Se i gatti scomparissero dal mondo
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Se i gatti scomparissero dal mondo

  1. 192 pagine
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Se i gatti scomparissero dal mondo

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Di lavoro fa il postino, mette in comunicazione le persone consegnando ogni giorno decine di lettere, ma il protagonista della nostra storia non ha nessuno con cui comunicare. La sua unica compagnia è un gatto, Cavolo, con cui divide un piccolo appartamento. I giorni passano pigri e tutti uguali, fin quando quello che sembrava un fastidioso mal di testa si trasforma nell'annuncio di una malattia incurabile. Che fare nella settimana che gli resta da vivere? Riesce a stento a compilare la lista delle dieci cose da provare prima di morire... Non resta nulla da fare, se non disperarsi: ma ecco che ci mette lo zampino il Diavolo in persona. E come ogni diavolo che si rispetti, anche quello della nostra storia propone un patto, anzi un vero affare. Un giorno di piú di vita in cambio di qualcosa. Solo che la cosa che il Diavolo sceglierà scomparirà dal mondo. Rinunciare ai telefonini, ai film, agli orologi? Ma certo, in fondo si può fare a meno di tutto, soprattutto per ventiquattr'ore in piú di vita. Se non fosse che per ogni oggetto c'è un ricordo. E che ogni concessione al Diavolo implica un distacco doloroso e cambia il corso della vita del protagonista e dei suoi cari. Soprattutto quando il Diavolo chiederà di far scomparire dalla faccia della terra loro, i nostri amati gatti. Kawamura Genki ci costringe a pensare a quello che davvero è importante: alle persone che abbiamo accanto, a quello che lasceremo, al mondo che costruiamo intorno a noi.«Una storia commovente e toccante sull'affrontare la propria mortalità, assumersi la responsabilità delle proprie scelte e decidere cosa vale veramente».
«The Herald» «Un romanzo emozionante e originale sulla vita, l'amore, i legami familiari e ciò che lasciamo quando ce ne andiamo».
«The Observer»

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2019
ISBN
9788858431573

Giovedí

Se gli orologi scomparissero dal mondo
Le cose piú assurde accadono sempre in sequenza. Come quando si perdono le chiavi di casa e subito dopo il portafoglio, come quando la squadra di baseball del proprio liceo conquista miracolosamente due o tre basi di fila, o, ancora, come quando tanti anni fa i piú grandi maestri del manga si trasferirono uno dopo l’altro nello stesso condominio residenziale, l’ormai celebre Tokiwa-sō1.
Per quanto mi riguarda, in una settimana mi era capitato veramente di tutto: la scoperta del cancro terminale, l’arrivo del Diavolo, la scomparsa di telefoni e film da questo mondo e… per non farmi mancare proprio niente (rullo di tamburi), il gatto parlante!
– Signore? Fino a quando ha intenzione di dormire, signore?
È un sogno, mi dico, okay.
– Presto che è tardi, signore!
È un sogno, mi ripeto, sicuro.
– Forza, è ora, signore!
Ma che ca… Cavolo! Non è un sogno, quello che parla è senza ombra di dubbio Cavolo. Come se non bastasse, parla come se fosse appena uscito da un dramma storico, perbacco, devo porgergli i miei… Aaah, per poco non entro nella sua stessa modalità! Dovevo ritornare in me: che cosa stava succedendo?
– Uuuh, noto che qualcuno è un po’ confuso!
Ecco Aloha con il suo sorriso a trentadue denti. Si era di nuovo preso la briga di cambiarsi, alla faccia mia. Stavolta indossava una camicia azzurro cielo con parrocchetti sgargianti e giganti lecca-lecca a forma di spirale dai mille colori. Una cosa sobria, insomma. Cominciavo seriamente a non reggerlo piú.
– Vorrei ben vedere! Appena mi sono alzato il gatto mi ha salutato dicendomi «signore;» anziché «miao»!
– Oh, è proprio cosí infatti. Prendilo pure come un regalo da parte mia.
– Come un regalo?
– Sí. Ho pensato che senza i telefoni e i tuoi amati film ti sentissi molto triste. Voglio dire, nel giro di due giorni hai perso la possibilità di sentire le altre persone e il tuo hobby preferito, ho pensato che avessi bisogno di compagnia, e cosí… magia, ho deciso di far parlare il gatto! Ehi, non scordarti che sono il Diavolo!
– Ascolta, ti ringrazio, ma non ce la posso fare, è piú forte di me, non ce la faccio a sentire il gatto che di punto in bianco si mette a parlare. Non puoi farlo tornare normale?
– Oh…
Senza rispondere, Aloha era sprofondato nel silenzio. Che strano, forse non si aspettava che reagissi a quel modo.
– A-ehm… ho detto qualcosa che non andava?
Aloha seguitava a non parlare.
– Vuoi dirmi che… non puoi farlo tornare normale?
– No, non è quello. Posso. Cioè, tornerà normale, è solo questione di tempo, come si suol dire… Dio solo sa quando! Nel senso che io non lo so. Ma che ci posso fare, io non sono mica Dio, io sono il Diavolo!
Giuro che adesso gli spacco la faccia, ho pensato, ma mi sono morso la lingua e rituffato sotto le coperte. Non avevo nessuna voglia di uscire dal letto. Non mi andava di tornare in quel mondo senza film ma con un gatto parlante. Al che ho sentito Cavolo che mi camminava in testa con l’intenzione di farmi alzare (lo fa sempre, sa bene quanta fatica faccio al mattino e cerca di aiutarmi). Una volta ho sentito dire che la parola giapponese neko, «gatto», deriva dall’unione di ne, «dormire», e ko, «cucciolo», e significa dunque «cucciolo che dorme». Sono pronto a mettere la mano sul fuoco che si tratta di una falsità: in questi quattro anni, Cavolo si è sempre svegliato prima di me!
– Se non si alza presto, potrei arrabbiarmi, signore!
Cavolo seguitava a rivolgermi la parola nel tono lamentoso che è tipico dei gatti.
– Aaah, basta, non ce la faccio piú!
In quel momento ho deciso che dovevo accettare le cose come stavano e sono balzato in piedi.
– A proposito, te lo ricordi, vero? – mi ha domandato Aloha con occhio indagatore.
– Che cosa, che cosa devo ricordarmi, adesso?
– Quello che hai fatto scomparire oggi!
Vediamo un po’… no, non riuscivo proprio a ricordarlo. Comunque fosse, guardandomi attorno non mi sembrava di scorgere dei cambiamenti. Voglio dire, mi sembrava tutto al solito posto.
– Scusa… non lo ricordo. Cosa ho deciso di far scomparire?
– Ah, il solito smemorato. Gli orologi, hai deciso di far scomparire gli orologi!
– Gli orologi?
– Sí. Oggi toccava agli orologi!
Dunque avevo deciso di far scomparire gli orologi.
Se gli orologi scomparissero dal mondo. In che modo sarebbe cambiato il mondo? Com’era ormai mia abitudine, ho provato a immaginare che cosa sarebbe potuto accadere.
La prima immagine che mi è balenata in mente è stata la tua figura di spalle. Hai sempre gestito un piccolo negozio di orologi. Era situato al piano terra della casa dove abitavamo, e ogni volta che scendevo di sotto ti trovavo curvo su qualche orologio, al buio, con la sola luce della lampada puntata direttamente sulle dita impegnate a riparare gli ingranaggi. Non ti vedevo da quattro anni, ma ero certo che anche adesso stavi riparando orologi tappato nella tua bottega. Al che mi sono reso conto che se gli orologi fossero scomparsi dal mondo, i negozi come il tuo non sarebbero piú stati necessari. La tua bottega non avrebbe piú avuto ragione di esistere e, come lei, anche tu.
A quel pensiero ho provato un leggero senso di colpa. Mi sono domandato se gli orologi fossero effettivamente scomparsi dal mondo, stentavo a credere che fossero tutti evaporati da un giorno all’altro. Invece, in effetti, non riuscivo a trovare da nessuna parte neanche la sveglia che tenevo accanto al letto. Forse era accaduta la stessa cosa dei telefoni, forse erano solo scomparsi dalla mia coscienza e non riuscivo a vederli: comunque fosse, gli orologi erano scomparsi.
In quel preciso momento mi sono reso conto che senza uno strumento per misurarlo, avrei certamente perso la cognizione del tempo. Per esempio, mentre ragionavo su questa e altre cose, mi sembrava mattina, e considerando che avevo dormito piú del solito ho stimato che fossero all’incirca le undici. Ma non avevo nessun modo per verificare la mia ipotesi: accendendo la televisione il segnale orario non si leggeva e ovviamente non avevo piú modo di controllare sul display del telefono cellulare. Per farla breve, non avevo la piú pallida idea di che ora fosse.
Però non mi sembrava ci fosse alcuna differenza: come mai? Voglio dire, provavo una sensazione totalmente diversa rispetto alle due volte precedenti in cui avevo fatto scomparire qualcosa. A parte il lieve senso di colpa nei tuoi confronti, non provavo né alcun dolore né alcun senso di perdita. Eppure la scomparsa degli orologi doveva senz’altro avere le sue conseguenze, ogni cosa nel mondo è regolata in base al tempo. Ho provato a considerare piú aspetti. Le scuole, le aziende, i mezzi di trasporto, i mercati azionari e tutti gli altri servizi pubblici e privati dovevano essere piombati nel caos piú totale, ma per qualche strano motivo la cosa non era andata a toccare i singoli individui. Avrei tranquillamente potuto continuare a vivere (insieme al gatto) senza preoccuparmi del tempo, perché la cosa non mi riguardava in prima persona.
– Senti, perché hanno inventato gli orologi? – ho domandato quindi ad Aloha.
– Uh, bella domanda. Tanto per cominciare, non solo gli orologi, ma la concezione stessa del tempo esiste solo per gli esseri umani.
– In che senso? Non capisco.
– In pratica, il tempo è una regola stabilita in maniera arbitraria dagli esseri umani. Ora, non sto negando che in natura esiste un fenomeno per cui il sole sorge e tramonta, poiché tale fenomeno c’è e si ripete giorno dopo giorno. Sto dicendo che l’abitudine di suddividere in ventiquattro, dodici o sei ore e di misurare il tempo in generale, è una cosa prettamente umana.
– Eh, sí…
– Gli esseri umani sono convinti di avere studiato il mondo cosí com’era, ma si sbagliano di grosso, perché in realtà sono loro che hanno imposto al mondo determinate regole in base alle proprie necessità. Quindi stavolta ho pensato che sarebbe stato divertente vedere come poteva essere il mondo senza il «tempo», senza una regola decisa e imposta dagli umani, riesci a seguirmi?
– Fammi capire, hai scelto di far sparire gli orologi dal mondo per assecondare un tuo capriccio? Perché era cosí che ti girava?
– Eeesatto! Ti auguro una buona giornata! Anche se ormai la giornata come unità di misura non esiste piú!
E con quelle parole sconsiderate, Aloha si è dileguato.
La storia degli ultimi cento anni si potrebbe riassumere in dieci pagine di libro di storia. Volendo, addirittura in una riga. Da quando ho scoperto di essere malato, ho cominciato a vivere il mio tempo in maniera diversa. Non ho piú considerato le ore blocchi da sessanta minuti, bensí blocchi da tremilaseicento secondi. L’ho fatto per sentirmi meglio, per convincermi di avere piú tempo. Adesso che il tempo era scomparso, potevo benissimo far scomparire anche quel pensiero. Cominciavo a nutrire dei dubbi anche sul senso dei giorni. Oggi doveva essere giovedí, perché dopo il mercoledí viene sempre il giovedí. Giusto? Voglio dire, quella mattina c’era stata una nuova alba, quindi valeva come nuovo giorno, quindi era per forza giovedí. Eppure anche i giorni erano unità di misura scelte in maniera arbitraria dagli esseri umani, non potevo non pensarci.
Comunque fosse, non avevo particolari impegni, dovevo solo trovare il modo per ammazzare il tempo. Solo che mi mancava il tempo da ammazzare! Quand’anche avessi voluto sprecare tempo, tempo da sprecare non ce n’era. Maledizione, mi sentivo perso e senza punti di appoggio. Quanti minuti erano trascorsi da quando mi ero svegliato? In genere controllavo l’ora sulla sveglia accanto al letto, ora però mi era impossibile perché gli orologi erano scomparsi. Un mondo senza orologi. Cominciavo a sentirmi trascinato in un vortice senza tempo e senza età. Non potevo vederlo, ma sentivo di venire risucchiato e avevo l’impressione che presto o tardi anche la mia esistenza sarebbe appartenuta al passato.
Pensandoci meglio, mi sono detto, gli esseri umani dormono, si svegliano, lavorano e mangiano in base a una tabella oraria stabilita da loro stessi. Conducono un’esistenza impostata sugli orologi. In altre parole, prima hanno inventato il sistema dei giorni, dei mesi e degli anni, ovvero del tempo in generale, per imporsi dei limiti, poi hanno inventato gli strumenti per misurare quegli stessi limiti. Se esiste una regola bisogna seguirla, ma seguire una regola significa perdere una parte di libertà. Gli esseri umani avevano ricollocato la libertà persa praticamente ovunque: l’avevano appesa alle pareti o posata in giro per la casa, assicurandosi di appoggiarla dovunque erano sicuri di fare qualcosa, arrivando persino a renderla portatile e inventare gli orologi da polso.
Adesso però credo di capire.
La libertà comporta ansia e insicurezza. Gli esseri umani avevano ceduto la libertà totale in cambio della certezza data dalle regole e dalle abitudini. Mentre pensavo a questa e ad altre cose, Cavolo si è avvicinato e ha cominciato a strusciarsi contro le mie gambe. Lo conoscevo troppo bene per non sapere che voleva qualcosa.
– Che c’è, piccolino, vuoi la pappa?
In genere la mattina il copione era quello.
– No, signore.
– Come, scusa?
Il gatto che mi risponde, stentavo davvero a crederlo. Per di piú lo vedo fare un sospiro profondo prima di riprendere la parola.
– Signore, continua a sbagliare.
– Signore? Stai davvero parlando con me?
A quanto pareva, sí. Fino a che punto aveva intenzione di portare avanti la messinscena del dramma storico?
– Mi permetta di spiegarle una cosa. Quando gradisco uscire per una passeggiata, lei pensa che abbia fame; quando gradisco mangiare, lei pensa che intenda fare il riposino pomeridiano; quando gradisco fare il riposino pomeridiano, lei pensa che voglia giocare. Sbaglia tutto...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Se i gatti scomparissero dal mondo
  4. Lunedí. Il Diavolo fa la sua comparsa
  5. Martedí. Se i telefoni scomparissero dal mondo
  6. Mercoledí. Se i film scomparissero dal mondo
  7. Giovedí. Se gli orologi scomparissero dal mondo
  8. Venerdí. Se i gatti scomparissero dal mondo
  9. Sabato. Se io scomparissi dal mondo
  10. Domenica. Addio mondo
  11. Criteri di traslitterazione e pronuncia
  12. Glossario
  13. Il libro
  14. L’autore
  15. Copyright