La civiltà dello spettacolo
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La civiltà dello spettacolo

  1. 192 pagine
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La civiltà dello spettacolo

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La banalizzazione dell'arte e della letteratura, il successo del giornalismo scandalistico e la frivolezza della politica sono i sintomi di un male maggiore che ha colpito la società contemporanea: l'idea temeraria di convertire in bene supremo la nostra naturale propensione al divertimento. In passato, la cultura era stata una specie di coscienza che impediva di ignorare la realtà. Ora, invece, agisce come meccanismo di intrattenimento, persino di distrazione. Inoltre, gli intellettuali sono scomparsi e anche se alcuni di loro firmano sporadici manifesti e prendono posizione su eventi e persone, di fatto non esiste più un vero e proprio dibattito.
Mario Vargas Llosa riflette, in questo libro, sulla metamorfosi che la cultura ha subito in questi anni, nell'inquietante remissività generale, e invita gli scrittori «a coniugare la comunicazione col rigore, l'originalità e l'impegno creativo, per costruire nuove forme d'arte» e poter salvare, così, la cultura.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2019
ISBN
9788858431511
Capitolo sesto

L’oppio dei popoli

A differenza di quanto immaginavano i liberi pensatori agnostici e atei dell’Ottocento e del Novecento, nell’èra postmoderna la religione non è morta e sepolta e non è finita nel dimenticatoio: è viva e vegeta, al centro dell’attualità.
Non c’è modo di sapere, naturalmente, se il fervore di credenti e praticanti delle diverse religioni che esistono al mondo sia aumentato o diminuito. Ma nessuno può negare lo spazio che occupa l’elemento religioso nella vita sociale, politica e culturale contemporanea, probabilmente altrettanto grande o maggiore rispetto all’Ottocento, quando le lotte intellettuali e civili in favore o contro il laicismo erano una preoccupazione centrale in un gran numero di paesi da entrambi i lati dell’Atlantico.
Al momento, il grande protagonista della politica attuale, il terrorista suicida, legato alla religione in modo viscerale, è un sottoprodotto della versione piú integralista e fanatica dell’islamismo. La lotta di Al-Qaeda e del suo leader, il defunto Osama Bin Laden, non lo dimentichiamo, è innanzitutto religiosa, un’offensiva purificatrice contro i cattivi musulmani, i rinnegati dell’islam, cosí come contro infedeli, nazareni (cristiani) e degenerati dell’Occidente capeggiati dal Grande Demonio, gli Stati Uniti. Nel mondo arabo il conflitto che ha generato piú violenze ha un carattere inequivocabilmente religioso e il terrorismo islamista sinora ha fatto piú vittime tra i musulmani stessi che tra i fedeli di altre religioni. Soprattutto se si considera il numero di iracheni morti o mutilati per mano dei gruppi sciiti e sunniti e quelli uccisi in Afghanistan dai talebani, movimento integralista nato nelle madrase o scuole religiose afghane e pachistane, e che, cosí come Al Qaeda, non ha mai esitato a uccidere i musulmani che non condividevano il suo puritanesimo integralista.
Le divisioni e i conflitti diversi che percorrono le società musulmane non hanno contribuito minimamente ad attenuare l’influenza della religione nella vita dei popoli, bensí a esacerbarla. In ogni caso, non è stato il laicismo a guadagnare terreno; piuttosto, in paesi come il Libano e la Palestina, i focolai laici negli ultimi anni si sono ridotti con la crescita di forze politiche come quella di Hezbollah («Il Partito di Dio») libanese e di Hamas, che ha ottenuto il controllo della Striscia di Gaza tramite elezioni pulite. Questi partiti, cosí come il jihad islamico-palestinese, hanno un’origine fondamentalmente religiosa. E, nelle prime elezioni libere che si sono tenute nella storia della Tunisia e dell’Egitto, la maggior parte dei voti ha favorito i partiti islamici (piú moderati).
Se questo è ciò che accade in seno all’islam, non si può dire che la convivenza tra le diverse denominazioni, chiese e sette cristiane sia sempre pacifica. Nell’Irlanda del Nord la lotta tra la maggioranza protestante e la minoranza cattolica, ora interrotta (si spera per sempre), ha lasciato dietro di sé un’incredibile scia di morti e feriti per le azioni criminali degli estremisti di entrambe le parti. Anche in questo caso il conflitto politico tra unionisti e indipendentisti è stato accompagnato da un simultaneo e piú profondo antagonismo religioso, come tra le fazioni avversarie dell’islam.
Il cattolicesimo vive grandi conflitti al suo interno. Sino a qualche anno fa, il piú intenso era quello fra tradizionalisti e progressisti promotori della Teologia della Liberazione, conflitto che, dopo l’elezione di due pontefici dalla linea conservatrice – Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – sembra essersi risolto, per il momento, con il contenimento (non la sconfitta) di quest’ultima tendenza. Oggi, il problema piú grave che sta affrontando la chiesa cattolica è la rivelazione di una forte tradizione di violenze e di pedofilia nelle scuole, nei seminari, nelle residenze e nelle parrocchie, realtà scabrosa rivelata per anni da indizi e sospetti che, per molto tempo, la Chiesa ha messo a tacere. Ma, negli ultimi tempi, in seguito ad azioni giudiziarie e denunce presentate dalle vittime, gli abusi sessuali hanno cominciato a venire alla luce in numero tale che non si può parlare di casi isolati, bensí di pratiche molto diffuse nello spazio e nel tempo. E questo ha fatto rabbrividire il mondo intero, soprattutto i fedeli. Le testimonianze di migliaia di vittime venute fuori in quasi tutti i paesi cattolici hanno portato la Chiesa in alcuni luoghi, come l’Irlanda e gli Stati Uniti, sulle soglie del fallimento viste le somme elevatissime che è stata costretta a spendere per difendersi in tribunale o per pagare i danni alle vittime delle violenze e delle molestie sessuali compiute da sacerdoti. Nonostante le proteste, è evidente che almeno parte della gerarchia ecclesiastica – le accuse in questo senso sono arrivate al pontefice in persona – è stata complice dei religiosi pedofili e stupratori, proteggendoli, rifiutandosi di denunciarli alle autorità, e limitandosi a spostarli senza sospenderli dalle loro funzioni sacerdotali, compreso l’insegnamento ai minori. La condanna severissima che papa Benedetto XVI ha rivolto ai Legionari di Cristo, annunciandone la riorganizzazione totale, e al suo fondatore, padre Marcial Maciel, messicano, bigamo, incestuoso, truffatore, stupratore di bambini e bambine, compreso uno dei suoi figli – personaggio che sembra uscito dai romanzi del Marchese de Sade – non ha dissipato completamente le ombre che tutto questo ha gettato su una delle piú importanti religioni del mondo.
Lo scandalo ha contribuito a diminuire l’influenza della chiesa cattolica? Non mi sentirei di sostenerlo. È vero che in molti paesi i seminari vengono chiusi per mancanza di novizi e che, in confronto a quelle di un tempo, le elemosine, le donazioni, le eredità e i lasciti che riceve la Chiesa sono diminuiti. Ma, al di là dei numeri, si direbbe che le difficoltà abbiano acuito l’energia e la militanza dei cattolici, che non sono mai stati cosí attivi nelle loro campagne sociali, quando manifestano contro i matrimoni gay, la legalizzazione dell’aborto, le pratiche anticoncezionali, l’eutanasia e il laicismo. In paesi come la Spagna, la mobilitazione cattolica – tanto quella della gerarchia quanto quella delle organizzazioni secolari della Chiesa – incredibile per ampiezza, raggiunge a momenti una virulenza che non si può affatto considerare propria di una Chiesa in declino o ai ferri corti. Il potere politico e sociale che nella maggior parte dei paesi latino-americani esercita la chiesa cattolica è intatto e a questo si deve che, in materia di libertà sessuale e nella liberazione della donna, i progressi siano minimi. Nella stragrande maggioranza dei paesi ibero-americani, la chiesa cattolica è riuscita a ottenere che la «pillola» e la «pillola del giorno dopo» continuino a essere illegali, cosí come ogni tipo di pratica anticoncezionale. La proibizione, è chiaro, vale solo per le donne povere, perché dalla classe media in su gli anticoncezionali, cosí come l’aborto, sono ampiamente diffusi nonostante la proibizione.
Qualcosa di simile si può dire delle chiese protestanti. Queste ultime, spesso con l’appoggio dei cattolici, negli Stati Uniti hanno deciso di mobilitarsi perché l’insegnamento scolastico si attenga ai postulati della Bibbia, e sia abolita dai programmi la teoria di Darwin sulla selezione della specie e sull’evoluzione, sostituita dal «creazionismo», o «disegno intelligente», posizione antiscientifica che, per quanto possa sembrare anacronistica e oscurantista, non è impossibile che possa imporsi in alcuni stati nordamericani nei quali l’influenza religiosa è molto grande in campo politico.
D’altro canto, l’offensiva missionaria protestante in America Latina e in altre regioni del Terzo Mondo è enorme, decisa, e ha ottenuto risultati notevoli. Le chiese evangeliche hanno relegato in luoghi periferici e marginali, estremamente poveri, il cattolicesimo che, per la mancanza di sacerdoti o per la diminuzione del fervore missionario, ha ceduto terreno alle impetuose chiese protestanti. Queste ultime sono ben viste dalle donne perché vietano l’alcol e pretendono una dedizione costante alle pratiche religiose nei nuovi membri, contribuendo cosí alla stabilità delle famiglie e a tenere i mariti lontani da bar e bordelli.
La verità è che in quasi tutti i conflitti piú cruenti degli ultimi tempi – Israele-Palestina, guerra nei Balcani, violenze in Cecenia, incidenti in Cina nella regione di Sinkiang, dove c’è stata una sollevazione degli uiguri, di religione musulmana, massacri tra indú e musulmani in India, scontri tra l’India e il Pakistan, e cosí via – la religione si rivela la ragione profonda del conflitto e della divisione sociale celata dietro le carneficine.
Il caso dell’Urss e dei paesi satelliti è istruttivo. Con il crollo del comunismo, dopo settant’anni di persecuzione delle chiese e di predicazione dell’ateismo, non solo la religione non è scomparsa, ma è rinata ed è tornata a occupare un posto predominante nella vita sociale. È capitato in Russia, dove le chiese sono di nuovo piene e i pope sono ricomparsi nel mondo ufficiale e ovunque, e nelle società che sono state sotto il controllo sovietico. Con il crollo del comunismo, la religione, ortodossa o cattolica, sta rifiorendo, e questo fenomeno indica che non è mai scomparsa, ma è rimasta silente e nascosta per resistere all’assedio, contando sempre sull’appoggio discreto di vasti settori della società. La rinascita della chiesa ortodossa russa è impressionante. I governi sotto la presidenza di Putin, e poi di Medvedev, hanno cominciato a restituire le chiese e le proprietà religiose confiscate dai bolscevichi, ed è in corso persino la restituzione delle cattedrali del Cremlino, cosí come di conventi, scuole, opere d’arte e cimiteri che un tempo appartenevano alla Chiesa. Si stima che, dalla caduta del comunismo, il numero di fedeli ortodossi sia triplicato in tutta la Russia.
La religione, dunque, non dà segni di scomparire. Tutto sembra indicare che avrà ancora lunga vita. È una cosa positiva o negativa per la cultura e per la libertà?
La risposta a questa domanda data dallo scienziato britannico Richard Dawkins, che ha pubblicato un libro contro la religione e in difesa dell’ateismo – L’illusione di Dio – cosí come dal giornalista e saggista Christopher Hitchens, autore di un altro libro recente dal titolo significativo, Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa, non lascia adito a dubbi. Ma nella recente polemica che li ha visti protagonisti e ha riportato in vita le accuse di oscurantismo, superstizione, irrazionalità, discriminazione di genere, autoritarismo e conservatorismo retrogrado contro le religioni, sono intervenuti anche numerosi scienziati, come il premio Nobel per la Fisica Charles Tornes (che sostiene la tesi del «disegno intelligente»), e pubblicisti che, con entusiasmo non minore, difendono le proprie fedi religiose e confutano gli argomenti secondo i quali la fede in Dio e la pratica religiosa sarebbero incompatibili con la modernità, il progresso, la libertà e le scoperte e le verità della scienza contemporanea.
Non è una polemica in cui si può vincere o perdere in base alle ragioni, perché queste sono sempre precedute da un parti pris: un atto di fede. Non c’è modo di dimostrare razionalmente se Dio esiste o non esiste. Qualunque ragionamento in favore di una tesi trova il suo equivalente in quello contrario, di modo che in questo ambito ogni analisi o discussione che voglia limitarsi al campo delle idee e delle argomentazioni deve cominciare escludendo la premessa metafisica e teologica – l’esistenza o non esistenza di Dio – e concentrarsi sugli effetti e sulle conseguenze che ne derivano: la funzione di chiese e religioni nello sviluppo storico e nella vita culturale dei popoli, argomento che invece rientra in ciò che può essere verificato dalla ragione umana.
Un dato fondamentale da tenere presente è che la fede in un essere supremo, creatore di ciò che esiste, e in un’altra vita che precede e segue quella terrena, fa parte di tutte le culture e civiltà conosciute. Non esistono eccezioni a questa regola. Tutte hanno il loro dio o i loro dèi e tutte credono in un’altra vita dopo la morte, anche se le caratteristiche di questa trascendenza variano all’infinito secondo il tempo e il luogo. A che cosa si deve che gli esseri umani di tutte le epoche e latitudini abbiano fatto propria questa credenza? Gli atei hanno la risposta pronta: all’ignoranza e alla paura della morte. Uomini e donne, a prescindere dal loro grado di informazione o di cultura, dal piú primitivo al piú raffinato, non si rassegnano all’idea della scomparsa definitiva, alla propria esistenza come fatto passeggero e accidentale e, per questo, hanno bisogno che ci sia un’altra vita e un essere supremo che la presieda. La forza della religione è tanto maggiore quanto piú grande è l’ignoranza di una comunità. Quando la conoscenza scientifica elimina cispe e superstizioni della mente umana, sostituendole con verità obiettive, tutta la costruzione artificiale dei culti e delle credenze con cui il primitivo cerca di spiegarsi il mondo, la natura e l’aldilà, comincia a sgretolarsi. È l’inizio della fine per questa interpretazione magica e irrazionale della vita e della morte, ciò che a lungo andare farà marcire e svanire la religione.
Questa è la teoria. Nella pratica non è accaduto e non ha l’aria di voler accadere. Lo sviluppo della conoscenza scientifica e tecnologica dall’età delle caverne è stato fenomenale (non sempre benefico) e ha permesso all’essere umano di conoscere profondamente la natura, lo spazio siderale, il proprio corpo, di capire il proprio passato, di sostenere battaglie decisive contro le malattie e di migliorare le condizioni di vita dei popoli in modo inimmaginabile per i nostri antenati. Ma, tranne che in minoranze relativamente piccole, non è riuscito a estirpare Dio dal cuore degli uomini né a fare in modo che le religioni scomparissero. L’argomento degli atei è che si tratta di un processo ancora in corso, che l’avanzamento della scienza non si è arrestato, ma continua a progredire e che presto o tardi si giungerà alla fine di questa lotta atavica in cui Dio e la religione scompariranno, espulsi dalla vita dei popoli per mano delle verità scientifiche. Questo articolo di fede per i liberali e i progressisti ottocenteschi è difficile da accettare se si guarda al mondo di oggi, che lo smentisce in ogni dove: Dio ci circonda completamente e, mascherate sotto travestimenti politici, le guerre religiose continuano a provocare danni all’umanità cosí come accadeva nel Medioevo. Il che non dimostra che Dio esista effettivamente, ma che una grande maggioranza di esseri umani, tra cui molti tecnici e scienziati celebri, non sono disposti a rinunciare alla divinità che garantisce loro una qualche forma di sopravvivenza dopo la morte.
Del resto non è stata solo l’idea della morte, della scomparsa fisica, a mantenere viva la trascendenza nel corso della storia. Anche la convinzione complementare che sia necessaria, indispensabile, per rendere questa vita sopportabile, una dimensione superiore a quella terrena, nella quale si premia il bene e si punisce il male, si discriminano le azioni buone da quelle cattive, si rimedia alle ingiustizie e alle crudeltà di cui siamo vittime e si puniscono coloro che ce le hanno inflitte. La realtà è che, nonostante tutti i progressi che ha fatto la società dai tempi antichi in materia di giustizia, non esiste comunità umana in cui il grosso della popolazione non abbia il sentimento e la convinzione assoluta che la giustizia completa non è di questo mondo. Tutti credono che, a prescindere da quanto sia equa la legge e quanto rispettabile il corpo di magistrati incaricati di amministrare la giustizia, o quanto onorevoli e degni siano i governi, la giustizia non arriverà mai a essere una realtà tangibile e alla portata di tutti, capace di salvaguardare l’individuo comune, il cittadino anonimo, dall’abuso, la sopraffazione e la discriminazione da parte dei potenti. Per questo non è raro che la religione e le pratiche religiose siano piú radicate nelle classi e nei ceti piú sfavoriti della società, quelli contro i quali, per la loro povertà e vulnerabilità, si accaniscono abusi e vessazioni di ogni sorta che in genere rimangono impuniti. Si sopportano meglio la povertà, la discriminazione, lo sfruttamento e la sopraffazione se si crede che ci saranno un risarcimento e una riparazione postumi per tutto ciò. (Per questo Marx ha definito la religione «oppio dei popoli», droga che anestetizzava lo spirito ribelle dei lavoratori e permetteva ai loro padroni di sfruttarli in tutta tranquillità).
Un’altra ragione per la quale gli esseri umani si aggrappano all’idea di un dio onnipotente e di una vita ultraterrena è che tutti, chi piú chi meno, sospettano che se questa idea scomparisse e si imponesse come verità scientifica inequivocabile che Dio non esiste e che la religione non è altro se non un inganno privo di sostanza e di realtà, sopraggiungerebbero, prima o poi, una barbarizzazione generalizzata della vita sociale, una regressione selvaggia alla legge del piú forte, e la conquista dello spazio sociale da parte delle tendenze piú distruttive e crudeli che si annidano nell’uomo e che, in ultima istanza, sono frenate e attenuate non dalle leggi umane o dalla morale riconosciuta dalla razionalità dei governanti, ma dalla religione. Detto in altri termini, se esiste ancora qualcosa che si può chiamare morale, un corpo di regole di comportamento che favoriscono il bene, la coesistenza nella diversità, la generosità, l’altruismo, la compassione, il rispetto del prossimo, e rifiutano la violenza, l’abuso, il furto, lo sfruttamento, è la religione, la legge divina e non le leggi umane. Se scomparisse questo antidoto, la vita diventerebbe a poco a poco un sabba di ferinità, prepotenza ed eccesso, in cui coloro che detengono qualunque forma di potere – politico, economico, militare e cosí via – si sentirebbero liberi di perpetrare tutte le ruberie immaginabili, lasciando briglia sciolta ai propri istinti e appetiti piú distruttivi. Se questa vita è l’unica che abbiamo, se non c’è nulla dopo e scompariremo per sempre, perché non dovremmo cercare di sfruttarla al massimo, anche se questo dovesse significare precipitare nella rovina e seminare intorno a noi le vittime dei nostri istinti sfrenati? Gli uomini si impegnano a credere in Dio perché non confidano in se stessi. E la storia ci dimostra che hanno una qualche ragione, perché sinora non ci siamo dimostrati affidabili.
Ciò non significa, naturalmente, che il vigore della religione garantisca il trionfo del bene sul male in questo mondo e l’efficacia di una morale che contrasta la violenza e la crudeltà nei rapporti umani. Significa soltanto che, per quanto vada male il mondo, un oscuro istinto fa pensare a gran parte dell’umanità che andrebbe ancora peggio se gli atei e i laici a oltranza raggiungessero il loro fine sradicando Dio e la religione dalle nostre vite. Questa può essere soltanto un’intuizione o una credenza (un altro atto di fede): non ci sono statistiche in grado di provare se sia cosí o il contrario.
In definitiva, c’è una ragione ultima, filosofica o, piú propriamente, metafisica, che spiega il prolungato radicamento di Dio e della religione nella coscienza umana. Contrariamente a quanto credevano i liberi pensatori, né la conoscenza scientifica né la cultura in generale – meno che mai una cultura devastata dalla frivolezza – sono sufficienti a liberare l’uomo dalla solitudine in cui precipita con il presentimento dell’inesistenza di un aldilà, di una vita ultraterrena. Non si tratta di paura della morte, di terrore di fronte alla prospettiva dell’estinzione totale. Ma della sensazione di abbandono e di smarrimento in questa vita, qui e ora, che si fa largo nell’essere umano di fronte al semplice sospetto dell’inesistenza di un’altra vita, di un aldilà nel quale un essere o una serie di esseri piú potenti e saggi degli umani conoscono e determinano il senso della vita, dell’ordine temporale e storico, ossia del mistero in cui nasciamo, viviamo e moriamo, e alla cui saggezza possiamo avvicinarci abbastanza da capire la nostra esistenza, in modo da darle un fondamento e una giustificazione. Con tutti i suoi progressi, la scienza non è riuscita a svelare questo mistero ed è difficile che ci riesca mai. Pochissimi esseri umani sono capaci di accettare l’idea dell’«assurdo esistenziale», che siamo stati «scagliati» qui nel mondo da un caso incomprensibile, da un incidente siderale, che le nostre vite sono meri accidenti sprovvisti di ordine e concerto, e che tutto ciò che vi accade o non accade dipende esclusivamente dalla nostra condotta e dalla nostra volontà e dalla situazione sociale e storica in cui siamo inseriti. La sola idea, che Albert Camus ha descritto nel Mito di Sisifo con lucidità e serenità, deducendone splendide conclusioni sulla bellezza, la libertà e il piacere, fa precipitare il comune mortale nell’anomia, nella paralisi e nella disperazione.
Nel saggio iniziale dell’Uomo e il divino1, intitolato Della nascita degli dèi, María Zambrano si chiede: «Come sono nati gli dèi, e perché?» (23). La risposta che dà è precedente e piú profonda rispetto alla semplice presa di coscienza da parte dell’uomo primitivo del proprio abbandono, della propria solitudine e della propria vulnerabilità. In realtà, dice la Zambrano, è un elemento costitutivo, una «necessità abissale, che definisce la condizione umana» (27), il sentire ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La civiltà dello spettacolo
  4. Metamorfosi di una parola
  5. Capitolo primo. La civiltà dello spettacolo
  6. Capitolo secondo. Breve discorso sulla cultura
  7. Capitolo terzo. Proibito proibire
  8. Capitolo quarto. La scomparsa dell’erotismo
  9. Capitolo quinto. Cultura, politica e potere
  10. Capitolo sesto. L’oppio dei popoli
  11. Riflessione finale
  12. Ringraziamenti
  13. Il libro
  14. L’autore
  15. Dello stesso autore
  16. Copyright