Tutto è sempre ora
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Tutto è sempre ora

  1. 128 pagine
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Tutto è sempre ora

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Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Fin dal titolo (da Eliot) i versi di Antonio Prete indagano lo statuto di realtà che si mostra oltre l'ordine visibile del tempo. In ogni istante c'è una compresenza di passato, presente e futuro. Ma la compresenza è anche ulteriore e contempla il non accaduto, il non vissuto: «Quel che non ebbe svolgimento è qui, | con una veste scura, | quel che accadde è spoglio d'ogni fulgore, | soltanto il non vissuto ha una baldanza | quasi fresca: "perché", sembra sussurri, | "non camminammo insieme, | almeno per un tratto?"». Quella di Prete è una sorta di fratellanza verso ciò che poteva essere ma non è stato, e forse non sarà mai. Non sappiamo che cosa appartiene «al vortice dell'essere e apparire, | al fuoco di consunzione e rinascita». Non dobbiamo essere presuntuosi del nostro certificato di esistenza in vita. L'invisibile ci circonda. «Una bolla | è il mondo gonfia di niente | che fluttua piano nell'aria | sotto un cielo di stelle spente». Ma queste meditazioni si inverano nelle bellissime descrizioni della natura. Come Prete scrive in un distico: «Il battito, qui, dei pensieri è prossimo | al respiro degli ulivi». È questa prossimità alla natura che permette di accogliere nei versi presenze stellari e animali, fino alle figure d'apparenza che animano l'ultima sezione del libro.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2019
ISBN
9788858431917
Argomento
Literature
Categoria
Poetry

Nel respiro dell’ora

La stanza

Un po’ spoglia, la magnolia fa trame
nel pallore del cielo. Di là da essa
il bruno scollinare delle crete
verso torri annebbiate, verso il nero
dei castagni.
Nella stanza, sfuggite
alla rapina dell’oblio, salgono
parvenze. Un esercizio amaro è dare
un nome a quello che è perduto. Un viso
sta nell’ombra, da un angolo mi guarda
con un sorriso che è d’enigma o forse
di dolcezza, e con voce fioca, «anch’io»,
dice, «sono una chimera, o una piuma
che svola inconsistente nel mai piú».
Dal tempo qui raccolto nell’angustia
dell’accaduto, dal tempo disperso
nei miraggi, mi distraggo guardando
tra il folto dei cipressi il lampo rosa
delle case sul poggio di Fogliano,
e sento, nella luce di dicembre,
che l’assenza del mare è opaco assillo,
privazione che orchestra questa danza
d’ombre. È l’assenza di una bianca riva
il principio che intorbida il già stato.

Vuoto d’albero

Un albero sul pianoro, oltre i calanchi,
un resto d’albero, solo, sbrecciato,
senza chioma,
un graffio nero nell’aria,
un braccio levato contro il cielo,
desiderio d’albero prima di sera,
un uccello lo sfiora, vola oltre.
Vuoto d’albero nel tramonto,
la notte amica gli darà memoria
dell’intrico dei rami,
del folto che ospitava i nidi,
del vento che sfrugliava nel fogliame?
O forse in questo resto la ferita
e il respiro si compongono in quieto
dormiveglia di radice, e mancanza
è il mio sostare sulla soglia dove
s’annodano visibile e armonia?

Nel respiro dell’ora

And all is always now.
Thomas S. Eliot
L’inizio, i fuochi e le pietre stellari
dell’inizio, la fiumana di tempo
fatta conchiglia, deserto, montagna,
le voci d’animali nelle selve,
tutto è sempre ora.
Nuvole d’ali che navigano alte
sopra l’oceano, guizzi di lucertole
nei meriggi di luglio sulla terra
rossa, gridi di gazze tra gli ulivi,
tutto è sempre ora.
Il canto roco, eguale, di rotaie
mentre i vagoni rigano pianure
e intorno corrono alberi, anni, cieli,
la tua mano che m’avvolge la sciarpa
sul bavero nelle albe degli addii,
tutto è sempre ora.
Il transito, la cenere, l’aurora,
tutto è sempre nel respiro dell’ora.

La stella della sera

Ora che un arco fragile è l’attesa,
un fuoco quieto, eguale,
alimenta i pensieri.
Forme si adunano salpando da porti
lontani, le conduce il desiderio,
un vecchio marinaio
non piú al timone, non piú sottovento
a scrutare la bufera: faville
d’esistenza non spente nella corsa
del tempo, solo tramutate in una
presenza trasparente.
Quel che non ebbe svolgimento è qui,
con una veste scura,
quel che accadde è spoglio d’ogni fulgore,
soltanto il non vissuto ha una baldanza
quasi fresca: «perché», sembra sussurri,
«non camminammo insieme,
almeno per un tratto?»
Ma non è voce, è solo
il vento che farfuglia nei cespugli,
ora che da ponente è già salita
la stella della sera
sopra la striscia rosa delle nuvole.

I nomi delle stelle

C’è tra questa pianura
di moltitudini in affanno e quella
inesplorata volta di cammini
astrali un arco o patto?
C’è tra questa sperduta nostra aiuola
e quello sconfinato arabesco
di ellissi e di bagliori
un battito, un accordo
di abissale segreta comunanza?
O sono solo i nomi delle stelle
i segni di un legame,
i segni ardenti di un’appartenenza
al vortice dell’essere e apparire,
al fuoco di consunzione e rinascita?

Solstizio d’inverno

Lungo il ciglio, sopra il muschio,
cadono foglie morte dai noccioli.
Sul tronco del cipresso il lichene
ha figurato sagome d’animali.
Il canale ristagna lungo gli olmi.
Nel viottolo una donna, un cesto di vivande
nelle mani, saluta me, saluta il cane,
svolta dove una casa di pietra traspare
tra il fogliame del canneto.
All’orizzonte un velo già scurisce
il profilo dell’antica città.
Il ritmo del mondo, sai, pare dica
priva di voce una voce, è anche in questo
andare prima di sera, tu e il cane,
lungo uno stradone, gli occhi sul ciglio
d’erbe, sugli alberi spogli di tempo,
sulle tracce che fanno disegni nella mota.
Tra poco in alto brillerà Auriga,
con i cuccioli, la capra, le nebulose.
Gli chiederai che tenga a bada
dalla sua splendente lontananza
lo sciame d’anni che alle spalle
manda ronzii, rimugina rimpianti.

Rosa a Breslavia

Il gelo delle trincee, l’urlo dei feriti.
L’inverno trema sotto il mantello
di ghiaccio. Nelle strade vessilli di morte.
Una rosa profuma il cortile
del carcere a Breslavia.
I suoi occhi negli occhi del bufalo rumeno
picchiato a sangue dal soldato.
Lontane le praterie. Indifeso
il dolore animale.
C’è una luce tra le corna.
I petali della rosa sparsi
sulle pietre, sulle gocce di sangue.
Per un tempo privo di ferocia.

Compianto

Sono scritti sulle acque i loro nomi.
Il desiderio è un’asse
del barcone sferzata dalla schiuma.
L’azzurro, una bottiglietta di plastica
che galleggia sull’onda.
Il cielo guarda con occhi di pietra.
Nel grido del gabbiano c’è il tuo nome,
Dunya, nel nome le braccia che stringono
il figlio. Nello strepito del mare
c’è, Mahamed, il tuo nome, nel nome
l’arcata delle gambe mentre corri.
C’è il tuo nome, Yasmin,
nella voce del vento,
nel nome il lampo degli occhi, la grazia
acerba del tuo passo.
Le scogliere laggiú gridano nomi,
nei nomi ombre di palme,
vociare di mercati, carovane
nella notte sotto mondi stellati.
L’indifferenza, in alto, delle nuvole,
ebbre del loro volo verso oriente.

La gelida semente

Vedi, diceva, quel confine d’ombra
che degrada sul muro e fa lucente
il muschio. È tempo, figura di tempo.
Come il passo dell’antilope in corsa
all’alba verso il fiume. Come il grano
di sabbia che nell’ostrica s’imperla.
Il frangersi dell’onda sugli scogli
è tempo, come il solco della luna
nel cielo e il volo nuziale dell’ape.
Nella quieta armonia dell’accadere
tremar di foglia e moto delle stelle
sono sillabe di una stessa lingua.
Il grido della pernice ferita
anch’esso è suono di quell’alfabeto.
Ma il dolore del vivente, diceva,
mostra del tempo la gelida semente.

Un cardo

Un cardo, il fiore rosso nella macchia,
sotto un cielo soltanto suo, il suono
del mare dietro la duna, i miei passi
nella luce che piano si spegneva.
Evidenza nel vuoto, nell’istante
che punge il vuoto: niente, nel ricordo,
gli è intorno, non foreste, non bisbigli
di uccelli. Il cardo, nel ricordo, è solo,
con il suo fiore rosso nella luce
del crepuscolo marino.
Che cosa
univa quello sguardo al fiore rosso,
i petali screziati alla radice?
Che cosa unisce il cardo alla parola
che ora lo dice?
Suono senza vento,
argine del silenzio, il cardo è qui,
con il suo rosso:
un fiore di sillabe,
solo, dentro il giardino della lingua.

Lungo le rive

E camminano i morti lungo le rive
deserte di tempo.
Non calpestano ghiaia né erba.
Hanno del mondo solo un’idea,
una nuvola-idea.
Una bolla
è il mondo gonfia di niente
che fluttua piano nell’aria
sotto un cielo di stelle spente.

Senso e non senso

Non trova piú le rime il saltimbanco,
un colpo di vento s’è preso le vocali.
Un gatto cerca sotto le assi il proprio nome,
una stella, lassú, la prima luce.
Se questa strada, ragiono in sogno,
è a senso unico, perché non ha sui balconi
fiori di parole che ripetano in coro
un solo nome, un nome che chiuda in sé
tutto il senso della vita?
Sto per svegliarmi, e già torna la rima:
corre a baciare
il saltimbanco di prima.

Angelo

Sei il brivido di luce nell’ombra
del porto, mentre attendi, prima di sera,
la barca rossorizzonte.
Sei la riga celeste tra le nubi
che l’assillo della perfezione sfrangia,
ricompone, abolisce.
Sei la linea esatta dove il dolore
della terra ha per confine
il silenzio del cielo.
Sei la sillaba dell’assente che cerca
una musica sopra il perdersi del senso,
sopra il disfarsi dell’attesa.
Sei il lampo...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. TUTTO È SEMPRE ORA
  4. Nel respiro dell’ora
  5. Torre sveva
  6. Lengua mara
  7. Taccuino blu
  8. Dell’apparenza (prosa d’inverno)
  9. Nota
  10. Il libro
  11. L’autore
  12. Copyright