Il secolo della noia
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Il secolo della noia

  1. 104 pagine
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Il secolo della noia

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Nelle pagine di Franca Valeri autobiografia e pensiero, ironia e intelligenza, s'intrecciano per dare vita a un'analisi lucidissima e spietata del mondo in cui viviamo. Attraverso ricordi che spaziano dal teatro ai legami affettivi, e con un passo tutto suo, Franca Valeri ripercorre gli anni febbrili del secolo scorso e li confronta con il tempo presente. L'avvento del Terzo Millennio, atteso come una promessa, può rivelarsi in un certo senso una delusione. Il fil rouge è il tema della noia con le sue molteplici sfumature, declinazioni, cause ed effetti: «Non tutte le noie sono uguali: c'è quella in cui si sbadiglia aspettando la fine del giorno senza scopo e c'è, invece, quella piú insopportabile in cui è lo scopo che si rivela noioso. La noia è un sentimento eroico, se ti afferra sulla tomba di un eroe o se lo vivi dietro un vetro in attesa di un amante ritardatario». Il secolo della noia, divertendoci e facendoci riflettere, interroga ciascuno di noi: il presente corrisponde a quello che ci aspettavamo? E in quale direzione stiamo andando?

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2019
ISBN
9788858431597

Il secolo della noia

Il Duemila è stato un grande mito finché non è diventato una realtà. Per anni ci si è chiesti se ci saremmo arrivati e si è pensato con sincera malinconia a quanti amici e parenti erano già esclusi dall’ingresso in quel mitico secolo. Come sarà? Ammesso che lo potremo raggiungere.
Approdati ai bordi dell’incredibile scadenza, è cominciato un inizio di delusione subito ricacciato. «Quel fatale 31 dicembre è proprio oggi», ci si diceva. «Niente di straordinario mi aspetta, ma può essere soltanto il caso mio. Qualcosa di molto straordinario si sta organizzando in piazza Venezia, cosa può essere?»
E cosí, quasi a tradimento, si è realizzato il piú normale capodanno, io non ricordo neanche dove sono andata a cena. Il mito si era già sfatato. Su tutti i televisori accesi apparivano i soliti volti di presentatori, anche le piú lontane capitali estere si preparavano a trasmetterci qualcosa di molto normalmente chiassoso, ci si aspettava una nottata allegra, e in tutti gli angoli appariva quell’inutile cifra: 2000. Non era stato certo cosí per gli altri secoli. Anche perché si era avuto il privilegio di non poterli vedere in televisione.
Ecco cosa ricorderò di quel famoso traghetto da un millennio all’altro: un’amica che invocava l’aiuto dei vigili per attraversare la piazza gremita, dove si svolgeva il tradizionale concerto di musica leggera che attira una gran folla di ragazzi.
Ma è inevitabile che cerchi di ricordare l’ingresso in questo anno tanto atteso, che secondo le previsioni doveva portarci in un pezzo di Storia assolutamente nuovo. Non è stato cosí.
Come mosse da un abile giocoliere, hanno cominciato ad apparire le possibilità di ritenersi misteriosamente appagati da un ideale di vita che non poteva tardare a rivelarsi illusorio. Il credersi al centro dell’universo, che tocca chiunque ed è consolidato dalla televisione, da internet e dai social network, ha creato piú delusioni di un brutto incontro.
L’uomo è ormai ostinatamente convinto di non essere padrone di se stesso, ma di potersi affidare a magie di cui non capisce neanche il pericolo profondo. I vecchi abitanti del mondo, che vivono ignari di altri modi di vivere, non sanno piú a cosa potrebbe essere ancora utile il loro insegnamento. Erano cosí diverse le loro disperazioni e spesso cosí ricche di pensiero. La nuova negatività non sembra lasciare tracce indelebili, che sia per questo che ci sono tante guerre?
Noi la conosciamo, la guerra, è come un macigno su tutte le tue facoltà sensoriali, ma poi finisce. L’unica consolazione che possiamo dare a tutti questi popoli è che può durare, come la piú celebre, anche trent’anni, ma poi finisce. È vero che qualche volta il peggio viene dopo, chi l’ha detto che questo dopo si chiama pace? Ci hanno messo le mani troppi uomini; quel Ventesimo secolo, che è scomparso come abbiamo visto alla chetichella, aveva saputo tenere vive le grandi fiammate dell’Ottocento. Oggi invece appaiono dei giovani volenterosi nei verbosi resoconti televisivi. È chiaro che alle nuove intelligenze manca il tessuto del colloquio.
Io ho molti amici fra i giovani, non so nemmeno bene perché, sono forse un pezzo di storia del teatro? A sentirli parlare direi di sí, ma poi mi chiedono di dare dei consigli, e questo proprio non lo so fare. La mia tenace sfiducia nell’insegnamento mi ha però fatto diventare un pezzo unico, il che da una parte è consolante, dall’altra è negativo. Eppure ricordo che quando sono approdata su un palcoscenico non sapevo dove andare né come, naturalmente però questo si impara da soli, bisogna anche avere fiducia nell’istinto: io ne avevo una illimitata, il che mi ha aiutato. Però quando lo racconto ai ragazzi qualcuno si allontana un po’ deluso, qualcuno invece si illumina, forse perché scopre in se stesso delle facoltà. Certo è molto bello essere amati da questi nuovi appassionati che non giudicano il teatro qualcosa di passato: ci credono fortemente, perciò penso che non morirà mai.
Oggi si crede ostinatamente di essere diversi, ma non è vero. Riconosco in tutti gli uomini che incontro una traccia del passato, un’autentica diversità si può solo riconoscere nei bambini. È legittimo, loro sono veramente nuovi, forse hanno dentro il seme dell’uomo antico. Vedo in tutti il rifiuto della tradizione dei padri, una tendenza a imitare se stessi. La mia nipotina, anni prossimamente nove, è nuova fra noi, sembra che si inventi di giorno in giorno, e siccome sono stata una bambina un po’ eccezionale anch’io, mi sembra di assomigliarle. Vedo in lei salva una personalità, non è mai come si auspicano i genitori. Forse il Duemila ha dato vita a una nuova generazione, ma non illudiamoci, ci sono troppe insidie per il ritorno del pensiero.
Noi viviamo in un Paese che ha dato un calcio alla tradizione, non capendo che era l’unico modo per essere moderni. Non si tratta di quell’aggiornamento febbrile di tutti che coinvolge anche la medicina, come tutto quello che mette a disposizione la tecnologia.
La noia è un sentimento eroico, se ti afferra sulla tomba di un eroe o se lo vivi dietro un vetro in attesa di un amante ritardatario. Può essere quasi il vizio di un secolo quando si sono smarriti i principî degli interessi, il nostro è come abitato da una folla che tende a riunirsi senza direzione. È forse il miracolo dei mezzi di comunicazione che illude, in cui la «comunicazione» è solo un termine, anche un po’ equivoco.
Vedo troppa gente convinta di conoscersi, mentre è evidentemente l’ultimo scopo della loro vita. Quella estraneità riconoscibile in ogni segno della cultura aveva reso bella la storia del mondo. Le piú comuni modalità di distrazione hanno assunto una forma, per lo piú volgare, alla quale tutti si rassegnano pensando che quel lasciarsi andare sia pur sempre una soluzione.
Perché la gente si annoia? Può darsi che sia solo una mia idea quella che prima o poi le fonti del piacere intellettuale dovevano subire un radicale cambiamento. Sembra di no. Vedo, a sera inoltrata, la fine del godimento ai tavoli vuoti dei ristoranti, che i camerieri spogliano con distrazione. Io, che ho visto tante tavole spogliarsi alle luci dell’alba, provo il senso di un vivo stupore, ma non è detto che da qui non nasca una regola di vita diversamente migliore. Forse pensavamo che le possibilità del piacere fossero piú limitate, ma tutte le tracce che il piacere ha lasciato nella cultura smentiscono questa ipotesi.
Torniamo quindi su quel tema conturbante della noia. In fondo cos’è? Non per tutti la stessa cosa. In genere è un sentimento molto ingombrante che confina con la disperazione, ma può anche limitarsi alla mancata soluzione di poche ore da vivere in un modo o in un altro. In realtà scambiamo sovente per noia la pretesa di avere molto di piú per riempire le ore di una giornata.
Le giornate, chi ci ha mai assicurato che possano essere piene di soddisfazioni inattese, fornite per lo piú dagli altri? Perché è chiaro che dagli altri ogni essere umano si aspetta l’aiuto per avere una vita piacevole. Non è la regola, se si pensa che molto spesso ci troviamo ad amare delle persone canonicamente noiose senza accorgercene.
Dopo le confessioni che ho ricevuto da amiche sui protagonisti dei loro amori, mi sono trovata a dirmi: «Ma come fa a sopportarlo?» In realtà il giudizio è sempre disgiunto, o quasi sempre, dall’amore. Tutto questo si prolunga nelle infinite ore delle separazioni, perché né uomini né donne amano riconoscere le scelte sbagliate che hanno sornionamente generato degli amori. È meglio avvedersi di aver amato un idiota che un noioso, perché la noia è proprio uno stato di vita da evitare, se possibile. Ma non è possibile.
Deve però essere chiaro chi dei due è il noioso. Qualche volta non lo è. In genere ognuno dei due è sicuro di avere un grado di vivacità superiore.
Perché la coppia stia bene come ci piacerebbe, è indispensabile evitare in ogni modo la noia. Anche se la noia, nel funzionamento pratico della coppia, è piuttosto rara. Purtroppo l’esercizio in cui piú frequentemente si insinua è il sesso. Può sembrare un frangente disperato. Ma – forse non ci crederete – non è cosí. Il portatore di noia deve avere l’accortezza di riconoscere la propria colpa, se in questa situazione, per quanto apparentemente grave, c’è ancora l’amore. L’amore è un sentimento curioso, può esistere anche nella noia. È una svolta forse incredibile, ma è un sentimento che ama – stiamo appunto parlando di amore – nascondersi in infiniti modi. E poi rieccolo. Piú persistente di prima, come dopo una prova capitale. «Come ho potuto credere che proprio tu mi annoiassi?» Non affrettatevi a pensare che fosse cosí. Ma qualche volta è vero. Certo è una noia diversa, non è noia, è intolleranza. Bisogna essere proprio insensibili per non accorgersene.
Però ho ricevuto qualche volta delle confidenze che denunciano questo genere d’insensibilità. Ho sentito dei racconti, per lo piú di uomini, in cui l’errore era cosí evidente da far paura, perché se scambi l’amore per un’altra cosa può finir male. Gliel’ho spiegato a questi amici, e dopo un paio di figli mi hanno ringraziato.
Il suono che può avere un’ora di noia lo riconosci in certa musica, quella che ti fa spegnere con disperazione una radio o un grammofono. Che pure è cosí frequente perché la musica, che è l’invenzione piú straordinaria del mondo, può anche essere insopportabile, e proprio questo secolo le ha dato un volume esasperante. Spesso, con una musica scelta male, insistente o non appropriata, si può rendere atroce una pièce intelligente e curiosa; perché accompagnare ciò che si dice non è facile; qualche volta – è incredibile! – le parole sono piú efficaci della musica; qualche volta, a dirla tutta, la musica rovina il pensiero. Credo che siano proprio le nuove generazioni a non accorgersene. Spesso mi chiedo perché gli esseri umani vogliano rendere insopportabile una cosa cosí bella. La musica dev’essere sempre qualcosa di eletto. Persino un film visto in televisione o al cinema può apparirci sovraccarico per colpa della musica che invade le sue finezze con prepotenza.
Ma è proprio questo che ci rende incapaci di conservare ciò che di prezioso ci ha dato il pensiero: una prepotente prevaricazione. Sembra che giudicarci soddisfatti sia piú facile dell’esserlo veramente; insomma, per farla breve, il mondo è diventato un’accolita di faciloni, lui che ha avuto tutte le prerogative della riflessione e della meditazione.
La noia, che si insinua in tutte le manifestazioni dell’uomo, è certamente qualcosa, a modo suo, di nuovo, anche per la facilità con cui viene accettata. Pare che manchi la convinzione, niente è scritto o composto sotto il peso dell’entusiasmo, sembra che l’autore prima si sia molto annoiato. Forse non è vero, è qualcosa che chi vuole esprimersi porta in sé, un segno di distinzione. Ma a questo, che chiamerei un nuovo aspetto della noia, fa contrasto il chiasso che accompagna il divertimento, denunciando in partenza la sua nullità.
Io che ho una casa in campagna pavento i mesi estivi, a proposito di suono. Ci sono tappe fisse per il divertimento, che non è solamente per i figli ma è spesso, con diverse – ma non troppo – sonorità, anche per i padri. Certo quando c’è il compleanno di un minorenne si arriva a dei decibel da denuncia, e la denuncia cade quasi sempre nel vuoto, considerando il disinteresse delle forze dell’ordine per questo tipo di reato. Ma sono quelle occasioni in cui ti senti veramente estraneo al secolo.
«È possibile almeno mettersi d’accordo coi nostri simili?» è la domanda che ci rivolgiamo con stupore, perché credo che mai generazioni diverse si siano sentite tanto estranee l’una all’altra: in realtà ora c’è un divario che in altri tempi non esisteva. Vi sono giovani genitori che hanno paura dei propri figli, della loro assurda malvagità come della loro maturità; il fatto illogico è che i primi non se ne curano e i secondi non li capiscono. È certamente piú raro avere un figlio maturo per istinto che un delinquente, anche se l’uno e l’altro incontrano la stessa incomprensione. È stato ahimè un guaio di tutte le generazioni, benché se ne incolpi solo la nostra.
Evidentemente c’è nei giovani – e quando dico giovani penso ai giovanissimi – un curioso interesse per la cultura, un impegno a scoprire quello che i grandi della cultura hanno detto, e con grandi intendo vecchi. Spesso ti chiedono cose che non sai e altrettanto stranamente ignorano qualcosa di molto clamoroso. Forse sarebbe necessario equiparare le conoscenze per togliere quel senso di superiorità un po’ sprezzante nei vecchi e mettere il mondo giovanile in pace, mentre in realtà i giovani sembrano navigare con grande tranquillità in questa fondamentale ignoranza, la quale raggiunge spesso vette comiche… Ad esempio, eccone una: ero con due giovani attori, uno dei due mi chiede: «Di chi è quella foto?», e io: «Di Anna Magnani!», e lui: «Chi è?» Vi assicuro che è successo.
Forse c’è un senso di benevola pietà per questa presunta sapienza dei maggiori. Ma pensare a come il tuo passato era pieno di realtà, anche se non di grande importanza, ti fa sentire molto superiore al presente. In sostanza la vita si riduce spesso a una modesta contesa di superiorità fra le generazioni in cui forzatamente si preferirebbe correre nel circuito dell’ignoranza giovanile, che potrebbe essere un’incredibile attesa di scoperte. Ma in tutte queste supposizioni ci si può anche ritrovare a dover individuare la noia. In realtà fra sapienza e ignoranza non c’è spazio per un sano godimento. Una delle specialità dei maturi è quella di averne sempre conservato il desiderio.
È proprio una prerogativa del secolo quella di aver trasformato il piacere, anche il piú innocente, in un calvario, però definibile interessante dai piú. Diciamoci la verità: annoiarsi è molto facile, anche perché divertirsi è molto piú difficile.
C’è una battuta in una poesia di Carlo Porta, milanese, che mi ha sempre affascinato come un piccolo dogma, a proposito di due giovani preti: «Duu gingella che riden per nient». Si direbbe che è ancora facile questa possibilità passando nelle vicinanze di qualsiasi gruppo di persone, per fortuna. Anche se sarebbe augurabile avere sempre per la risata lo sprone dell’umorismo, che si allontana lasciando spazio a una facilità non esente da volgarità.
Comunque oggi non ve...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il secolo della noia
  4. Il libro
  5. L’autrice
  6. Dello stesso autore
  7. Copyright