La filosofia anticipa il futuro?
Parlare di mondi possibili significa anticipare le forme del domani?
Che cos’è il postumano?
«Voi siete qui».
«Voi dovreste essere qui».
La prima frase racchiude il passato, la seconda apre al futuro.
Dovreste, non sarete. Siamo arrivati all’ultima lezione e prima di avvicinarci alle conclusioni vorrei che rivolgessimo uno sguardo alla vita che verrà. La filosofia non è speciale, ma di certo è diversa dalle altre scienze. Wittgenstein amava dire che gli interrogativi scientifici lo interessavano molto senza mai affascinarlo davvero. Solo i problemi concettuali ed estetici riuscivano a catturarlo.
Fare del pensiero un’avventura è stato il nostro compito fin qui e continuerà a esserlo anche in queste pagine finali. Lo dico senza alcuna retorica. Quando pensiamo al futuro, pensiamo al nostro futuro. Il pianeta che ci contiene e l’universo che ci circonda continueranno le loro sorti anche senza di noi (non si arrabbino gli scettici). Per questo motivo, quando parliamo di avvenire discutiamo dell’immagine che abbiamo del nostro futuro di esseri umani.
Ecco, allora, una lezione sull’uomo.
È il 1966 quando Michel Foucault, nella prefazione del suo capolavoro Le parole e le cose, dichiara che l’uomo è un’invenzione recente. Questa consapevolezza lo tranquillizza profondamente. Dopo la lezione sull’ontologia, abbiamo tutti gli strumenti per capire che in questo passo Foucault si riferisce all’uomo come a un oggetto sociale, cioè al complicato costrutto che la società sviluppa intorno all’animale umano e all’oggetto naturale che, semplificando, possiamo chiamare «corpo»: il limite ultimo delle nostre vite. Il limite ha attraversato le prime quattro lezioni come un protagonista occulto e adesso è arrivato il momento di affrontare questo misterioso ostacolo. Per aggirarlo, tuttavia, abbiamo bisogno di una strategia.
Piú volte ci siamo imbattuti nel concetto di «anticipazione», nell’idea di realizzare qui e ora qualcosa che può appartenere soltanto al futuro. A questa categoria di fenomeni appartengono la disobbedienza civile, il vegetarianismo, la non-violenza, il pacifismo e, quando non è solo descrittiva, anche la filosofia. Il requisito che un pensiero attivo deve avere per aderire al concetto di «anticipazione» è la capacità di costruire un ponte tra il presente e il futuro prossimo, un ponte con la scritta I would prefer not to («preferirei di no»): la formula con cui attraverso un’apparente negazione si apre uno spiraglio per un’azione inedita1. La filosofia ragiona sul futuro che seguirà al proprio «adesso» per ideare un percorso controcorrente. Ciò che la distingue dalle altre scienze è la visione dell’alternativa, di uno spazio ideale in cui possiamo scegliere senza abbandonarci al corso ineluttabile delle cose. Da un certo punto di vista, la filosofia è un rifiuto della necessità a favore di un’apertura delle possibilità.
Secondo Nietzsche – siamo nella terza dissertazione della Genealogia della morale – il rifiuto va bene purché non diventi ascetismo. Se decidiamo di non fare qualcosa, per esempio di non mangiare gli animali, soltanto per ostentare una vuota coerenza con noi stessi, allora siamo asceti, falsi profeti, millantatori paradossali di volontà di potenza. Vogliamo esibire la nostra capacità di vivere senza volontà di potenza, ma in realtà la esercitiamo due volte: per negare un istinto e per mostrare agli altri che siamo stati in grado di negarlo.
Al contrario, la forma di rifiuto con cui la filosofia sfida i luoghi comuni e le false credenze non è mai compromessa dal risentimento. Per essere gli interpreti di un’autentica volontà di potenza dobbiamo costruirci un canale attraverso cui visualizzare piú soluzioni e scenari possibili.
Nei saggi che compongono L’alternativa ambiente2 Gilles Clément presenta l’ambiente come il luogo per eccellenza di un’alternativa alla crisi.
I movimenti ecologisti con le loro radicalità molto spesso trasformano validi tentativi di resistenza alle decisioni della politica in una polemica inoperosa. D’altra parte, esiste una corrente opposta chiamata Green Business che sfrutta il mercato del biologico per fare del messaggio ecologista uno slogan commerciabile e redditizio. Secondo Clément esiste una terza strada e il concetto che la ispira, l’alternativa ambiente, tiene conto del fatto che nessuna risposta, e dunque nessun0 scenario alternativo, arriva mai in un colpo solo. L’umanità incredula, di volta in volta addormentata dai mass media, deve esperire nuovi stili di vita e tentare nuovi percorsi, inoltrandosi in territori sconosciuti. Per questo ha bisogno del potere creativo della filosofia.
L’alternativa filosofia è l’insieme delle strade possibili che si liberano con la negazione di uno stato di cose del mondo, mostrando che ogni decostruzione porta con sé una ricostruzione possibile. È qualcosa di piú rispetto al passaggio marxiano dalla filosofia come contemplazione alla filosofia come trasformazione, perché stiamo analizzando un’alternativa sempre presente. Ogni azione, se autentica, presuppone un obiettivo da raggiungere in accordo con le intenzioni di partenza. Secondo la teoria dell’azione, questo principio si chiama direzionalità di ordine superiore3.
Tuttavia, il problema è che gli obiettivi di un’azione A svolta all’interno di un sistema sociale S sono spesso definiti all’interno di un sistema di regole sociali RS. Di conseguenza, le alternative dell’azione sono sempre circoscritte a un insieme di possibilità già previste dal sistema di regole sociali. Questo preclude la possibilità di un cambiamento radicale4. La filosofia non è mai soltanto un’azione, ma un atto: «Nessun’azione può realizzare il suo scopo, se non si smarrisce nell’atto. L’atto, a sua volta, per compiersi in quanto evento immediato, deve dimenticare la finalità dell’azione. Non solo. Nell’oblio del gesto … l’atto sgambetta l’azione, restando orfano del proprio artefice»5.
Le parole che Carmelo Bene ha usato per spiegare un elemento fondamentale della poetica del teatro di Artaud sono preziose anche nel nostro contesto. L’atto è un’azione che non presuppone un obiettivo rigidamente determinato, ma uno stato di cose da cui si vuole emancipare. L’atto descrive la sfida che accogliamo quando tentiamo di superare la cruda necessità del nostro presente: «mi aggiro senza sapere dove; vado e vengo senza sapere dove il movimento si arresterà, né quando avrà fine – vago in un’immensità senza confini»6.
La filosofia come atto, dunque. Non sappiamo bene dove possa condurci, eppure non possiamo evitare di spostarci nella direzione che disegna davanti a noi. Se conoscessimo in anticipo la nostra meta, sosteneva Derrida, non muoveremmo mai un solo passo. L’ignoto e l’imprevisto sono un male meraviglioso e necessario. L’alternativa è sempre un insieme di mondi possibili, non è mai un’unica strada. Ci conduce lungo un percorso, magari tortuoso ed enigmatico, che passo dopo passo orienta la ricerca piú importante che esista. Cercare l’alternativa significa estendere il nostro mondo. Il mondo del filosofo è necessariamente piú ampio rispetto a quello del non filosofo, perché il possibile irrealizzato è sempre presente nella sua ontologia.
La filosofia allarga il vostro mondo. Pensateci bene. Dopo il percorso che abbiamo fatto fin qui il vostro orizzonte dovrebbe essere cambiato. Il tempo presente, invece, impone soluzioni rigide. Scegl...