Nozze
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Nozze

per i Bastardi di Pizzofalcone

  1. 272 pagine
  2. Italian
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Nozze

per i Bastardi di Pizzofalcone

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Una ragazza, nuda, in una grotta che affaccia su una spiaggia appartata della città; l'hanno uccisa con una coltellata al cuore. Un abito da sposa che galleggia sull'acqua. In un febbraio gelido che sembra ricacciare indietro nell'anima i sentimenti, impedendogli di uscire alla luce del sole, Lojacono e i Bastardi si trovano a indagare su un omicidio che non ha alcuna spiegazione evidente. O forse ne ha troppe. Ognuno con il proprio segreto, ognuno con il proprio sogno ben nascosto, i poliziotti di Pizzofalcone ce la metteranno tutta per risolvere il mistero: la ragazza della grotta lo esige. Perché non solo qualcuno le ha tolto il futuro, ma lo ha fatto un attimo prima di un giorno speciale. Quello che doveva essere il piú bello della sua vita. I BASTARDI DI PIZZOFALCONE Luigi Palma, detto Gigi: vicequestore. Le nozze degli altri. Giorgio Pisanelli, detto il Presidente: sostituto commissario. Nozze senza fine. Elsa Martini, detta la Rossa: vicecommissaria. Nozze mai. Giuseppe Lojacono, detto il Cinese: ispettore. Magari le nozze. Francesco Romano, detto Hulk: assistente capo. Troppe nozze. Ottavia Calabrese, detta Mammina: vicesovrintendente. Nozze con le sbarre. Alessandra Di Nardo, detta Alex: agente assistente. Nozze sbagliate.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2019
ISBN
9788858432570

XXVI.

Nella notte il vento rinforzò.
Veniva dal Nord di ghiaccio e foreste, di neve e cime di conifere in perenne movimento. Nato dove il mare è un’altra cosa, una distesa nera e profonda che non accoglie ma che separa; dove non scorre sangue, e la terra è dura e senza frutti.
Era nato, quel vento, dove non nascono poesie e canzoni, dove non si aprono finestre per respirare. Dove chi c’è, sa che deve rifugiarsi nel posto piú buio che riesce a trovare, e aspettare che quel soffio conduca altrove la sua feroce curiosità distruttiva.
Un vento che per la cattiveria che possiede è un ottimo veicolo per un fantasma, che vuole cavalcare per le vie deserte scuotendo imposte, penetrando negli interstizi di palazzi e case che a quel vento non possono prepararsi, perché gli è ignoto.
Un vento che, quella notte, fu cavalcato dal fantasma dolce e inconsapevole di una giovane donna.
Nuda e livida, bellissima e morta, l’immagine di una sposa col cuore spaccato volava nel vento. Era come nelle tante leggende di quella città: donne che cercavano il proprio amante, il proprio assassino, perfino la propria testa staccata da un boia ingiusto.
Lei no. Lei cercava il suo abito bianco che galleggiava lontano dalla sua mano disperata. E cercando il vestito che non avrebbe mai indossato, portò in stanze immerse nella penombra e sulle ali di un cavallo fatto di gelido vento il proprio orrendo, caldo sussurro.
Ascoltando l’urlo del vento, Alex giocava coi capelli di Rosaria. Erano morbidi e setosi, folti e profumati. Le piaceva da morire inanellarne le ciocche attorno alle dita e poi lasciarli andare, vedere che si stendevano di nuovo recando la memoria della carezza in un ricciolo allungato.
Il piccolo appartamento che era diventato la sua prima casa da single era sopra l’ultimo piano di un vecchio palazzo, con l’entrata da un vicolo. Ci si arrampicava per una lunga scala, e dal pianerottolo finale, quando già si aveva pochissimo respiro e si ansimava sudati, restava un’ulteriore rampa che dava in tre stanzette abusivamente ricavate sul tetto e successivamente condonate.
Alla ragazza piaceva pensare che quel posto le assomigliasse. Nascosto, unico, con un inaspettato, meraviglioso panorama celato dietro fatiscenti apparenze. Perché no, si diceva. Questa casa sono io.
– Sai, vorrei comprarla, – disse.
Rosaria, semiaddormentata, sussultò.
– Che cosa vuoi comprare?
– Questa casa. Invece di pagare l’affitto faccio un mutuo. Qualcosa da parte ce l’ho, adesso dànno i soldi a tassi ridicoli. Finisco per tirare fuori la stessa cifra, ma almeno me la ritrovo, la casa.
Rosaria tacque. Poi disse:
– Potresti evitare di pagare sia il mutuo sia l’affitto e venire da me. Hai presente quant’è grande, casa mia? Ci stavamo in sei, quando erano vivi i miei.
– Non è la stessa cosa. Qui per la prima volta sono stata per conto mio e sono me stessa. Ho ridipinto le pareti, ho cambiato le porte, ho arredato le stanze, ho perfino messo le piante sul terrazzo. E ho ricevuto te, in questo letto. Non è una casa, è un monumento.
La Martone sorrise nell’ombra. Il vento continuava a picchiare contro le imposte.
– Tu e io siamo qualcosa di diverso da una semplice compagnia. Non ti pare? Siamo qualcosa di stabile, di profondo. Non credo di poter essere ridotta a un arredo di questa casa, no? Se poi decidi di prenderla, non possiamo farlo insieme? Dividiamo il mutuo, lo riduciamo perché facciamo a metà anche dell’anticipo e…
Alex la fermò.
– Ehi, calma. Calma. Fammi prima prendere coscienza di me stessa, vuoi? In fondo per la prima volta nella mia vita sono sola, mi sto ancora organizzando e…
Fu allora che un colpo di vento piú forte consentí a un fantasma di intrufolarsi nella stanza. Alex rabbrividí, e Rosaria, come colta da un’idea, disse:
– Potremmo sposarci, per esempio.
Alex la fissò, come fosse impazzita. E glielo disse.
– Che? Sei impazzita?
– No. Il sindaco ha appena celebrato un matrimonio tra due donne, non hai letto? Noi siamo due poliziotte, pensa che impatto avrebbe la cosa anche per la gente. Ci amiamo, no? Ti ricordi che ne abbiamo parlato stamattina, a proposito del delitto della spiaggetta? Il giorno piú bello della vita di una donna. Prendiamocelo. Insieme. È un nostro diritto.
Vorrei dirti di sí, pensò Alex. Vorrei abbracciarti ridendo e piangendo, e dirti di sí. Vorrei urlare sí, sí, sí. E vorrei non avere le facce di mio padre e di mia madre davanti agli occhi, con l’espressione senza vita di due morti uccisi da me.
– Vieni qui, – disse, invece. – Vieni qui. Fatti baciare, fatti stringere. Fatti spiegare che noi due siamo già sposate, e lo saremo per sempre. Dovunque sia il nostro letto, e senza bisogno di abiti bianchi che portano anche male, come abbiamo visto.
Rosaria le si avvicinò, ma era diventata triste. Pensò: però non mi vuoi. Non vuoi sposarmi.
Il fantasma della ragazza morta sorrise maligno, per un’altra condivisione di nozze negate. E passò oltre.
Aragona si affrettava verso casa di Pisanelli, trascinando la seconda valigia di indumenti. Gli si stava gelando la mano, per quel maledetto vento. Quelli, pensava, sono servizi che vanno fatti di giorno, alla luce del sole, non in queste notti da lupi.
Ma i motivi per farlo con il buio erano svariati. Peppino, il portiere notturno dell’hotel Mediterraneo, era avido come pochi ma almeno, una volta che gli si dava la mancia giusta, manteneva la consegna. Marco non voleva dare al personale dell’albergo e soprattutto a quel figlio di buona donna del direttore la soddisfazione di andarsene con una mano davanti e l’altra dietro; meglio prendere le proprie cose quando nessuno poteva vederlo.
Quindi doveva sorbirsi quel vento terribile, che penetrava nelle ossa passando attraverso i costosi indumenti che indossava, inclusa la sciarpa multicolore ma poco protettiva che, ne era certo, non l’avrebbe salvato da un orribile irrigidimento del collo. E il peso della valigia enorme che gli aveva prestato Pisanelli, piena delle vestigia che aveva dovuto togliere dalla suite che considerava casa sua. Una valigia peraltro priva di ruote. Ma chi poteva avere una valigia senza ruote? Solo un dinosauro come Pisanelli.
Mentre commiserava sé stesso lanciando mute bestemmie all’indirizzo del padre, responsabile della sua temporanea disgrazia, davanti agli occhi gli si presentò il fantasma di una ragazza.
Doveva essere per forza un fantasma, perché Irina era in Montenegro dalla sua famiglia e non sarebbe rientrata prima di una settimana, come gli aveva scritto un paio di giorni prima. Eppure sembrava proprio lei, in piedi nel vento all’angolo della strada, a un isolato dall’albergo. Sembrava proprio lei, tanto che gli sorrise perfino come Irina, e lo salutò con la stessa voce di Irina.
– Ciao, amore. Come stai? Sorpreso di vedermi?
Con uno scatto, Marco richiuse la bocca che si era riempita di vento gelido.
– Ma… ma che ci fai, qui? Quando sei… Ma non dovevi mancare un’altra settimana? Come… da quando sei qui?
La giovane continuava a sorridergli. Indossava un soprabito leggero, e i capelli biondi si muovevano morbidi nel vento come se galleggiassero.
– Sono venuta via prima da mio paese. Non volevo stare ancora lontana. Poi in hotel mi hanno detto che tu… che te n’eri andato da suite, senza dare indirizzo nuovo.
Aragona si accorse con disagio che al sorriso della bella bocca rossa di Irina non corrispondeva quello degli altrettanto belli occhi azzurri, che invece lo fissavano piú gelidi del vento che gli entrava dalla sciarpa. Rabbrividí, non sapendo bene per quale delle due sensazioni.
– Io… Ma che dici? Certo che ti avrei… Ho avuto una sfortunata discussione con mio padre, cioè, non l’ho avuta perché non mi ha parlato, ma per ragioni che non sono certo imputabili a me ha deciso di non… Ho dovuto momentaneamente, e sottolineo momentaneamente perché tornerò con gli inchini di quello stronzo del direttore, disdire la mia stanza, sí. Ma non per questo volevo…
Gli venne in mente quello che la ragazza poteva aver pensato, rientrando anzitempo al lavoro e non trovando piú traccia di lui.
– Come puoi pensare una cosa del genere, sei pazza? Io non me ne sarei mai andato senza dirtelo! Ti avrei scritto subito, non appena trovata un’altra sistemazione che…
La ragazza tirò fuori dalla tasca il telefonino e glielo mostrò, come fosse un oggetto alieno.
– Davvero? Tu però non scritto. Io scritto te, tu hai risposto sempre, tutto normale, come stai, qui freddo. Ma non hai detto niente di questa cosa.
Il sorriso su metà della faccia cominciò a inquietare Aragona, che bilanciò il peso della valigia da una mano intorpidita all’altra.
– Senti, non è facile scrivere a una donna che devo andare via da dove abito perché quello stronzo di mio padre non capisce che io sono un poliziotto, e un fantastico poliziotto. E che invece di essere orgoglioso di me, quello che fa? Smette di pagare la stanza e mi lascia come…
La ragazza non aveva mutato espressione, e adesso sembrava una belva feroce in procinto di attaccare. La voce si abbassò di temperatura, adeguandosi all’esterno.
– Davvero? Io penso invece che tu scappa. Io penso invece che tu non mantieni promesse, che dici sciocchezze con quella bocca bugiarda. Io parlato con miei, detto di matrimonio e…
Aragona sobbalzò, mollando la valigia che si abbatté al suolo con un tonfo.
– Oh, senti, bella, ma che matrimonio? Io non ho mai parlato di matrimonio! Chi ti ha dato il permesso di parlarne coi tuoi, si può sapere? Sono, quanti? Cinque mesi che ci vediamo? Ti pare di poter parlare di matrimonio, dopo cinque mesi?
La ragazza spense anche il mezzo sorriso, stringendo le labbra in una riga sottile tra naso e mento. Ringhiò:
– Ecco, solito italiano di merda che per portare a letto ragazza bella, essendo brutto, promette il falso. Mio padre aveva detto, e tutte mie amiche, ma io avevo creduto. Che stupida.
L’agente scelto era sconcertato. Con voce stridula rispose:
– Oh, ma scherzi o fai sul serio? Ti ricordo che in cinque mesi siamo rimasti soli al massimo tre volte, e poi che pensi, che uno come me ha bisogno di promettere un matrimonio ogni volta che si vuole portare una femmina a letto? Tu, piuttosto, se pensavi questo di me, per quale motivo hai accettato di uscire? O piuttosto, adesso che scopri che non posso permettermi una suite al Mediterraneo, non ti interesso piú?
Irina lo fissò con disprezzo. Poi si girò e tornò verso l’hotel. Marco raccattò la valigia e la dignità e si avviò verso casa di Pisanelli. Per qualche assurda ragione gli venne in mente Nadia, l’infermiera perfida, e guardò al futuro con ottimismo.
Il fantasma della ragazza delle nozze negate rise nel vento, e partí per un’altra tappa.
Lojacono alzò il bicchiere di vino e lo guardò in controluce. Il colore ambrato era rassicurante, la temperatura giusta e soprattutto all’esterno dell’appartamento di Laura, sul mare, le urla dell’acqua e del vento rendevano ancora piú piacevole il tepore che c’era, e la luce calda delle candele.
La telefonata di lei gli era arrivata dopo la fine della riunione, nell’ambito della quale, al solito, secondo la consolidata strategia, non si erano mai guardati negli occhi. Qualche tempo prima lui le aveva chiesto: «Non sarà un po’ esagerata questa freddezza? Penseranno che mi odî, che ti sono antipatico o, peggio ancora, che tu sappia qualcosa del mio passato che loro stessi non sanno».
Lei aveva riso: «Be’, tanto meglio allora. Avrò un motivo per ricattarti, se mi lasci: fingerò che tu sia un raccomandato e comincerò a trattarti con timore deferente. Quindi sappiti regolare».
Il fatto che Marinella fosse andata a studiare da Chanel gli alleggeriva la mente e lo assolveva dal vago rimorso che sentiva sempre, quando passava il tempo libero in altro modo che con la ragazza. Laura era la grande concessione che faceva a sé stesso, il regalo meraviglioso che questa nuova vita gli aveva riservato. E una bella speranza per il futuro, doveva aggiungere.
– Certo che qui da te, quando fuori c’è una tempesta di vento, è davvero speciale. Fa quasi paura.
Le fiamme ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Nozze
  4. I.
  5. II.
  6. III.
  7. IV.
  8. V.
  9. VI.
  10. VII.
  11. VIII.
  12. IX.
  13. X.
  14. XI.
  15. XII.
  16. XIII.
  17. XIV.
  18. XV.
  19. XVI.
  20. XVII.
  21. XVIII.
  22. XIX.
  23. XX.
  24. XXI.
  25. XXII.
  26. XXIII.
  27. XXIV.
  28. XXV.
  29. XXVI.
  30. XXVII.
  31. XXVIII.
  32. XXIX.
  33. XXX.
  34. XXXI.
  35. XXXII.
  36. XXXIII.
  37. XXXIV.
  38. XXXV.
  39. XXXVI.
  40. XXXVII.
  41. XXXVIII.
  42. XXXIX.
  43. XL.
  44. XLI.
  45. XLII.
  46. XLIII.
  47. XLIV.
  48. Il libro
  49. L’autore
  50. Dello stesso autore
  51. Copyright