naturale può essere inteso come ciò che si contrappone «ai miracoli […], all’artificio, tanto quanto a ciò che è raro e inusuale»10. L’opposizione tra l’artificiale e il naturale significa che è naturale ciò che non dipende da progetti e si osserva indipendentemente da una volontà umana. La religione e la politica, traendo origine da progetti, sono artificiali. L’abitudine, contrapponendosi al non abituale, è il secondo criterio della natura: «La natura può certamente produrre tutto quel ch...