Storia europea della letteratura italiana II
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Storia europea della letteratura italiana II

Dalla decadenza al Risorgimento

  1. 672 pagine
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Storia europea della letteratura italiana II

Dalla decadenza al Risorgimento

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Le storie della letteratura italiana hanno a lungo riprodotto l'impostazione desanctisiana, di origine risorgimentale, unitaria e nazionale. Questa di Asor Rosa, che viene dopo la lunga e variegata esperienza della Letteratura italiana Einaudi, supera definitivamente quel modello modificandolo in due direzioni. Da un lato inserendo i fatti letterari italiani in un contesto internazionale, e dunque analizzando la fitta trama delle relazioni culturali tra l'Italia e i principali paesi europei nel biunivoco, mai interrotto rapporto di dare e avere. Dall'altro cercando nella letteratura un'identità italiana allo stesso tempo unitaria e diversificata, soggetta a spinte centripete e centrifughe compresenti o alternate.
In questo secondo volume dedicato all'età moderna non si può prescindere dal rapporto con la Spagna, con la Francia, e poi col mondo germanico e anglosassone, e neppure con le diverse situazioni statuali che hanno prodotto una geografia politica e culturale assai cangiante prima dell'Unità. Asor Rosa raccoglie i fili dispersi dando il giusto rilievo alle tradizioni regionali senza mai dimenticare che anche attraverso queste diversità è passato un sentimento identitario che, ribaltando la celebre frase, «ha fatto gli italiani» prima che fosse fatta l'Italia. E nel ripercorrere tutto questo, Asor Rosa rilegge con passione critica le opere di tutti i nostri maggiori scrittori fornendo un esempio di saggistica letteraria che si nutre di storiografia ma va a toccare il cuore dell'invenzione estetica. Storia europea della letteratura italiana I. Le origini e il Rinascimento.
Storia europea della letteratura italiana III. La letteratura della Nazione.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2016
ISBN
9788858423936

Capitolo quinto

L’età della Restaurazione e del Romanticismo (1815-1848)

1. La Restaurazione.
Il crollo del sistema napoleonico in Europa mise le potenze vincitrici nella condizione di potere (e dovere) ricostruire l’assetto continentale su nuove basi. A ciò provvidero una serie di trattati stipulati fra il 1814 (dopo la prima caduta di Napoleone) e il 1815; ma soprattutto il grande congresso che si svolse a Vienna fra l’8 febbraio e l’8 giugno 1815 e si concluse il 9 giugno (nove giorni prima di Waterloo) con un Atto finale, nel quale i destini dell’Europa furono completamente ridisegnati per i futuri decenni. In quel congresso ebbe un ruolo di primo piano Klemens Wenzel Lothar, principe di Metternich (1773-1859), che dal 1809 era stato ministro degli Esteri e poi, dal 1821 al 1848, fu cancelliere di Stato dell’Impero austriaco, nel periodo, cioè, di maggiore potenza europea dell’Austria, dopo la caduta di Napoleone.
Il principio, al quale il congresso di Vienna si sarebbe ispirato, era, nella sua essenza, molto semplice: il ritorno – salvo qualche ritocco ed eccezione – allo status quo. E cioè: tutti i sovrani, piccoli e grandi, spazzati via dall’ondata napoleonica, venivano reintegrati al loro posto; i rapporti di forza, le culture, le gerarchie sociali e politiche, messi in crisi dall’egemonia illuministico-rivoluzionaria, venivano rimessi in piedi o, per l’appunto, «restaurati». Sul piano giuridico-formale fu cioè applicato (sebbene non integralmente, come abbiamo già accennato) il «principio di legittimità», vale a dire la ricostituzione di tutti gli Stati esistenti prima della Rivoluzione e il ritorno in ciascuno di essi delle vecchie dinastie. Se il processo rivoluzionario-napoleonico aveva battuto e infranto l’alleanza fra il Trono, l’Altare e la Nobiltà terriera, la Restaurazione intendeva dunque puramente e semplicemente restituirla e rimetterla in piedi. Facciamo solo alcuni esempi: in Francia e in Spagna tornano i sovrani delle dinastie borboniche, rispettivamente con Luigi XVIII e Ferdinando VII; in Portogallo tornò la dinastia dei Braganza; in Germania e in Italia quasi tutti i sovrani precedenti furono ricollocati al loro posto.
Al tempo stesso, aumentarono enormemente i loro possedimenti e la loro potenza i quattro principali Stati usciti vincitori dal grande conflitto: l’Impero austriaco (che divenne allora lo Stato militarmente e politicamente piú forte dell’Europa continentale), la Prussia, la Russia e l’Inghilterra (la quale può forse essere considerata la vera trionfatrice del Congresso di Vienna, perché, con la sconfitta della Francia, la sua potenza mondiale era ormai senza concorrenti e senza limiti e perché, in Europa, mettendo l’una contro l’altra Prussia e Austria, s’era garantita che non sorgesse una potenza egemone al pari della Francia napoleonica). Il rapporto fra le quattro potenze vincitrici fu formalizzato in una serie di atti fra il 1814 e il 1815 (quando la lotta antinapoleonica era ancora in atto), e si concluse con la stipula di un trattato di alleanza ventennale, firmato a Parigi occupata nel novembre 1815.
Tuttavia, all’interno di questo blocco, formatosi e tenuto in piedi soprattutto per motivi politici (la comune ostilità alla dilagante egemonia francese in Europa), cominciarono presto a manifestarsi delle differenze. Da una parte stava l’Inghilterra, ancorata dalla sua lunga tradizione costituzionalista a un clima politico e civile tendenzialmente liberale; dall’altra, l’Austria, la Prussia e la Russia, potenze in cui l’incondizionato assolutismo regio, lo spirito anticostituzionale e antiliberale, la difesa d’una gerarchia sociale estremamente rigida (nella quale la grande proprietà terriera aveva ripreso un ruolo dominante), conducevano verso una durissima repressione di tutte le forme politiche e di pensiero, che si discostassero appena un poco dal rispetto del sistema di potere costituito, consolidato e in qualche modo – appunto perché collegato a un intollerantismo religioso pressoché senza limiti – «sacro». Non a caso, fra questi tre Stati, per impulso soprattutto dello zar di Russia Alessandro I (1777-1825), nasceva un ulteriore accordo di reciproco aiuto e di assistenza, ben noto con il nome di «Santa Alleanza» (14-26 settembre 1825). Nel breve testo che lo supportava, si può leggere che, «conformemente alle parole delle Sante Scritture, le quali comandano a tutti gli uomini di riguardarsi come fratelli, i tre Monarchi contraenti resteranno uniti coi legami di una vera e indissolubile fratellanza, e considerandosi come compatrioti, in qualunque occasione e in qualunque luogo, si presteranno assistenza, aiuto e soccorso». In tal modo, sotto la copertura del discorso religioso (come spesso accade), veniva inaugurato il «principio d’intervento», il quale prevedeva che, in caso di torbidi, sommosse o rotture dell’ordine costituito, gli eserciti di ognuna delle tre potenze contraenti fossero autorizzati a intervenire, anche fuori dai propri confini, a difesa dei sovrani «legittimi» eventualmente minacciati.
Al trattato della Santa Alleanza aderirono negli anni successivi quasi tutte le altre potenze europee, compresa la Francia; esclusi invece l’Inghilterra (appunto), la Turchia e lo Stato della Chiesa (fondamentalmente, in quest’ultimo caso, perché il papa non vedeva di buon occhio un’alleanza in cui il cristianesimo veniva accolto e legittimato come strumento di governo, ma recependo e accettando le sue secolari divisioni: il cattolicesimo [Austria], il luteranesimo [Prussia], l’ortodossia [Russia]).
La Santa Alleanza fu per qualche decennio il sistema, nazionale e internazionale, con il quale si misurarono le correnti del pensiero post-rivoluzionario e liberale europeo: lotta durissima, che costò molti sacrifici e molte vittime.
2. La Restaurazione in Italia.
Come abbiamo già accennato, in Italia si ricreò una situazione analoga a quella precedente l’inizio della fase rivoluzionaria (con alcune non irrilevanti differenze, sulle quali attireremo l’attenzione cammin facendo).
Il regno di Sardegna fu ricostituito sotto la dinastia dei Savoia, nella persona di Vittorio Emanuele I, con tutti i suoi antichi domini, cui fu aggiunto il territorio della soppressa Repubblica di Genova (il che ne fece una potenza anche marinara).
In Toscana tornarono i Lorena (Ferdinando III). Lucca passò nelle mani di Maria Luisa dei Borbone di Parma. Il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla fu dato a Maria Luisa d’Austria, la moglie di Napoleone (con l’intesa che alla sua morte il ducato tornasse nelle mani del ramo parmense dei Borbone). Il ducato di Modena e Reggio fu concesso a Francesco IV d’Austria, figlio ed erede di Maria Beatrice Cybo d’Este, ultima erede dei Cybo e degli Estensi.
Lo Stato della Chiesa riebbe tutti i suoi domini italiani (pontefice era ancora Pio VII che, in seguito a gravi contrasti con la politica religiosa napoleonica, era stato esule a Fontainebleau). A testimoniare il mutamento di clima concorse anche la rapida ricostituzione dell’ordine dei gesuiti (7 agosto 1814), ad opera di Pio VII.
Il regno delle Due Sicilie tornava ai Borbone nella persona di Ferdinando IV (che tra i primi suoi atti compiva l’unificazione sotto la medesima corona dei domini napoletani e di quelli siciliani).
Le modifiche piú rilevanti avvenivano però nel quadrante di nord-est della penisola. L’Austria, infatti, non recuperava soltanto la Lombardia, ma s’impadroniva anche di tutti i territori della soppressa Repubblica di Venezia. Il Lombardo-Veneto, costituito in regno, in realtà fu da quel momento una provincia dell’Impero austriaco in Italia, e un vero e proprio bastione della sua presenza nella penisola. La egemonia austriaca in Italia era ulteriormente consolidata dalla presenza di dinastie austriache o filo-austriache in molti degli staterelli rinati dopo il congresso di Vienna (Parma, Modena, Toscana) e dalla totale soggezione dei Borbone di Napoli alla politica austriaca.
Rispetto alla fase pre-rivoluzionaria colpiscono la scomparsa delle due ultime, secolari repubbliche libere, Genova e Venezia; e il grande incremento della potenza straniera in Italia. Unica realtà d’origine e tradizione italiana, e non solo formalmente indipendente, si conferma il regno di Sardegna: il quale, tuttavia, in questa fase si distingue per l’orientamento particolarmente reazionario e filoclericale dei sovrani.
Le entità unitarie in cui si era espresso al suo apogeo il dominio napoleonico in Italia – in modo particolare il regno d’Italia, che nel momento di sua massima espansione aveva compreso la Lombardia, il Veneto, tutta la Padania e le Marche – vengono di nuovo frantumate. I tentativi dei napoleonidi di restare al potere – il viceré Eugenio Beauharnais nel regno d’Italia, il re Gioacchino Murat nel regno di Napoli – sono inesorabilmente battuti. E l’Italia riparte dal punto di partenza.
3. Genesi degli anticorpi: Costituzione e Nazione.
Come sempre accade in tutti gli avvenimenti storici di dimensioni ciclopiche – e la Restaurazione certamente lo fu – a determinarne gli esiti e i caratteri, a parte la rovinosa sconfitta dell’armata napoleonica a Waterloo, concorsero motivazioni molteplici. Non c’è dubbio, ad esempio, che vi abbiano giocato un ruolo rilevante la stanchezza di due decenni quasi ininterrotti di guerre, il logoramento della spinta rivoluzionaria originaria, l’insofferenza per il dominio francese, che, sotto la copertura degli ideali, si era manifestato sovente in tutta Europa come uno stato di occupazione rapace e oppressivo. Anche nel campo delle idee non è trascurabile l’effetto di ritorno che si produsse quando la triade ideologica «libertà, eguaglianza, fratellanza» dimostrò per molti versi di non essersi effettivamente radicata nella pratica dei gruppi sociali e degli Stati contemporanei e d’esser rimasta al contrario una pura bandiera vagamente programmatica, da sbandierare solo nei momenti piú convenienti. L’esperienza insegna che, quando un processo rivoluzionario non produce i suoi effetti né nel campo della teoria né nel campo della pratica, riprendono piede i principî opposti, quelli che, fino a qualche anno prima, sembravano cancellati ovunque e per sempre. Anche a questo contraccolpo, ad esempio, si deve la vera e propria ondata di sentimento religioso, che pervade l’Europa in questa fase e contraddistingue tante manifestazioni letterarie e culturali del periodo.
3.1. «Costituzione».
E tuttavia, anche in questo caso (e non facciamo che ripercorrere in tale maniera le tappe di eventi che si ripetono magari a distanze secolari), l’esperienza rivoluzionaria e napoleonica aveva sedimentato, in Europa e in Italia, una serie di abitudini, di certezze, di bisogni e di speranze, che l’ondata reazionaria della Restaurazione non poté in nessun modo soffocare. È stata scritta una miriade di libri su questo argomento. Per evidenti motivi di chiarezza e di spazio, noi lo sintetizzeremo in un solo punto, le cui relazioni, oltretutto, con la fenomenologia d’ordine letterario e culturale non possono sfuggire. L’ondata rivoluzionaria e la fase di predominio napoleonico, nonostante i tratti autoritari da questo assunti nella sua fase estrema, avevano radicato negli individui il senso dei loro diritti verso il potere e verso lo Stato e, al tempo stesso, la consapevolezza della propria identità, culturale, civile e nazionale. Fra il singolo individuo e lo Stato si stendeva un corpus di leggi scritte – una Costituzione, un codice, un insieme di procedure riconosciute e applicate – e un insieme di consuetudini comunemente accettate (la cosiddetta «Costituzione materiale»), che ne garantivano (almeno entro certi limiti) i diritti e l’identità nei confronti di chicchessia, compreso lo Stato medesimo. Quel che abbiamo definito lo Stato moderno, è questo: uno Stato, come si suol dire, di diritto. Nei due decenni precedenti, beninteso, ne era nato solo l’embrione, e anche quello, beninteso, con molte contraddizioni e limitazioni. Ma l’«idea» dello Stato di diritto era già apparsa sulla scena del mondo: e fu quella che gli uomini di quel tempo sembrarono meno disposti a dimenticare.
Naturalmente questo non significa che gli Stati assoluti del tempo non avessero leggi: l’Impero austriaco, ad esempio, aveva un diritto amministrativo eccellente, le cui origini risalivano alla fase dell’assolutismo illuminato di Maria Teresa e Giuseppe II (cfr. supra, cap. III, par. 2.). Significa però che anche in questi Stati – sostanzialmente bene amministrati, e gli effetti positivi prodotti si videro anche nei loro domini italiani, per esempio il Lombardo-Veneto – mancava una Costituzione: le buone leggi, quando ce n’erano, cadevano dall’alto; non da un accordo, da un «contratto» (per usare non casualmente una parola d’origine rousseauiana), fra la corona e i cittadini.
La prima difficoltà fu dunque questa: far regredire a «suddito» il «cittadino», «le citoyen» uscito dalla rivoluzione francese, dell’89 e del ’92, non fu semplice per i governi della Restaurazione, pur essendo dotati di poteri eccezionali. Se l’impresa di governare in maniera assoluta i propri Stati fu piú agevole dove «le citoyen» non era mai davvero nato (Russia, Prussia, Austria: ma anche qui non mancarono nei decenni successivi tentativi anche sanguinari di mutamento), l’impresa si rivelò impervia in quegli altri Stati del continente (Francia, Spagna, Italia), dove l’esperienza era stata compiuta. In Francia, del resto, la restaurazione del regime borbonico, proprio per le particolari condizioni di quella nazione, aveva consigliato al tempo stesso la continuazione di un sistema di governo costituzionale moderatamente rappresentativo e del sistema amministrativo uscito dalla rivoluzione e dal Codice napoleonico.
In questi stessi Stati, in cui l’esperienza rivoluzionaria aveva affondato piú profondamente le sue radici, s’era creato inoltre uno strato sociale di tipo nuovo, in cui nobiltà e borghesia nascente sovente si alleavano e si confondevano (funzionari ed ex funzionari, usciti dalle esperienze delle repubbliche giacobine e degli Stati napoleonici; militari; professionisti; professori universitari e insegnanti, ecc.), che non poteva non accogliere con sofferenza il mutamento in atto, tutto a favore delle vecchie classi e del vecchio funzionariato. In Italia il fenomeno si riallacciò quasi senza soluzioni di continuità alle formazioni socio-culturali precedenti l’apertura della fase pre-rivoluzionaria. In Lombardia il fenomeno assunse un’evidenza ancora maggiore: fra i gruppi d’orientamento illuministico e quelli d’orientamento romantico di primo Ottocento i legami furono strettissimi, sia di ordine sociale, sia d’ordine culturale sia, persino, di sangue (si pensi a Manzoni).
In questo ambito cominciarono a organizzarsi la critica e la resistenza nei confronti dei restaurati governi assoluti. In mancanza di qualsiasi libertà d’espressione e di organizzazione i dissidenti si organizzarono in «società segrete», che all’inizio ebbero non pochi rapporti con la tradizionale massoneria settecentesca, in seguito assunsero la forma piú nuova e originale della carboneria, che però conservò non pochi rapporti e in taluni casi puramente e semplicemente si sovrappose alle esperienze precedenti (in Spagna «masones» e «comuneros»). Come dimostrarono, talvolta tragicamente, alcune delle esperienze successive, perdura, e talvolta s’allarga, il fenomeno della divaricazione tra orientamenti delle classi in qualche modo superiori e orientamenti delle classi (tecnicamente e sociologicamente) inferiori (e cioè, nell’Italia del tempo, fondamentalmente la plebe urbana e la sterminata massa contadina). Tra le prime si manifestano germi consistenti di resistenza e di rinnovamento; le seconde assistono con secolare passività ai mutamenti in atto – passività che inclina tuttavia, in certe occasioni, a una atavica simpatia per le ragioni del Trono e dell’Altare (come del resto avevano dimostrato in precedenza l’atteggiamento dei «lazzaroni» napoletani nei confronti della Rivoluzione del ’99 e certe feroci rivolte contadine antigiacobine in Toscana e nell’Italia centrale). Il fenomeno, naturalmente, fu accentuato dal carattere iniziatico del movimento carbonaro e dalla sua impossibilità di fare una propaganda esplicita all’esterno.
La prima parola d’ordine anti-restaurativa fu dunque: Costituzione; e i suoi sostenitori si dissero e furono «liberali»: cioè, fautor...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Storia europea della letteratura italiana II
  3. I. L’età del Barocco e della Nuova Scienza (1595-1640)
  4. II. La rinascenza del classicismo e l’età dell’Arcadia (1640-1748)
  5. III. L’età dell’Illuminismo e delle riforme (1748-1789)
  6. IV. L’età delle rivoluzioni e del Neoclassicismo (1789-1815)
  7. V. L’età della Restaurazione e del Romanticismo (1815-1848)
  8. VI. L’età del Risorgimento e del Secondo Romanticismo (1848-1870)
  9. Indice dei nomi
  10. Il libro
  11. L’autore
  12. Dello stesso autore
  13. Copyright